Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27090 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27090 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME, nato a RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a Barletta il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nato a San Severo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/2/2023 emessa dalla Corte di appello di Bari visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi proposti da COGNOME NOME e COGNOME, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in parziale accoglimento del ricorso proposto da COGNOME NOME, limitatamente al capo a); udito l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, difensore di NOME COGNOME, che ha chiesto
raccoglimento del ricorso;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello, riformando la sentenza assolutoria emessa in primo grado, dichiarava: NOME COGNOME colpevole del reato di concussione contestato al capo A), da considerarsi consumato fino all’aprile del 2006, ritenendo che le ulteriori condotte descritte nel predetto capo dovessero essere ricondotte al reato di induzione indebita contestata nel capo B) dichiarato prescritto, ritenendo la penale responsabilità dell’imputato anche per il reato di peculato di cui al capo C) e di concussione contestata nel capo G); l’imputato veniva altresì condannato al risarcimento del danno in favore della parte civile NOME costituitasi con riguardo ai reati di cui ai capi A) e B).
Nei confronti di NOME COGNOME veniva dichiarata l’intervenuta prescrizione del reato contestato sub B) con condanna, in solido con COGNOME, al risarcimento dei danni in favore di NOME COGNOME.4
NOME COGNOME e NOME COGNOME venivano dichiarati colpevoli del reato di cui al capo C).
Per i capi di imputazione formulati sub D) e E) veniva dichiarata la prescrizione, mentre l’imputato COGNOME veniva assolto dal reato di cui al capo F).
1.1. La Corte di appello perveniva a tali conclusioni, accogliendo l’appello del Pubblico ministero, dopo aver ritenuto che la motivazione posta a fondamento della sentenza assolutoria non si era adeguatamente confrontata con le risultanze istruttorie, per aver sostanzialmente omesso il vaglio di plurimi elementi rilevanti e fornito spiegazioni avulse dal quadro probatorio. Nel giudizio di secondo grado si provvedeva anche alla rinnovazione parziale dell’istruttoria dibattimentale, procedendo, in particolare, alla nuova escussione di NOME.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati proposto ventiquattro motivi di ricorso, molti dei quali sono stati unitariamente raggruppati dal ricorrente con riguardo ai singoli capi di imputazione.
2.1. Con il primo e secondo motivo, si deduce il .vizio di motivazione sottolineando, in particolare, la carenza di motivazione rafforzata sulla cui base la Corte di appello avrebbe dovuto specificamente confutare il ragionamento probatorio contenuto nella sentenza di primo grado, specialmente con riguardo
alla deposizione resa dalla parte civile NOME.
Si sottolinea come nella sentenza impugnata si dia atto della superfluità della motivazione rafforzata, sul presupposto che il giudice di prime cure avrebbe sostanzialmente omesso la valutazione del materiale probatorio.
Tale assunto sarebbe smentito dalle argomentate motivazioni rese in ordine all’inattendibilità della parte civile, desumibile dall’aspra contrapposizione sussistente tra NOME, amministratore della società RAGIONE_SOCIALE che era partecipata dal RAGIONE_SOCIALE, il cui sindaco era COGNOME. L’intera vicenda, pertanto, doveva leggersi tenendo conto delle ragioni di attrito che erano insorte tra NOME e COGNOME, nonché della genericità e contraddittorietà della ricostruzione dei fatti compiuta da NOME che, in più punti, era stata smentita documentalmente dalle produzioni difensive.
A fronte dei plurimi passaggi motivazionali nei quali il Tribunale forniva giustificazione del giudizio di inattendibilità della deposizione di NOME, la Corte di appello si sarebbe sottratta all’onere di una motivazione rafforzata, limitandosi a sostituire la propria lettura delle risultanze probatorie.
2.2. Con il terzo e quarto motivo, si deduce la violazione dell’art. 317 cod. proc. pen., nonché l’omessa motivazione rafforzata con riguardo al capo di imputazione formulato sub A), concernente la concussione consumata ai danni di NOME mediante l’imposizione del versamento di somme di denaro e il pagamento del canone di locazione per la sede della sede del partito “RAGIONE_SOCIALE” e l’acquisto di “computer” per lo studio professionale di COGNOME.
Il ricorso ricostruisce l’intera vicenda che ha riguardato il ritardato pagamento di uno stato di avanzamento di lavori eseguiti in sub-appalto da una società di NOME. Mediante la strumentalizzazione del ritardo, il Sindaco avrebbe esercitato una indebita pressione sull’imprenditore, al fine di costringerlo alla dazione di plurime utilità. Sottolinea il ricorrente come la motivazione si incentrerebbe sulla illegittimità della pretesa del Sindaco di apporre un “visto” sulla determina di pagamento, in tal modo ritardando a suo piacimento il pagamento, nonostante l’art. 107 del TUEL non prevedesse tale formalità.
