Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3712 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3712 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME COGNOME nato a Scicli il 10/10/1978
avverso la sentenza emessa in data 24/11/2023 dalla Corte di appello di Catania visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; avvocato NOME COGNOME che ha insistito per
lette le conclusioni de ll’ l’accoglimento de i motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Siracusa ha chiesto il rinvio a giudizio di NOME COGNOME COGNOME per i delitti di peculato contestati ai capi A) e B),
per il delitto di truffa contestato al capo C) e per il delitto di falso di cui agli artt. 480 e 482 cod. pen. contestato al capo D).
Secondo l’ipotesi di accusa, l’imputato, in qualità di incaricato di pubblico servizio, quale titolare dello sportello telematico dell’automobilista attivato dall’agenzia di disbrigo pratiche ‘RAGIONE_SOCIALE e mandatario per conto dell’A .C.I. della riscossione dei tributi relativi alle formalità telematiche per l’iscrizione al P.R.A., si sarebbe appropriato dell a somma di 4.282,75 euro, costituita dagli importi da versare dal 7 novembre 2018 al 15 novembre 2018 (capo A).
COGNOME, inoltre, si sarebbe appropriato dell’assegno dell’importo di euro 566,00, ricevuto da NOME COGNOME con il mandato di pagare la tassa auto relativa agli anni 2015 e 2016, senza, peraltro, effettuare all’A .C.I. il versamento dovuto (capo B), e avrebbe truffato NOME COGNOME in quanto, rappresentandogli di aver sottoscritto il contratto di assicurazione della propria autovettura con la compagnia RAGIONE_SOCIALE, gli avrebbe consegnato un falso certificato assicurativo, per acquisire la somma corrisposta dalla persona offesa per pagare il premio (capo C).
Il ricorrente, da ultimo, avrebbe falsificato un tagliando da applicare sulla carta di circolazione, al fine di attestare il trasferimento di proprietà del l’ autovettura targata TARGA_VEICOLO di NOME COGNOME (capo D).
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Siracusa, con sentenza emessa in data 16 dicembre 2021 all’esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati contestati ai capi A), B) e D), quest’ultimo qualificato ai sensi degli artt. 477 e 482 cod. pen., e, riconosciute le attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena di due anni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali; il Giudice dell’udienza preliminare ha inoltre dichiarato di non doversi procedere in ordine al reato contestato al capo C), in quanto estinto per remissione della querela.
Con la pronuncia impugnata, la Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza di primo grado, appellata dall’imputato, ha dichiarato di non doversi procedere per difetto di querela nei confronti del medesimo in ordine al reato di cui all’art. 646 cod. pen., così riqualificato il fatto allo stesso ascritto al capo B), e ha rideterminato la pena per i residui delitti di cui ai capi A) e D), in un anno, undici mesi e dieci giorni di reclusione.
L’avvocato NOME COGNOME, difensore di Frasconi, ha impugnato questa sentenza e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo quattro motivi di ricorso.
4.1. Con il primo motivo, il difensore ha eccepito l’inosservanza della legge
penale con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di peculato contestato al capo A) della rubrica.
L ‘esistenza di una polizza fideiussoria a garanzia del versamento del denaro nelle casse pubbliche avrebbe determinato, nella sfera psichica dell’imputato, la certezza che nessuna somma sarebbe stata sottratta all’erario; ad avviso del difensore, questi rilievi escluderebbero la sussistenza dell ‘ illecita volontà appropriativa e, dunque, del dolo del delitto contestato.
Il peculato, del resto, non si consuma per effetto della mera scadenza del termine per provvedere all’adempimento fissato nella convenzione stipulata con la pubblica amministrazione, ma della sottrazione della res per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile.
4.2. Con il secondo motivo, il difensore ha dedotto l’inosservanza degli artt. 480 e 482 cod. pen. e la mancanza di motivazione in relazione al delitto di falso contestato al capo D).
Il difensore rileva che l’intera operazione riguardante il passaggio di proprietà dell’auto vettura indicata al capo D) della rubrica è stata posta in essere da NOME COGNOME persona inspiegabilmente rimasta «fuori dal cono di indagine».
Il vizio di motivazione della sentenza di condanna risiederebbe proprio nell ‘originaria contraddittorietà e lacunosità dell’indagine, che ha propagato i suoi effetti sulla decisione impugnata.
