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Peculato portalettere: la Cassazione e la carta rubata

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per peculato portalettere nei confronti di un’addetta al recapito di corrispondenza che si era appropriata di una carta bancomat destinata a un utente, utilizzandola per effettuare prelievi. Il ricorso dell’imputata è stato dichiarato inammissibile, in quanto i giudici hanno ritenuto provata la condotta sulla base delle videoriprese e dei riconoscimenti. È stata inoltre esclusa l’attenuante del danno di speciale tenuità, dato che l’effettivo utilizzo della carta ha prodotto un danno economico concreto.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato Portalettere: Quando l’Appropriazione di una Carta di Credito Integra il Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44794 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un caso di peculato portalettere, consolidando principi importanti in materia di reati contro la pubblica amministrazione. La vicenda riguarda una dipendente di un’agenzia di recapito, condannata per essersi appropriata di una carta bancomat che avrebbe dovuto consegnare e per averla poi utilizzata per effettuare prelievi. La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso della donna, confermando la sua responsabilità penale.

I Fatti di Causa

Una portalettere, incaricata del servizio di consegna della corrispondenza, veniva accusata del reato di peculato per non aver recapitato una raccomandata contenente una carta bancomat. Il destinatario, non avendo ricevuto la carta, sporgeva denuncia. Le indagini successive rivelavano che con quella stessa carta erano stati effettuati dei prelievi presso uno sportello bancario. Grazie all’analisi delle videoriprese di sorveglianza, la portalettere veniva riconosciuta da più testimoni, tra cui la moglie del destinatario e un ufficiale di polizia giudiziaria, come la persona che aveva eseguito le operazioni.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano ritenuto l’imputata colpevole del reato di peculato, riformando parzialmente la sentenza solo per dichiarare la prescrizione di un’altra accusa minore. Contro la decisione di secondo grado, la difesa proponeva ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Difesa

La difesa dell’imputata ha basato il ricorso su diversi motivi, cercando di smontare l’impianto accusatorio. In sintesi, le principali argomentazioni erano:
1. Mancanza di prove: Secondo la ricorrente, non vi era la prova certa del compimento della condotta di peculato, né dal punto di vista materiale né da quello soggettivo.
2. Inattendibilità delle prove: La difesa contestava l’analisi probatoria dei giudici di merito, ritenendo insufficienti le dichiarazioni dei testimoni e del denunciante.
3. Errata applicazione della legge sulla pena: Si lamentava la mancata concessione dell’attenuante per il danno di speciale tenuità, data la natura dell’oggetto sottratto (una semplice tessera plastificata).
4. Insussistenza dell’elemento oggettivo: Si sosteneva che la condotta non integrasse il peculato, in quanto la disponibilità della carta era solo di fatto e occasionale.

Le motivazioni della Cassazione sul peculato portalettere

La Corte di Cassazione ha rigettato tutte le argomentazioni difensive, dichiarando il ricorso nel suo complesso inammissibile. I giudici hanno ritenuto i motivi generici e manifestamente infondati, oltre che mirati a una rivalutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità.
La Corte ha sottolineato come la ricostruzione dei giudici di merito fosse solida: il riconoscimento tramite videoriprese costituiva una prova valida. L’indebito utilizzo della carta per i prelievi, secondo la Cassazione, era la prova logica del previo impossessamento della stessa. La qualifica di incaricata di un pubblico servizio, inerente alla trasmissione di corrispondenza raccomandata, le conferiva la disponibilità della carta per ragioni di servizio, integrando così pienamente il presupposto del reato di peculato.
Di particolare interesse è la parte della sentenza che respinge la richiesta di applicazione dell’attenuante del danno di speciale tenuità. La Corte ha richiamato un principio consolidato (ius receptum), secondo cui tale attenuante potrebbe applicarsi al furto di una carta bancomat solo se il ladro non ne conosce il PIN, poiché in tal caso il danno si limiterebbe al costo di duplicazione della tessera. Nel caso di specie, invece, la portalettere era in possesso del PIN e aveva effettuato prelievi, causando un danno patrimoniale concreto e non qualificabile come di ‘speciale tenuità’.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce con chiarezza due principi fondamentali. Primo, l’addetto al servizio postale che si appropria della corrispondenza a lui affidata commette il reato di peculato, in quanto agisce come incaricato di un pubblico servizio. Secondo, l’appropriazione di una carta di pagamento, se seguita dal suo effettivo utilizzo, causa un danno patrimoniale che impedisce il riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità del danno. La decisione rafforza la tutela della fiducia dei cittadini nei servizi postali e sanziona con rigore le condotte appropriative da parte di chi svolge tali delicate funzioni.

Quando un portalettere che si appropria di una carta di credito commette il reato di peculato?
Un portalettere commette il reato di peculato quando, agendo come incaricato di un pubblico servizio, si appropria di una carta di credito o bancomat contenuta nella corrispondenza che ha il dovere di consegnare. La sua posizione gli conferisce infatti la disponibilità del bene per ragioni di servizio, che è il presupposto del reato.

È possibile ottenere l’attenuante del danno di speciale tenuità se viene rubata una carta bancomat e poi utilizzata per prelevare?
No. Secondo la sentenza, l’attenuante del danno di speciale tenuità non può essere concessa se la carta bancomat sottratta viene effettivamente utilizzata per effettuare prelievi. In questo caso, il danno non è limitato al mero valore della tessera plastificata, ma corrisponde agli importi prelevati, non potendosi quindi considerare di lieve entità.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché i motivi presentati dalla difesa sono stati ritenuti generici, manifestamente infondati e volti a ottenere una nuova valutazione delle prove e dei fatti, attività che non è permessa nel giudizio di legittimità. La ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito è stata considerata logica e ben motivata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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