A fronte della sentenza di primo grado che aveva escluso la conseguenzialità tra il ritardo nel pagamento e il versamento di somme di denaro, la Corte di appello forniva una ricostruzione alternativa, omettendo di considerare che il “visto” del Sindaco non impediva l’esecuzione della determina di pagamento.
Ancor meno giustificata era la tesi secondo cui NOME avesse accettato di versare una somma di denaro per il pagamento del canone di locazione della sede del partito “RAGIONE_SOCIALE“, posto che tale condotta si sarebbe realizzata nel 2006, ben dopo che era intervenuto il pagamento del secondo SAL il cui ritardo
sarebbe stato il mezzo di pressione utilizzato da COGNOME per costringere la persona offesa alle dazioni.
Dubbia era anche l’affermazione secondo cui le somme consegnate da NOME a NOME COGNOME fossero destinate effettivamente alle esigenze del partito di COGNOME, avendo la Corte di appello omesso di considerare che COGNOME era anche il Presidente del RAGIONE_SOCIALE e, quindi, era plausibile che la dazione si inseriva nell’abituale contribuzione di NOME rispetto a tali manifestazioni.
Il ricorrente contesta anche il travisamento della prova con riguardo ad una conversazione intercorsa tra COGNOME e COGNOME, dovendosi ritenere che COGNOME si fosse lamentato del fatto di esser stato coinvolto nella vicenda nonostante avesse sempre avuto buoni rapporti con NOME. Inoltre, anche il passaggio in cui COGNOME riferisce che “quello stato di avanzamento lo mandavi avanti e indietro”, era tutt’altro che di univoco significato e, comunque, non dimostrava la strumentalizzazione di un inesistente diniego di pagamento.
2.3. Con il quinto motivo, si deduce la violazione dell’art. 317 cod. pen. con riferimento all’omessa derubricazione del fatto nel reato di induzione indebita, valorizzandosi le dichiarazioni rese da NOME in sede di rinnovazione istruttoria, lì dove riferiva di non aver ricevuto alcuna esplicita richiesta concussiva, pur avendo compreso che, per il ristabilimento di buoni rapporti con il Sindaco, doveva versare somme di denaro.
Sottolinea la difesa che, applicando i principi elaborati dalla sentenza “COGNOME” delle Sezioni unite, il caso in esame rientrerebbe in uno di quelli in cui vi è una compresenza tra il danno ingiusto prospettato dal pubblico ufficiale e un vantaggio indebito del privato, a fronte del quale occorre accertare quale sia stata la motivazione prevalente che ha indotto il privato alla promessa o dazione.
Nella sua deposizione, NOME aveva chiaramente esposto la necessità di mantenere buoni rapporti con il Sindaco, anche in vista di ulteriori interessi da tutelare, tra i quali, quello relativo alla destinazione urbanistica di alcuni terren appartenenti alla sua NOME.
Il ricorrente segnala che, ove si addivenisse alla derubricazione del reato di concussione, ne conseguirebbe l’intervenuta prescrizione.
2.4. Con il sesto, settimo, ottavo e nono motivo, si deduce il vizio di violazione di legge processuale per omessa motivazione, nonché l’omessa motivazione rafforzata e, infine, la derubricazione del reato nell’ipotesi di cui all’art. 319 -quater cod. pen., in relazione all’assunzione p’resso la “RAGIONE_SOCIALE” di COGNOME NOME e alla dazione della somma di €7.000, costituenti ulteriori condotte concussive contestate nel capo A).
Sottolinea la difesa come la motivazione contenuta nella sentenza di appello sia meramente apparente, limitandosi a dare atto che l’assunzione di NOME si colloca temporalmente nel periodo in cui NOME era interessato ad ottenere la liquidazione del secondo SAL. Difetterebbe qualsivoglia motivazione in ordine alla condotta concussiva posta in essere per imporre l’assunzione di NOME che, del resto, non è neppure descritta specificamente da NOME.
Analoghi vizi riguarderebbero il versamento della somma di €7.000 nel 2006, quale contributo per la campagna elettorale cui era interessato COGNOME, rispetto alla quale la deposizione di NOME è generica e ricollega la presunta dazione al perseguimento di ulteriori interessi.
In ogni caso, anche rispetto a tali condotte, mancando una esplicita minaccia e inserendosi in una più ampia finalità di mantenere buoni rapporti con il vertice dell’amministrazione comunele, potrebbe al più ipotizzarsi la sussistenza del reato di cui all’art. 319-quater cod. pen.
2. Con il decimo, undicesimo, dodicesimo e tredicesimo motivo, il ricorrente censura la condanna per il reato di peculato di cui al capo C), sotto plurimi profili di violazione di legge, mancanza di motivazione rafforzata e vizio di motivazione.
