Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3592 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 3592 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a BERGAMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/08/2023 del TRIBUNALE di BERGAMO
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– udita la relazione svoltai dal Consigliere NOME COGNOME;
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RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bergamo ha ridetermiNOME in anni tre – nei confronti di NOME COGNOME – la durata della pena accessoria, prima stabilita in anni dieci, dell’inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e dell’incapacità a esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa, relativamente alla pena principale di anni uno di reclusione, inflittagli per esser stato dichiar responsabile del reato di bancarotta per aggravamento del dissesto, con sentenza del Tribunale di Milano del 06/02/2017.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, deducendo vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., sub specie di violazione di legge determinata da inosservanza, erronea e contraddittoria applicazione dell’art. 666 cod. proc. pen. Il vizio si annida – in ipotesi difensiva – nel non avere il Giudice dell’esecuzione parametrato la nuova durata della sanzione accessoria a quella della pena principale, pari ad anni uno di reclusione; non sono stati adeguatamente considerati, sostanzialmente, i principi di proporzionalità e individualizzazione del trattamento sanzioNOMErio, così pervenendosi a una decisione eccessivamente gravosa per l’interessato.
Giova ricordare come – nella materia dei reati fallimentari – sia riservata al giudice dell’esecuzione la possibilità di procedere, in base ai canoni valutativi dettati GLYPH dall’art. GLYPH 133 GLYPH cod. GLYPH pen., GLYPH alla rideterminazione della GLYPH durata delle pene accessorie tipizzate dall’art. 216, ultimo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, che siano state inflitte con sentenza definitiva in misura fissa pari a diec anni. Ciò allorquando ne venga domandato l’adeguamento al nuovo testo della norma, risultante dall’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018, che prevede una durata variabile della pena accessoria, con il solo limite massimo insuperabile di dieci anni (Sez. 1, n. 26601 del 16/09/2020, Bucaria, Rv. 279579).
3.1. Tanto premesso, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in ragione della manifesta infondatezza della doglíanza, volta esclusivamente ad ottenere una rivalutazione di aspetti attinenti al fatto, ossia finalizzata al compimento di u operazione valutativa non consentita nella presente sede di legittimità. Ed invero, le critiche esposte dal ricorrente riguardano profili di merito, coerentemente scrutinati nel corpo della decisione impugnata e la cui riproposizione è tesa – con tutta evidenza – ad una riponderazione del peso dimostrativo degli elementi di prova. In tal senso, il ricorso finisce con il proporre argomenti di merito, la c
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rivalutazione è preclusa in sede di legittimità. E’ costante, infatti, l’insegnament di questa Corte, secondo la quale il sindacato in ordine alla motivazione del provvedimento impugNOME va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto, oltre che della sua interna coerenza logicogiuridica, non essendo possibile compiere – nel giudizio di legittimità – «nuove» attribuzioni di significato, ovvero realizzare una diversa lettura, dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettur maggiormente esplicativa (si veda, ex multis, Sez. 6 n. 111.94 del 08/03/2012, Lupo, Rv 252178).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 07 dicembre 2023.