Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 33721 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 33721 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a TORRE DEL GRECO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/11/2024 della CORTE di APPELLO di ANCONA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME, che ha chiesto emettersi declaratoria di inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 18 novembre 2024 la Corte d’Appello di Ancona confermava la sentenza emessa il 14 settembre 2023 dal Tribunale di Pesaro con la quale l’imputato COGNOME NOME era stato dichiarato colpevole del reato di truffa e condannato alle pene di legge.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l’annullamento e articolando tre motivi di doglianza.
Con il primo motivo deduceva violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. nonché omessa motivazione o motivazione apparente.
I
Assumeva che la Corte d’Appello aveva omesso di valutare i motivi di appello e di rispondere alle critiche formulate dal ricorrente, riportandosi pedissequamente alle valutazioni del giudice di primo grado, ciò con particolare riguardo alla dedotta assenza degli elementi costitutivi dei reati di truffa e insolvenza fraudolenta.
Con il secondo motivo deduceva inosservanza degli artt. 431 e 511 cod. proc. pen., assumendo che l’atto di querela era stato acquisito al fascicolo del dibattimento solo ai fini della valutazione della procedibilità dell’azione penale, e non anche a fini probatori, dovendosi ritenere in tali termini il consenso all’acquisizione prestato dalla difesa, ciò che emergeva dalla trascrizione della registrazione dell’udienza del 14 settembre 2019.
Deduceva altresì che dalla inutilizzabilità della querela ai fini probatori derivava la carenza di prova della riferibilità all’imputato della condotta delittuosa contestata.
Con il terzo motivo deduceva erronea applicazione degli artt. 640 e 641 cod. pen.
Assumeva che la Corte territoriale non aveva esaminato il secondo motivo di appello con il quale era stata eccepita l’erroneità della qualificazione del fatto nel reato di truffa, considerato che nel caso di specie la parte offesa società RAGIONE_SOCIALE aveva già reso la prestazione patrimoniale nel momento in cui l’COGNOME aveva posto in essere gli “artifizi o raggiri”, accodandosi alla vettura che lo precedeva nel casello di uscita e non pagando il pedaggio autostradale, di talché tale comportamento, essendo successivo alla prestazione resa dalla società RAGIONE_SOCIALE – consistita nel consentire il transito veicolare sull’autostrada -, non poteva dirsi causativo dell’induzione in errore della vittima.
Assumeva anche che il mancato pagamento del pedaggio autostradale era dipeso dal fatto che l’COGNOME era impossibilitato a far fronte a tale pagamento in quanto privo di un impiego, dal che doveva dedursi la totale assenza di dolo.
Deduceva infine che l’imputato aveva estinto il proprio debito nei confronti della parte offesa, ciò che comportava l’estinzione del reato di insolvenza fraudolenta ai sensi dell’art. 641, comma 2, cod. pen., a tenore del quale “l’adempimento dell’obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato”.
In data 9 giugno 2025 la parte civile RAGIONE_SOCIALE depositava note conclusionali e nota spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile in quanto del tutto generico, non avendo il ricorrente indicato in maniera specifica alcuna delle doglianze dedotte con l’atto di appello alle quali la Corte territoriale non avrebbe dato risposta.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Ed invero, la consultazione degli atti, ai quali la Corte ha accesso in ragione della natura processuale della doglianza, consente di apprezzare che la fonoregistrazione dell’udienza del 14 settembre 2019 ha ad oggetto esclusivamente il contenuto delle prove testimoniali assunte e il verbale riassuntivo della medesima udienza (che fa fede fino a querela di falso) reca l’indicazione secondo la quale sull’accordo delle parti veniva acquisito l’atto di querela.
A fronte di ciò la Corte d’Appello ha osservato, del tutto congruamente, che il consenso prestato dalle parti all’acquisizione della querela “non può che riferirsi al contenuto della denuncia – querela, posto che, ai sensi degli artt. 431 e 511 c.p.p., l’atto, indispensabile per valutare la procedibilità del reato confluisce automaticamente nel fascicolo dibattimentale, senza bisogno di alcun consenso” (v. pag. 6 della sentenza impugnata).