La sentenza di appello, inoltre, avrebbe reso una motivazione apparente, nella quale si dà per provato che COGNOME abbia eseguito rifornimenti di carburante presso il distributore della società “RAGIONE_SOCIALE“, affidataria del servizio di nettezza urbana, senza indicare specificamente le intercettazioni e le ulteriori prove che consentirebbero di pervenire a tale conclusione.
In particolare, si segnala come la ricostruzione in fatto operata dalla Corte di appello, sul punto conforme a quella di primo grado, non avrebbe enucleato elementi specifici a supporto delle presunte appropriazioni di carburante nelle date indicate nell’imputazione, posto che gran parte delle prove addotte farebbero riferimento a date diverse ed estranee al periodo oggetto di contestazione.
La sentenza impugnata, peraltro, sarebbe incorsa anche in violazione dell’art. 314 cod. pen. omettendo di confrontarsi e di superare l’argomento, recepito dalla sentenza di primo grado, secondo cui le condotte ascritte all’imputato non avrebbero arrecato alcuna offesa al bene giuridico tutelato, anche in considerazione della natura privata della società presso il cui distributore si erano verificati i prelievi.
2.g. Con il quattordicesimo, quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo motivo, formulati in relazione al reato di concussione di cui al capo G), il ricorrente propone plurime censure per violazione di legge e vizio di motivazione, in subordine chiedendo la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 319-quater cod. pen.
Si censura che, nel ricostruire la vicenda relativa all’esecuzione di lavori idraulici da parte di NOME COGNOME presso l’abitazione di COGNOME, la Corte di appello non avrebbe confutato le puntuali osservazioni recepite nella sentenza di primo grado, in ordine alla genericità della deposizione della persona offesa, alla mancanza di prova circa la commissione di una effettiva condotta concussiva e alla immotivata svalutazione di fondamentali prove a discarico acquisite nel corso del giudizio.
Peraltro, in sede di rinnovazione della testimonianza, COGNOME avrebbe affermato di esser stato pagato per i lavori eseguiti presso l’abitazione di COGNOME, il che escluderebbe in radice la sussistenza del reato contestato.
Aggiunge il ricorrente di aver fornito prova del disconoscimento, in sede civile, dei crediti asseritamente vantati da COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, il che escluderebbe il sinallagma tra l’esecuzione dei lavori a casa del sindaco e l’ottenimento del pagamento di crediti risultati, in realtà, inesistenti.
Infine, si contesta l’omessa valorizzazione della deposizione resa dalla moglie di COGNOME, ma confermata anche da – COGNOME (dipendente di COGNOME e autore di un intervento sulla caldaia dell’abitazione de! Sindaco), secondo cui costui aveva ritenuto di non farsi pagare, essendosi limitato a far ripartire la caldaia senza eseguire alcun intervento di manutenzione.
In subordine, anche in relazione al capo G) la difesa ha richiesto la derubricazione nell’ipotesi di cui all’art. 319-quater cod. pen. e la conseguente dichiarazione di estinzione per prescrizione.
24, Con il diciottesimo, diciannovesimo e ventesimo motivo, il ricorrente deduce la mancanza di motivazione, il travisamento della prova e l’omesso proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. con riferimento alle condotte di cui al capo B), nonché a quelle contestate sub A) ma ricondotte al reato di induzione indebita, per le quali è intervenuta l’estinzione per prescrizione.
La motivazione sarebbe manifestamente contraddittoria, ricostruendo erroneamente le vicende e non tenendo conto della ben più precisa valutazione dei fatti operata dalla sentenza di primo grado, soprattutto con riguardo alla vicenda concernente il presunto acquisto di alcuni “computer” da parte di NOME e destinati a COGNOME, nonché all’acquisto di beni di lusso per la moglie di quest’ultimo.
In ordine alla ritenuta richiesta della dazione di €20.000 (poi ridotta ad €10.000) finalizzata a consentire la modifica del piano regolatore e il mutamento di destinazione di alcuni terreni della NOME, da agricoli a edificabili, er stata erroneamente valutata sia la deposizione della persona offesa, sia il dato oggettivo secondo cui il Sindaco non aveva alcuna possibilità concreta di incidere
(4, sull’iter amministrativo del piano urbanistico.
2.7. Con il ventunesimo, ventiduesimo e ventitreesimo motivo, riferiti ai capi sub D) e E) per i quali è già intervenuta la dichiarazione di prescrizione, il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione con riguardo al capo E) e il vizio di motivazione per il capo D).
24v. Con l’ultimo motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge in ordine all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche e la violazione dell’art. 133 cod. pen. in riferimento alla quantificazione della pena.