Non vi sarebbe, inoltre, prova che il falso tagliando, che attesta la registrazione del passaggio di proprietà presso il P.R.A., sia stato formato e apposto dall’imputato , in quanto questo si sarebbe limitato a consegnare alla persona offesa NOME COGNOME la documentazione per conto di NOME COGNOME.
Le sole dichiarazioni rese da COGNOME sarebbero, peraltro, insufficienti alla corretta ricostruzione dei fatti e all’affermazione d ella responsabilità penale dell’imputato.
Tali rilievi, ad avviso del difensore, avrebbero dovuto imporre l’assoluzione dell’imputato o comunque , l’applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131bis cod. pen.
4.3. Con il terzo motivo, il difensore censura l’inosservanza degli artt. 133, 133 bis , 62 n. 6 cod. pen. e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante relativa al risarcimento del danno , in quanto il danno cagionato allo Stato sarebbe stato ripianato dall’assicurazione.
Il ricorrente sarebbe rimasto per anni privo di occupazione lavorativa, in seguito a lla chiusura della sua agenzia, e sarebbe, anche nell’attualità, impossidente.
4.4. Con il quarto motivo, il difensore deduce l’inosservanza dell’art. 20 bis cod. pen. per effetto della mancata concessione della sanzione sostitutiva del
lavoro di pubblica utilità all’imputato .
Il difensore rileva che la Corte non avrebbe tenuto conto della finalità rieducativa e risocializzante cui tendono le pene sostitutive, anche in considerazione del «rischio di recidiva pari a zero» ravvisabile nel caso di specie; l’imputato , infatti, non è più titolare dell’agenzia automobilistica, in quanto gli è stata revocata definitivamente l’autorizzazione all’esercizio della predetta attività.
La Corte d ‘appello avrebbe illegittimamente escluso l’applicazione delle sanzioni sostitutive della detenzione, in ragione del pericolo di recidiva; l’applicazione dell e sanzioni sostitutive, tuttavia, non solo è compatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisce proprio la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 18 dicembre 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Con le conclusioni depositate in data 31 dicembre 2024, l’avvocato COGNOME ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere accolto, nei limiti che di seguito si precisano.
Con il primo motivo il difensore ha eccepito l’inosservanza della legge penale con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di peculato contestato al capo A) della rubrica e ha dedotto, comunque, che illegittimamente la sentenza impugnata avrebbe fondato la consumazione del delitto contestato sulla mera scadenza del termine per consegnare alla pubblica amministrazione le somme ricevute dalla clientela.
Il motivo è infondato in relazione a entrambi i profili di censura dedotti.
3.1. I giudici di appello hanno correttamente rilevato che l’avvenuta stipulazione di una polizza fideiussoria per il versamento delle somme all’erario non esclude il delitto di peculato, che è un reato istantaneo, ma anzi ne postula la consumazione.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di peculato la condotta del soggetto autorizzato a ricevere il pagamento delle tasse automobilistiche che si appropri delle somme riscosse nell’adempimento della funzione pubblica, atteso che quel denaro entra nella disponibilità della P. A. nel momento stesso della consegna all’incaricato dell’esazione, sicché non esclude la consumazione del reato l’esistenza di una
fideiussione a garanzia dell’obbligo di versare all’ente pubblico gli importi riscossi (Sez. 6, n. 2693 del 29/11/2017, dep. 2018, e NOME, Rv. 272131 -01; conf. Sez. 6, n. 15853 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 272910 -01; Sez. 6, n. 52729 del 28 settembre 2017, Martini, non massimata).
La polizza fideiussoria, dunque, non può escludere, come sostiene il ricorrente, la configurabilità del delitto di peculato, in quanto è strutturalmente accessoria al rapporto principale di concessione; la sua operatività interviene, infatti, solo in caso di accertato inadempimento all ‘ obbligo del concessionario di versare quanto ricevuto dalla clientela e, dunque, dopo la commissione del reato di cui all’art. 314 cod. pen.
La fideiussione assume rilevanza soltanto sul piano civile e amministrativo, tenendo indenne l ‘ ente creditore in caso di mancato versamento del dovuto da parte del concessionario, ma non assume alcun rilievo sul piano penale, atteso che il perfezionamento della fattispecie penale consegue al l’appropriazione della somme da parte del pubblico ufficiale.
La consapevolezza da parte dell’agente dell’intervento del fideiussore può , dunque, in ipotesi elidere la volontà di cagionare un danno alla pubblica amministrazione, ma non certo quella di sottrarre il bene alla stessa, di per se idonea a integrare il dolo del delitto di peculato.