Peraltro il motivo è anche aspecifico, non avendo il ricorrente dedotto la decisività dell’elemento probatorio – la querela – della quale si deduce l’inutilizzabilità (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, Izzo, Rv. 287024 – 02, secondo cui è inammissibile per aspecificità il ricorso per cassazione con cui si eccepisce l’inutilizzabilità di un elemento probatorio senza dedurne la decisività in forza della cd. “prova di resistenza”, ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato).
In proposito la Corte d’Appello ha, peraltro, osservato che “gli elementi istruttori raccolti, anche senza tenere conto del contenuto della denuncia querela, appaiono connotati da un grado di gravità, precisione e concordanza da non consentire altre ragionevoli alternative in relazione alla responsabilità dell’COGNOME NOME in ordine ai fatti contestati” (v. pag. 6 del provvedimento impugnato).
Anche il terzo motivo è manifestamente infondato e pertanto inammissibile.
Deve, invero, ritenersi che la Corte di merito abbia correttamente qualificato il fatto nel reato di truffa, avendo valorizzato, con motivazione del tutto priva di aporie e logicamente articolata, il ripetuto modus operandi realizzato dall’imputato (che pur essendo sprovvisto della relativa tessera, si accodava a coloro che regolarmente impegnavano la corsia riservata ai clienti dotati di sistemi di pagamento automatizzati e, senza mantenere la normale distanza di percorrenza, li seguiva, così guadagnandosi l’uscita senza pagare il dovuto pedaggio), ritenendolo idoneo ad integrare il raggiro del delitto di truffa.
Deve pertanto ritenersi che, nella specie, i giudici del merito abbiano correttamente interpretato ed applicato la legge penale, ampiamente argomentando sul punto (v., in tema, Sez. 2, n. 26289 del 18/05/2007, COGNOME, Rv. 237150 – 01, secondo cui integra il delitto di truffa, per la presenza di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio, la condotta di chi transita con l’autovettura attraverso il varco autostradale riservato ai possessori di tessera Viacard pur essendo sprovvisto di detta tessera; nello stesso senso Sez. 7, Ord. n. 33299 del 27/03/2018, COGNOME, Rv. 273701 – 01, secondo cui integra il delitto di truffa e non quello di insolvenza fraudolenta, per la presenza di raggiri finalizzati ad evitare il pagamento del pedaggio, la condotta di chi transita con l’autoveicolo attraverso il varco autostradale riservato ai possessori di tessera Viacard pur essendo sprovvisto di detta tessera; l’ordinanza tratta di una fattispecie relativa ad autotrasportatore che, in più occasioni, impegnava il varco riservato ai clienti Viacard e si faceva rilasciare dall’operatore il bigliet di mancato pagamento che gli consentiva di guadagnare l’uscita, così dando a intendere di aver impegnato la corsia sbagliata o di avere dimenticato il titolo di pagamento; ancora in termini Sez. 7, n. 43599 del 29/10/2024, COGNOME, non massimata). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Deve, infine, osservarsi che la deduzione difensiva secondo la quale il mancato pagamento del pedaggio autostradale sarebbe dipeso dal fatto che l’COGNOME era impossibilitato a far fronte a tale pagamento in quanto privo di un impiego si risolve in una censura di merito, inammissibile nella presente sede.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, pertanto, essere dichiara inammissibile. Il ricorrente deve, dunque, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Non si fa luogo alla liquidazione delle spese in favore della parte civile, considerato che la stessa non ha fornito un contributo utile alla decisione (cfr., ex multis, Sez. 4, n. 10022 del 06/02/2025, COGNOME, Rv. 287766 – 01, secondo cui, nel giudizio di legittimità celebrato nelle forme del rito camerale non partecipato di cui all’art. 611, comma 1, cod. proc. pen., la parte civile, pur in difetto di richiesta di trattazione orale, ha diritto di ottenere la liquidazione del spese processuali, nel caso in cui abbia esplicato, attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Nulla per le spese di parte civile.
Così deciso il 11/06/2025