3.Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati formulati cinque motivi di ricorso, ulteriormente illustrati con memoria difensiva del 28 marzo 2024.
. 3.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta colpevolezza per il reato di tentata induzione indebita di cui al capo B), per il quale è intervenuta dichiarazione di prescrizione con conferma delle statuizioni civili.
La sentenza di appello avrebbe dichiaratamente omesso di supportare la riforma con una motivazione rafforzata, limitandosi ad una rivalutazione parcellizzata delle dichiarazioni della parte civile.
3.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione in relazione al reato di peculato contestato al capo C), in relazione al quale sarebbe stata affermata l’appropriazione di gasolio da parte dell’imputato pur in mancanza di elementi probatori idonei a supportare tale accusa, posto che i testi escussi non avevano riferito di aver assistito a tali condotte, né vi erano elementi indiziari di alt genere.
La Corte, inoltre, avrebbe immotivatamente disatteso il ragionamento posto a fondamento della sentenza assolutoria di primo grado, fondata sull’assenza di un danno alla pubblica amministrazione quale conseguenza dei presunti indebiti prelievi di carburante, eseguiti presso la società affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti.
3.3. Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al reato di tentata induzione indebita di cui al capo B), fondata su una erronea ricostruzione del fatto e resa senza considerare che non vi è mai stata alcuna espressa richiesta di denaro, né condotte idonee ad incidere sulla volontà della persona offesa che, peraltro, non era neppure titolare dei terreni che avrebbero dovuto mutare destinazione urbanistica.
3.4. Con il quarto motivo, riferito al capo D) e per il quale è intervenuta la dichiarazione di prescrizione in appello, il ricorrente lamenta il vizio di motivazione sul presupposto dell’inidoneità degli elementi emersi a supportare la ritenuta
sussistenza del fatto, sia pur nella diversa qualificazione nel reato di induzione indebita anziché di concussione.
3.5. Con il quinto motivo, si deduce il vizio di motivazione in merito alla quantificazione della pena e all’esclusione delle attenuanti generiche.
Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati formulati tre motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo, deduce la violazione dell’art.314 cod. pen. con riferimento alla sussistenza di un danno per la pubblica amministrazione e la conseguente offensività della condotta.
La Corte di appello, infatti, avrebbe omesso di valorizzare il fatto che la “RAGIONE_SOCIALE” è una società privata, sia pur incaricata di un pubblico servizio, sicchè i prelievi di carburante dovevano ritenersi leciti, non sussistendo un vincolo all’utilizzo di tale bene per l’esclusivo rifornimento dei veicoli utilizzati per raccolta dei rifiuti. Inoltre, poiché il rapporto tra la società e il RAGIONE_SOCIALE era canone fisso, doveva ritenersi del tutto irrilevante l’eventuale utilizzo del carburante per finalità esulanti dallo svolgimento del pubblico servizio.
4.2. Con il secondo motivo, deduce il vizio di motivazione in merito all’accertamento degli specifici episodi di appropriazione del carburante, desunto sulla base di elementi incerti e di intercettazioni che si collocano anche al di fuori del periodo riferito a ciascuna condotta appropriativa.
4.3. Con il terzo motivo, deduce il vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena e all’omesso riconoscimento delle attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono fondati nei limiti di seguito indicati.
I ricorsi proposti da COGNOME e COGNOME presentano aspetti comuni, sicchè le considerazioni svolte nei confronti del primo sono essenzialmente valide anche per il secondo dei predetti ricorrenti.
L’impugnazione è stata strutturata proponendo in via generale la questione del vizio della sentenza di appello per carenza di una motivazione rafforzata, idonea a superare la sentenza assolutoria di primo grado, per poi declinare tale motivo con specifico riferimento ai singoli capi di imputazione.
In linea generale, il motivo è infondato, posto che la Corte di appello, pur avendo nelle premesse censurato l’iter argomentativo recepito nella sentenza di primo grado, al punto di ritenere che per la riforma non sarebbe stata neppure
necessaria una motivazione rafforzata, in concreto ha ampiamente illustrato le ragioni per cui le singole e specifiche ricostruzioni in punto di fatto recepite dal primo giudice non fossero corrette.
A ben vedere, con riguardo a ciascuna imputazione la Corte di appello ha sottoposto ad analitica critica la motivazione della sentenza di primo grado, confrontandola con le effettive risultanze probatorie e fornendo idonea spiegazione delle diverse conclusioni cui è pervenuta, in tal modo realizzando appieno quel percorso argomentativo sinteticamente descritto con il concetto di “motivazione rafforzata”.
Per le medesime ragioni deve ritenersi infondato anche il primo motivo di ricorso proposto da COGNOME con riguardo al reato di induzione indebita formulato sub B), per il quale è stata pronunciata condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile.