Secondo le Sezioni unite di questa Corte, infatti, il peculato si consuma nel momento in cui ha luogo l’appropriazione della res o del danaro da parte dell’agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla P.A., è comunque lesiva dell’ulteriore interesse tutelato dall’art. 314 cod. pen. che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato (Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, COGNOME, Rv. 244190 -01, fattispecie nella quale il ricorrente, concessionario di un pubblico servizio, aveva sostenuto di aver trattenuto le somme incassate per conto dell’ente, per soddisfare un proprio diritto di credito, vantato nei confronti di quest’ultimo, ricorrendo a una sorta di autoliquidazione).
3.2. Infondata è anche la seconda censura.
Secondo l’orientamento tradizionale della giurisprudenza di legittimità, il pubblico ufficiale che ha ricevuto denaro per conto della pubblica amministrazione realizza l’appropriazione sanzionata dal delitto di peculato nel momento stesso in cui ne ometta o ritardi il versamento, cominciando in tal modo a comportarsi uti dominus nei confronti del bene del quale ha il possesso per ragioni d’ufficio ( ex plurimis : Sez. 6, n. 43279 del 15/10/2009, Rv. 244992, COGNOME).
Tale comportamento costituisce, infatti, un inadempimento non a un proprio debito pecuniario, ma all’obbligo di consegnare il denaro al suo legittimo proprietario, con la conseguenza che, sottraendo la res alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile, egli realizza una
inversione del titolo del possesso uti dominus (Sez. 6, n. 53125 del 25/11/2014, COGNOME, Rv. 261680).
La giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, recentemente mutato orientamento, rilevando che il reato non si perfeziona allo spirare del termine per adempiere del pubblico ufficiale, ma allorquando emerga senza dubbio, dalle caratteristiche del fatto, che si è realizzata l’interversione del titolo del possesso, ovvero che il concessionario ha agito uti dominus .
Il mancato versamento della somma dovuta nel termine fissato dalla legge dimostra, infatti, l’inadempimento dell’imputato, secondo la logica del dies interpellat pro homine sancita dall’art. 1219, secondo comma n. 3, cod. civ., ma non ancora la sua responsabilità penale.
La giurisprudenza di legittimità più recente ha, dunque, rilevato che, in tema di peculato, l’appropriazione del denaro, riscosso dal notaio a titolo di imposte e non riversato all’erario, si realizza non già per effetto del mero ritardo nell’adempimento, bensì allorquando si determina la certa interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, condotta che non necessariamente può essere ritenuta insita nella mancata osservanza del termine di adempimento (Sez. 6 n. 16786 del 02/02/2021, Conte, Rv. 281335).
Il principio è stato ribadito dalla giurisprudenza di legittimità anche con riferimento al caso analogo del ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato ( ex plurimis : Sez. 6, n. 33468 del 14/06/2023, COGNOME, Rv. 285092 -01; Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, COGNOME, Rv. 283940 -01; Sez. 6, n. 31167 del 13/04/2023, COGNOME, Rv. 285082 -01).
La Corte di appello di Catania ha fatto corretta applicazione di questi principi, in quanto ha non incongruamente ritenuto integrato il delitto di peculato delle somme affidate all’imputato dai clienti n on già per effetto della mera scadenza del termine di legge per corrispondere l’importo delle somme riscosse , ma in ragione della consapevole appropriazione delle stesse da parte del ricorrente, che ha dichiarato di essersi appropriato delle somme predette «per ragioni personali».
Con il secondo motivo il difensore ha dedotto l’inosservanza degli artt. 480 e 482 cod. pen. e la mancanza di motivazione in relazione al delitto di falso contestato al capo D).
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una critica alle determinazioni concernenti l’esercizio dell’ azione penale da parte del pubblico ministero, e, comunque, sollecita una diversa ricostruzione delle prove non
consentita in sede di legittimità.
Esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Sono, infatti, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
La censura relativa alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131 -bis cod. pen. è, parimenti, inammissibile, in quanto dedotta, peraltro genericamente, per la prima volta in sede di legittimità (cfr. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266594 -01).
Con il terzo motivo il difensore censura l’inosservanza degli artt. 133, 133 bis , 62 n. 6 cod. pen. e il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante relativa al risarcimento del danno , in quanto il danno cagionato allo Stato sarebbe stato ripianato dall’assicurazione.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto il ricorrente si limita a ribadire una censura già disattesa, con motivazione congrua e puntuale nella sentenza impugnata.
