Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 39225 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 39225 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nata il DATA_NASCITA a Ravenna
avverso la sentenza del 30/11/2023 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Bologna confermava la condanna per peculato (art. 314 cod. pen.) di NOME COGNOME, in quanto, come esercente la rivendita di generi di monopolio, in qualità di intermediario abilitato all’esercizio di riscossione in via telematica RAGIONE_SOCIALE marche da bollo mediante
contrassegni sostitutivi, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, ometteva di riversare le somme riscosse e si appropriava di complessivi euro 4.250,37.
Avverso la sentenza ha presentato ricorso l’imputata, per il tramite dell’AVV_NOTAIO, deducendo tre motivi di ricorso.
2.1. Errata applicazione dell’art. 314 cod. pen. e vizio di motivazione.
Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, ai fini dell’appropriazione, occorre un quid plunis rispetto al semplice omesso tempestivo versamento RAGIONE_SOCIALE somme, dovendosi verificare se imputata abbia realmente invertito il titolo del possesso.
Nel caso di specie, la ricorrente ha effettuato il versamento della somma richiesta quattro mesi dopo la ricezione della diffida da parte della RAGIONE_SOCIALE, e dunque in un lasso di tempo minimo che non denota un atteggiamento appropriativo, dalle sentenze di merito risultando, anzi, come la stessa – che gestiva il sevizio da vari anni – avesse sempre adempiuto agli obblighi di versamento ed essendo anche provato che le due uniche omissioni contestate nel capo di imputazione erano addebitabili a semplice ed incolpevole dimenticanza, giustificata dal significativo flusso denaro che i tabaccai devono periodicamente versare all’erario.
D’altronde, l’art. 33, comma 2, I. 23 dicembre 1994, n. 724, dispone che il ritardato versamento dei proventi del gioco del lotto è soggetto a mera sanzione amministrativa. Anche l’art. 7, punti 6, 6-bis e 7 della Convenzione sullo svolgimento del servizio di riscossione in via telematica dell’imposta di bollo, del contributo unificato e di altri tributi mediante rilascio di contrassegno sostitutiv prevedono, in caso di mancato addebito RAGIONE_SOCIALE somme riscosse, diverse forme di intervento, tra cui la sospensione del servizio di riscossione.
2.2. Violazione di legge penale quanto alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.
Il diniego della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto è illogico nella parte in cui i Giudici non considerano che il Tribunale di Ravenna, nell’applicare l’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., ha ritenuto il fatto di particolare tenuità.
Inoltre, la Corte d’appello non ha tenuto in conto le condotte post factum, invece valorizzate a seguito della modifica dell’art. 131-bis cod. pen., introdotta dalla cosiddetta riforma Cartabia.
È infine illogica la motivazione là dove attribuisce rilievo alla reiterazione della condotta, senza considerare che Sez. U., n. 18891 del 27/01/2022, COGNOME,
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Rv. 283064, ha precisato che la continuazione non osta al riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
2.3. Vizio di motivazione nella parte relativa al trattamento sanzionatorio.
Venendo meno al suo obbligo, la Corte d’appello nulla ha motivato quanto al ragionamento in base al quale il Giudice di primo grado ha determinato la pena a carico dell’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato, oltre che generico, in quanto non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato.
A differenza che nei precedenti citati nel ricorso, dalla sentenza di appello risulta, infatti, che l’imputata non ha mai ottemperato all’obbligo di riversare le somme all’erario, nemmeno in ritardo, dal momento che la somma fu interamente incassata all’amministrazione finanziaria – è espressamente specificato in motivazione – soltanto a seguito di escussione del fideiussore, mentre tesi difensiva della “mera dimenticanza” è contraddetta dal fatto che l’inadempimento si protrasse dopo la diffida.
Nel caso di specie, dunque, non di mero “ritardo” si è trattato (come in Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, COGNOME Marco, Rv. 283940, in relazione al quale è stato sancito il principio di diritto richiamato dal ricorrente), bensì di vera propria (definitiva) ritenzione RAGIONE_SOCIALE somme, la situazione essendo piuttosto assimilabile – per limitare la citazione ad una recente pronuncia – a Sez. 6, n. 16658 del 21/02/2024, COGNOME, non mass., in cui il peculato è stato ritenuto pianamente configurabile.
3. Inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso.
In disparte ogni altra considerazione, e come peraltro rilevato dalla stessa Corte d’appello, i limiti edittali del peculato (da quattro anni a dieci anni e s mesi di reclusione) precludono l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.: sia nella formulazione vigente al momento dei fatti (dicembre 2013- gennaio 2014), la quale faceva riferimento ai «reati puniti con pena detentiva superiore nel massimo a cinque anni»; sia nella formulazione modificata dalla c.d. riforma Cartabia, per cui deve trattarsi di reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni».
Inammissibile è, infine, il terzo motivo di ricorso, sulla quantificazione della pena, che, oltre ad essere generico, non era stato previamente devoluto in appello (art. 606, ult. comma, cod. proc. pen.).
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del procedimento e al versamento RAGIONE_SOCIALE somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa RAGIONE_SOCIALE ammende.
Così deciso il 25 settembre 2024
Il Consigliere estensore
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residente