2.1. Passando all’esame nel merity, del ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, deve essere preliminarmente affrontato il quinto motivo, concernente l’invocata derubricazione del reato di concussione contestato al capo A) nella meno grave fattispecie dell’induzione indebita.
Sulla base dei complessi rapporti intercorsi tra il Sindaco COGNOME e NOME COGNOME, è emerso come quest’ultimo fosse un imprenditore attivo in vari settori: in particolare, accanto all’attività svolta mediante la “RAGIONE_SOCIALE” società partecipata anche dal RAGIONE_SOCIALE e che si occupava della gestione delle saline – NOME era impegnato anche nell’esecuzione di lavori pubblici di vario genere,’ la sua NOME, inoltre, era titolare di terreni interessati dallo sviluppo urbanistico i atto.
Complessivamente, pertanto, NOME si poneva quale un imprenditore le cui attività erano direttamente e con riferimento a plurimi settori condizionate dai rapporti con l’amministrazione comunale e, quindi, con il Sindaco.
Tale condizione ha sicuramente rappresentato il presupposto affinchè COGNOME inducesse NOME alle dazioni descritte nelle imputazioni e che hanno trovato conferma nella deposizione della parte civile.
Al contempo, tuttavia, deve anche ritenersi che le dazioni e le promesse non erano frutto di una attività concussiva, quanto di una più ampia valutazione di opportunità per l’imprenditore interessato a ricostituire e mantenere buoni rapporti con l’amministrazione comunale e, segnatamente, con COGNOME.
In quest’ottica, trova soluzione l’apparente contraddittorietà della ricostruzione temporale della vicenda riguardante le dazioni connesse allo sblocco del secondo stato di avanzamento dei lavori eseguito da NOME.
L’elemento di criticità che aveva indotto il giudice di primo grado ad escludere
la prova del reato era, in gran parte, desunto dal fatto che NOME aveva eseguito la dazione della somma di €2.000,00, nonché il pagamento dell’affitto della sede di partito di COGNOME, in epoca successiva rispetto al pagamento del SAL.
Invero, il complesso svolgimento ,dei fatti ha trovato una più corretta ricostruzione nella sentenza di appello, lì dove le varie dazioni di denaro non vengono poste in correlazione sinallagmatica con il solo pagamento dello stato di avanzamento dei lavori, bensì con una più ampia esigenza – chiaramente rappresentata da NOME – di evitare condizionamenti che potessero inficiare i suoi rapporti imprenditoriali con il RAGIONE_SOCIALE.
Dalla complessiva ricostruzione in punto di fatto riferita al capo A), emerge che il ritardato pagamento dei lavori relativi al ripristino della rete fognaria (di cu al richiamato 2° SAL) era solo un “episodio emblematico” per far comprendere a NOME l’esigenza di accondiscendere alle richieste di NOME, al fine di garantirsi il mantenimento di buoni rapporti.
In quest’ottica, quindi, pare corretto ritenere che le relazioni esistenti tra NOME e NOME erano contraddistinte da un abuso del ruolo rivestito da parte del primo, rispetto al quale, tuttavia, la posizione di NOME non era quella del mero imprenditore concusso, posto che il predetto ha dichiaratamente ammesso di aver agito essenzialmente per garantii -si una posizione di favore rispetto alle plurime attività per le quali necessitava di confrontarsi con l’amministrazione comunale.
La stessa Corte di appello – nel compiere una esaustiva rivalutazione in fatto – non ha mancato di evidenziare come NOME, pur sottolineando le pressioni esercitate da COGNOME, non avrebbe mai descritto una condotta di “minaccia”, bensì una forma di prospettazione della possibilità di un uso della funzione del Sindaco in senso favorevole o sfavorevole ai suoi interessi, a seconda dell’atteggiamento di minore o maggior accondiscendenza nei confronti delle richieste del Sindaco.
2.2. L’individuazione dell’esatto discrimine tra il reato di concussione e quello di induzione indebita ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali rispetto ai quali la pronuncia delle Sezioni unite, con la sentenza “COGNOME“, ha offerto elementi di valutazione dotati di adeguata idoneità classificatoria.
Si è ritenuto che il reato di cui all’art.319-quater cod. pen. presuppone un pubblico agente che “induca” il privato alla dazione, facendo valere la propria qualità o l’esercizio dei poteri pubblicistici, tuttavia, il risultato dell’induzione d perfezionarsi per la concomitante sussistenza di un vantaggio indebito per il privato, elemento questo che funge da motivazione concorrente alla scelta di promettere o dare l’utilità richiesta dal pubblico agente.
La differenza tra i predetti reati, pertanto, viene essenzialmente individuata nella contrapposizione tra un male ingiusto, connotante la violenza o la minaccia costrittiva, e l’indebito vantaggio che, invece, consegue all’azione induttiva.