La Corte di appello ha, infatti, congruamente rilevato che il ricorrente non ha dimostrato di aver risarcito il danno cagionato alla persona offesa in relazione al delitto di cui al capo D); il danno è, peraltro, stato risarcito da un terzo, la compagnia assicurativa, e difetta il requisito della volontarietà del risarcimento per riconoscere l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen .
Le Sezioni unite di questa Corte hanno, infatti, statuito che l’ attenuante della riparazione del danno non è applicabile qualora il risarcimento sia stato effettuato da un ente assicuratore, anche se il contratto di assicurazione sia stato stipulato dall’imputato per la propria responsabilità civile, perché, essendo de tto contratto stipulato prima della commissione del reato, e dovendosi individuare la ragione ispiratrice della circostanza nella resipiscenza che si esprime con l’atto di riparazione, il comportamento risarcitorio, per integrare la previsione normativa, deve essere posto in essere dall’imputato dopo l’esaurimento del reato e non può essere sostituito da una condotta antecedente al reato stesso, concepita solo in
previsione ed a titolo di garanzia per le conseguenze dannose che esso potrebbe produrre cioè per sfuggire all’adempimento dell’obbligo di integrale risarcimento (Sez. U, n. 5909 del 23/11/1988, dep. 1989, Presicci, Rv. 181084 -01, nella sentenza è stata espressamente esclusa l’applicabilità dell’attenuante in ogni caso di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, indipendentemente dal fatto che il contratto di assicurazione sia stato stipulato dall’a utore del reato o da un terzo; conf., ex plurimis : Sez. 4, n. 6144 del 28/11/2017, dep. 2018, M., Rv. 271969 – 01).
Con il quarto motivo il difensore deduce l’inosservanza dell’art. 20 bis cod. pen. per effetto della mancata concessione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità.
9. Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha rigettato la richiesta di applicazione della pena sostituiva del lavoro di pubblica utilità, rilevando che «non si ravvisano i presupposti per procedere all’applicazione di una sanzione sostituiva in considerazione della valutazione di inaffidabilità dell’imputato già pregiudicato per reati specifici, avendo, tra l’altro, lo stesso usufruito senza alcun esito della sospensione condizionale della pena».
In tema di sostituzione di pene detentive brevi, tuttavia, il giudice di merito non può respingere la richiesta di applicazione in ragione della sola sussistenza di precedenti condanne, in quanto il rinvio all ‘ art. 133 cod. pen. contenuto dall ‘ art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, come riformato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, deve essere letto in combinato disposto con l ‘ art. 59 della stessa legge, che prevede, quali condizioni ostative, solo circostanze relative al reato oggetto di giudizio, non comprensive dei precedenti penali (Sez. 2, n. 8974 del 14/02/2024, COGNOME, Rv. 286006 -02).
A i fini della prognosi negativa di cui all’art. 58, legge 24 novembre 1981, n. 689, è, inoltre, necessario che il giudice di merito non si limiti a indicare il fattore cui abbia attribuito valenza ostativa alla sostituzione, ma correli tale elemento al contenuto della specifica sanzione sostitutiva invocata o, comunque, presa in considerazione in sentenza, fornendo adeguata motivazione in ordine alla sua negativa incidenza sull’adempimento delle prescrizioni che ad essa ineriscono (Sez. 6, n. 40433 del 19/09/2023, Diagne, Rv. 285295 -01).
Il giudizio prognostico demandato al giudice ha, infatti, un contenuto complesso e individualizzato, in quanto investe un duplice profilo: i) la valutazione della funzionalità della misura sostitutiva rispetto al reinserimento sociale del condannato e la conseguente scelta della misura più idonea alla realizzazione di tale obiettivo; ii) la valutazione ex ante in ordine al futuro rispetto delle prescrizioni
specifiche della singola misura (ciò ai sensi del secondo comma della norma, sempre nella formulazione vigente all ‘ epoca dei fatti).
La motivazione della sentenza impugnata, dunque, non ha adeguatamente dato conto delle ragioni della prognosi negativa svolta e, pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata sul punto, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Il ricorso deve essere rigettato con riferimento ai motivi residui, in quanto complessivamente infondato.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego di sanzioni sostitutive e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Catania. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2025.