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Peculato: ricorso inammissibile e condanna confermata

Un cassiere condannato per peculato per essersi appropriato di una piccola somma versata per una multa. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile, confermando la condanna, a causa della genericità e manifesta infondatezza dei motivi, tra cui la prescrizione e la valutazione delle prove.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato: la Cassazione conferma la condanna e chiarisce i limiti del ricorso

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9435 del 2025, ha affrontato un caso di peculato commesso da un pubblico ufficiale, fornendo importanti chiarimenti sui requisiti di ammissibilità del ricorso e sulla valutazione delle prove. La vicenda riguarda un cassiere di un comando dei Carabinieri, condannato per essersi appropriato di una somma di denaro versata da un cittadino per il pagamento di una sanzione al codice della strada. L’analisi della Suprema Corte si concentra sulla manifesta infondatezza e genericità dei motivi di ricorso, confermando integralmente la condanna dei giudici di merito.

I Fatti: L’appropriazione di una somma irrisoria

Il caso ha origine dalla condanna di un cassiere in servizio presso la Sezione Amministrativa di un Comando provinciale dei Carabinieri. L’imputato era accusato di essersi impossessato della somma di 119,00 euro, ricevuta da un cittadino in data 4 gennaio 2012 a titolo di oblazione per una violazione del codice della strada. La Corte di Appello di Catanzaro aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo provata la sua responsabilità penale per il reato di peculato, previsto dall’art. 314 del codice penale.

I Motivi del Ricorso e il Peculato

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali, con i quali ha cercato di smontare l’impianto accusatorio e la decisione dei giudici di secondo grado.

La Prescrizione del Reato

Come primo motivo, la difesa ha eccepito l’avvenuta prescrizione del reato. Si sosteneva che il tempo trascorso dalla commissione del fatto (2012) fosse sufficiente a estinguere il reato.

La Valutazione delle Prove

Il secondo motivo, più articolato, lamentava vizi di violazione di legge e di motivazione. La difesa criticava la Corte d’Appello per non aver considerato una sentenza di assoluzione emessa dal Tribunale militare di Napoli per fatti analoghi. Inoltre, si contestava la debolezza delle prove a carico: la sigla sulla quietanza era ritenuta facilmente riproducibile, non vi era stato alcun riconoscimento da parte di chi aveva pagato e, in assenza del cassiere titolare, anche altre persone avrebbero potuto ricevere il denaro.

La Richiesta di Benefici e Sconti di Pena

Con il terzo motivo, l’imputato lamentava l’omessa motivazione su diverse richieste formulate in appello: la concessione delle circostanze attenuanti generiche, la diminuzione di pena prevista dall’art. 323-bis c.p., la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna nel casellario giudiziale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Peculato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, smontando punto per punto le argomentazioni difensive. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di peculato e di procedura penale.

Inammissibilità per Genericità e Manifesta Infondatezza

La Corte ha ritenuto il primo motivo sulla prescrizione manifestamente infondato, poiché, considerando la pena massima per il peculato all’epoca dei fatti (dieci anni), il termine massimo non era ancora decorso al momento della pronuncia d’appello.

Anche il secondo motivo è stato giudicato generico e confutativo. I giudici hanno sottolineato che il ricorso ometteva di confrontarsi con gli elementi decisivi valorizzati dalla Corte di merito, ovvero:
1. All’epoca dei fatti, l’imputato era l’unico soggetto abilitato alla riscossione delle sanzioni.
2. Il timbro e la sigla apposti sulla quietanza erano riconducibili all’imputato, non erano mai stati formalmente disconosciuti ed erano identici a quelli presenti su altre quietanze.
Inoltre, la sentenza di assoluzione del Tribunale militare era stata correttamente ritenuta inconferente, in quanto relativa ad altri fatti.

Infine, il terzo motivo è stato considerato inammissibile per diverse ragioni: aspecifico sulla richiesta di attenuanti generiche (senza indicare quali elementi favorevoli fossero stati trascurati), incomprensibile sulla richiesta ex art. 323-bis (già concessa in primo grado) e manifestamente infondato riguardo alla sospensione condizionale e alla non menzione. Su quest’ultimo punto, la Corte ha evidenziato che i giudici d’appello avevano adeguatamente motivato il diniego sulla base dei precedenti penali dell’imputato, formulando una prognosi negativa che, secondo la Cassazione, assorbe e giustifica anche il diniego della non menzione.

Le Conclusioni: Principi di Diritto e Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce alcuni principi fondamentali. In primo luogo, un ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito, ma deve evidenziare vizi logici o giuridici specifici della sentenza impugnata, confrontandosi puntualmente con le sue argomentazioni. In secondo luogo, la valutazione della prova è di competenza esclusiva dei giudici di merito e non può essere messa in discussione in sede di legittimità se la motivazione è logica e coerente. Per quanto riguarda il reato di peculato, la decisione conferma che elementi come l’esclusività della mansione e la riconducibilità di sigle e timbri possono costituire prove sufficienti a fondare una condanna, anche in assenza di un riconoscimento diretto del colpevole.

Quando un ricorso in Cassazione per peculato rischia di essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso è inammissibile quando i motivi sono generici, non si confrontano con le argomentazioni della sentenza impugnata, si limitano a riproporre le stesse questioni già respinte o tentano di ottenere una nuova valutazione dei fatti, che è preclusa in sede di legittimità.

Una precedente assoluzione per fatti simili può essere usata come prova decisiva in un altro processo?
No, la Corte ha stabilito che una sentenza di assoluzione, anche se emessa da un’altra autorità giudiziaria (in questo caso il Tribunale militare) per fatti diversi, è stata correttamente ritenuta inconferente e non decisiva per l’accertamento dei fatti nel processo in corso.

La mancata concessione della sospensione condizionale della pena deve essere sempre motivata in modo specifico?
Sì, ma la motivazione può basarsi su una prognosi sfavorevole circa il comportamento futuro del reo, desunta dai suoi precedenti penali. Secondo la Corte, una tale prognosi negativa è sufficiente a giustificare non solo il diniego della sospensione condizionale, ma anche quello del beneficio della non menzione della condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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