Le Sezioni unite, nella consapevolezza della difficoltà di individuare criteri astratti, hanno affermato che il delitto di concussione è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319quater cod. pen., la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. La Corte ha precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta (Sez.U, n. 12228 del 24/10/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. P_IVA).
2.3. I principi sopra enunciati si attagliano appieno alla fattispecie in esame, connotata da una evidente ambiguità del rapporto che, nel corso degli anni, si è instaurato tra NOME e NOME, il primo forte della sua posizione verticistica nell’amministrazione comunale e, il secondo, altrettanto consapevole del rilevante ruolo imprenditoriale svolto sul territorio. È proprio in tale specificità del relazione, nonché nel fatto che NOME era interessato, in via generale, a mantenere buoni rapporti, nell’ottica di ottenere anche vantaggi indebiti – come testimoniato dalla vicenda relativa al mutamento di destinazione d’uso di alcuni terreni appartenenti alla sua NOME – che si giustifica la qualificazione dell’intera condotta in termini di induzione indebita, piuttosto che di concussione.
Del resto, la scissione operata dalla Corte di appello in relazione alla condotta contestata al capo A), ritenuta integrare per i fatti commessi fino ad aprile 2006 il reato di concussione e, per quelli successivi, il reato di induzione indebita, appare di per sé contraddittoria e non fondata su una reale modifica delle modalità di rapportarsi tra di loro dei protagonisti della vicenda.
2.4. Quanto detto consente di ritenere che, così come già avvenuto con
riguardo al capo B), anche per il capo A) appare maggiormente corretta la qualificazione della condotta in termini di induzione indebita, dal che ne consegue l’intervenuta prescrizione, pur considerando l’amplissimo periodo di sospensione dei termini.
In considerazione dell’avvenuta condanna in favore della parte civile, deve precisarsi che la ricostruzione in punto di fatto operata dalla Corte di appello non presenta profili di manifesta illogicità o contraddittorietà tali da consentire l’annullamento, sia pur ai limitati fini civilistici, dell’accertamento delle condotte reato.
Ne consegue che le statuizioni civili, ivi comprese quelle relative al capo B), riguardanti anche il coimputato COGNOME, devono essere mantenute ferme.
I motivi di ricorso espressamente dedicati agli aspetti ricostruttivi in fatto, s risolvono nel tentativo, non consentito in questa sede, di una rivalutazione nel merito. Né è sindacabile il giudizio di piena attendibilità reso nei confronti di NOME, con la conseguenza che le richieste di denaro e altre utilità dal medesimo puntualmente riferite devono ritenersi adeguatamente provate.
Alle medesime conclusioni deve giungersi anche in relazione al reato di concussione, contestato nei confronti del solo COGNOME e per il quale non è intervenuta costituzione di parte civile.
La vicenda attiene ai rapporti intercorsi tra COGNOME e l’imprenditore NOME COGNOME, il quale aveva provveduto ad eseguire lavori nell’interesse del RAGIONE_SOCIALE amministrato dall’imputato, senza la stipula di formali contratti di appalto.
La Corte di appello, nel ricostruire la vicenda, ha precisato che COGNOME aveva eseguito lavori presso l’abitazione del Sindaco per l’ammontare di circa €700,00, senza ricevere il pagamento. COGNOME, peraltro, ha specificato di non aver sostanzialmente richiesto a COGNOME il pagamento di tale somma, sperando in tal modo di ottenere il pagamento dei ‘lavori – dell’importo ben più elevato eseguiti per conto del RAGIONE_SOCIALE e senza conferimento di alcun contratto di appalto, essendosi fidato dell’incarico informale da parte del Sindaco, il quale lo aveva costantemente rassicurato sulla futura regolarizzazione.
Orbene, la natura dei rapporti intercorsi tra COGNOME e COGNOME è agevolmente riconducibile nello schema tipico dell’induzione indebita, piuttosto che in quello della concussione. In tal senso depone sia il fatto che il COGNOME non ha mai riferito di minacce esplicite poste in esse da COGNOME per ottenere l’esecuzione di lavori presso la sua abitazione, sia la circostanza che COGNOME aveva uno specifico interesse a conseguire un vantaggio indebito, consistente nel pagamento dei lavori eseguiti su incarico verbale del Sindaco.
Tanto ciò è vero che, come dedotto dalla difesa dell’imputato, COGNOME COGNOME ha successivamente ottenuto il pagamento dei predetti lavori, essendo stata rigettata l’azione civile, proprio in virtù del fatto ce i lavori non erano stati legittimament commissionati.
In conclusione, quindi, il fatto, così come ricostruito dalla sentenza di appello, appare pienamente riconducibile alla fattispecie dell’induzione indebita, il che determina l’intervenuta prescrizione, trattandosi di condotte risalenti al settembre 2006.
Passando all’esame del reato di peculato contestato agli imputati al capo c), occorre premettere che la ricostruzione in punto di fatto è immune da censure, avendo entrambi i giudici di merito ritenuto provato che COGNOME e COGNOME si siano appropriati di carburante appartenente alla società “RAGIONE_SOCIALE“, avvalendosi del concorso materiale del COGNOME, dipendente della predetta società.
Le sentenze di primo e secondo grado divergono, tuttavia, in merito al riconoscimento della sussistenza del reato di peculato.
In primo grado, il peculato era stato escluso sul presupposto che le appropriazioni di carburante fossero inidonee a causare un danno di rilevante entità per la pubblica amministrazione, anche in considerazione del fatto che la società “RAGIONE_SOCIALE” ha natura privatistica. La Corte di appello ha disatteso tale valutazione, ritenendo che l’appropriazione, avendo ad oggetto un bene di valore comunque apprezzabile, integrerebbe in ogni caso il reato di peculato, ritenuto configurabile per il solo fatto che la “RAGIONE_SOCIALE“, pur essendo una società privata, svolgeva un pubblico servizio (raccolta nettezza urbana).
4.1. Ritiene la Corte che le sentenze di merito e, in particolare, quella di secondo grado, non hanno adeguatamente valutato la configurabilità del reato di peculato.
Occorre premettere che la “RAGIONE_SOCIALE” era la società affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, elemento che è stato valorizzato al fine di attribuir natura pubblicistica all’ente, pur se trattavasi di soggetto di diritto privato.
In particolare, la Corte di appello ha operato una sostanziale equiparazione tra lo svolgimento di un servizio pubblico (qual è la raccolta dei rifiuti) e l’attribuzione alla società della natura di soggetto incaricato di pubblico servizio. Si tratta di un’equiparazione che non appare corretta, posto che l’espletamento di un pubblico servizio non può determinare la trasformazione della natura giuridica – da privata in pubblica – della società che lo gestisce.
4.2. In linea generale, deve ribadirsi che gli enti che, pur costituiti in forma privata, esercitano un pubblico servizio in rapporto concessorio assumono
sicuramente la qualifica pubblicistica, proprio per effetto della natura traslativa della concessione e limitatamente allo svolgimento della stessa.
Altrettanto indiscussa è la natura pubblicistica delle società in house, costituite in presenza dei seguenti requisiti: a) la personalità giuridica; b) l’istituzion dell’ente per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale; c) il finanziamento della attività in modo maggioritario da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organism di diritto pubblico, oppure la sottoposizione della gestione al controllo di questi ultimi o la designazione da parte dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di alt organismi di diritto pubblico, di più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza (Sez.2, 28085 del 17/6/2015, COGNOME, Rv.264233; Sez.6, n. 23910 del 3/4/2023, COGNOME, Rv. 284759; Sez. 6, n. 37076 del 30/6/2021, COGNOME, Rv. 282305; Sez.6, n. 58235 del 9/11/2018, COGNOME, Rv. 274815).
Peraltro, anche in relazione agli enti sostanzialmente pubblici, una parte della giurisprudenza ritiene che gli artt. 357 e 358 cod. pen. non consentono di desumere la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio dalla mera natura dell’ente di appartenenza, in quanto la funzione pubblica e il pubblico servizio possono essere svolti sia da soggetti privati che da soggetti pubblici. Si è sostenuto, infatti, che il criterio oggettivo-funzionale, delineato dalle richiamate norme, impone di avere riguardo all’attività concretamente esercitata dal soggetto attivo, piuttosto che alla natura pubblica, o a prevalente partecipazione pubblica, dell’ente di appartenenza (Sez.6, n. 2459à dell’8/2/2023, COGNOME, Rv. 284914; Sez.6, n. 18837 dell’8/2/2023, COGNOME, Rv.284620).
4.3. Maggiori problemi si pongono nei casi in cui un’attività astrattamente di interesse pubblicistico venga svolta, al di fuori di un rapporto concessorio, da un soggetto che ha veste non solo formalmente, ma anche sostanzialmente privatistica.
È l’ipotesi che tipicamente si realizza nel caso in cui un servizio pubblico è oggetto di appalto conferito ad una società privata, non partecipata dall’ente pubblico e priva di poteri pubblicistici derivanti da una concessione traslativa.
In tali casi, la società che svolge un servizio pubblico non muta in alcun modo la sua natura privatistica, come pure i beni di cui è proprietaria non assumono una destinazione pubblicistica.
Il rapporto tra società ed ente appaltante, infatti, rimane circoscritto all’ambito tipico del contratto di appalto, in relazione al quale il privato è tenuto all’adempimento, senza che per ciò solo possa configurarsi un vincolo di destinazione in relazione ai beni utilizzati per l’esecuzione del servizio.
L’equivoco che deve essere evitato, pertanto, concerne la presunta equiparazione tra l’espletamento di un’attività avente rilevanza di pubblico servizio e l’automatica attribuzione all’ente che se ne occupa e, in conseguenza, ai soggetti che per esso agiscono, della qualifica pubblicistica richiesta per la configurabilità dei reati contro la pubblica amministrazione.
Valorizzando il criterio oggettivo-funzionale, deve affermarsi che il mero svolgimento, da parte di un ente formalmente e sostanzialmente privato, di un servizio di pubblico interesse non comporta necessariamente l’attribuzione della qualifica pubblicistica ai soggetti che per esso agiscono, dovendosi valutare in concreto l’attività posta in essere e la sua diretta finalità pubblicistica.
Parimenti non può ritenersi corretta l’equiparazione – operata dalla Corte di appello – secondo cui lo svolgimento di un pubblico servizio comporta che i beni dell’ente che ne è incaricato assumano v’àlenza pubblicistica, con la conseguenza che l’eventuale appropriazione degli stessi determinerebbe il reato di peculato.
Pur dovendosi ribadire in linea generale che, nel delitto di peculato, il concetto di “appropriazione” comprende anche la condotta di “distrazione” in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (Sez.6, n.25258 del 4/6/2014. Cherchi, Rv.260070), tale principio non è applicabile al caso in esame.
A ben vedere, infatti, i beni di una società privata, pur se incaricata dello svolgimento di un pubblico servizio, non divengono per ciò solo destinati all’adempimento della funzione pubblicistica, né vengono assoggettati a vincoli di indisponibilità. Al contempo, il soggetto che ha la disponibilità di tali beni, non potendo rivestire la qualifica di incaricato di pubblico servizio per il solo fatto d agire per conto della società che svolge un’attività di rilievo pubblicistico, non commette il reato di peculato qualora si appropri dei suddetti beni.
4.4.In conclusione, deve affermarsi il principio secondo cui l’appalto per lo svolgimento di un pubblico servizio, conferito ad una società privata, non imprime un vincolo di destinazione pubblicistica ai beni della stessa e, conseguentemente, non comporta l’attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo al soggetto che ne disponga, sicchè la loro eventuale appropriazione non integra il delitto di peculato.
4.5. Per completezza, si rileva che la condotta in esame potrebbe astrattamente integrare il reato di appropriazione indebita, ma ciò presupporrebbe una rivalutazione circa la consapevolezza o meno, da parte dell’organo amministrativo della società, dei rifornimenti di carburante eseguiti in favore degli imputati. Tale accertamento di merito, tuttavia, risulterebbe superfluo, posto che
il reato di appropriazione indebita dovrebbe essere dichiarato prescritto.
I restanti motivi di ricorso proposti da COGNOME, concernenti i reati per i quali è stata già dichiarata la prescrizione in appello, senza che vi sia stata condanna agli effetti civili, sono inammissibili per carenza di interesse.
Alla luce delle considerazioni svolte, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, nei confronti di COGNOME, COGNOME e COGNOME, in relazione al reato di peculato contestato al capo C), perché il fatto non sussiste.
Previa riqualificazione dei fatti di cui ai capi A) e G) nel reato di induzione indebita, deve esserne dichiarata l’intervenuta prescrizione, posto che – pur considerando la notevole sospensione del termine pari a circa cinque anni – i predetti reati, risalenti all’anno 2006 sono sicuramente estinti per prescrizione.
Le statuizioni civili vanno confermate, posto che i motivi proposti da COGNOME e COGNOME in ordine alla ricostruzione dei fatti non sono risultati fondati, e la diversa qualificazione giuridica del fatto (per il capo A) non incide sull’esistenza dell’obbligo risarcitorio.
Su tale aspetto deve richiamarsi il condivisibile principio secondo cui la riqualificazione, operata dalla Corte di Cassazione, a seguito dell’entrata in vigore della I. n. 190 del 2012, del delitto di concussione in quello di indebita induzione non fa venir meno il diritto alla restituzione e al risarcimento del danno a favore di colui che, al momento della commissione del fatto, era da considerarsi persona offesa dal reato (Sez.6, n. 31957 del 25/1/2013, Cordaro, Rv. 255598).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME limitatamente al reato di cui al capo C) perché il fatto non sussiste.
Riqualificati i fatti di cui ai capi A) e G) ai sensi dell’art. 319-quater cod. pen., annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME perché gli stessi sono estinti per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.
Rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Così deciso il 17 aprile 2024
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Il Consigliere estensore