Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30590 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30590 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 23/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Campobello Di Mazara il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 16 novembre 2023 dalla Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo che ne ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 314 cod. pen. alla pena di anni uno e mesi dieci di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti della particolare tenuità del fatto e generiche, con il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Risulta dalla sentenza impugnata che la ricorrente è stata ritenuta responsabile del reato di peculato in quanto, nella qualità di titolare del punto di servizi STA abilitato alla gestione dello sportello telematico dell’automobilista, si appropriava della somma complessiva di euro 1896,00, riscossa a titolo di pagamento del bollo auto di proprietà dell’RAGIONE_SOCIALE, non versando il relativo importo alla prescritta scadenza e, in particolare, entro il termine di tre giorni a questa assegnato a seguito di lettera di messa in mora del 22 marzo 2019 da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, che attivava la relativa polizza fideiussoria.
Deduce tre motivi, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
1.1 Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 314 e 42, comma secondo, cod. pen. Sostiene la ricorrente che nella fattispecie manca l’elemento psicologico della condotta appropriativa, essendosi limitata a versare in ritardo di soli venti giorni le somme dovute all’RAGIONE_SOCIALE. Richiamando la precedente giurisprudenza di questa Corte (in particolare, Sez. 6, 16786/2021, Rv. 281335), sostiene che può ravvisarsi una condotta appropriativa sono nel caso in cui la mancata consegna sia accompagnata dalla volontà univoca di appropriarsi della res, desumibile dalla durata della ritenzione, dal diniego di avere la cosa con sè o dalla falsa affermazione di averla già consegnata, tutti elementi assenti nella fattispecie in esame. Peraltro, la stessa COGNOME ha ammesso in dibattimento di non avere mai avuto l’intenzione di appropriarsi del denaro tanto che lo stesso fu versato all’RAGIONE_SOCIALE prima di ricevere la notifica di un provvedimento giudiziario.
1.2 Con il secondo motivo deduce vizi cumulativi di violazione dell’art. 314, comma secondo, cod. pen. e di motivazione in merito alla omessa pronuncia sull’invocata riqualificazione della condotta come peculato d’uso (oggetto del terzo motivo di appello), esclusa dal Tribunale in considerazione della fungibilità del denaro. La ricorrente, aderendo, invece, ad altro orientamento ermeneutico, sostiene che tale fattispecie sia ravvisabile anche in relazione alle cose fungibili, non essendo desumibile alcuna preclusione dalla lettera della norma. Aggiunge, inoltre, la ricorrente che la distinzione tra le due fattispecie di peculato previste all’art. 31 cod. pen. non si rinviene nella natura del bene, bensì nell’intenzione e nella condotta del soggetto agente di farne un uso momentaneo con volontà di restituire la res.
1.3 Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 62, n. 6 cod. pen., in quanto detta circostanza attenuante è stata esclusa solo perché una parte della somma dovuta dalla COGNOME, pari a 400 euro, era stata già corrisposta dalla compagnia assicuratrice. Sostiene, invece, la ricorrente che tale argomentazione contrasta con
il testo della norma in cui ciò che rileva è il fatto oggettivo dell’avvenuta restituzione prima del giudizio, indipendentemente dalla sua riferibilità alla condotta dell’imputata o di terzi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato ed il suo accoglimento ha una valenza assorbente rispetto all’esame degli ulteriori motivi.
La questione sottoposta all’esame del Collegio attiene alla possibilità di considerare il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria gravante sul privato concessionario che riscuote somme per conto della Pubblica Amministrazione quale atto di interversione del possesso sufficiente ai fini della configurabilità del reato di peculato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dal Collegio condivisa e ribadita, la soluzione della questione è strettamente legata alle circostanze di fatto emerse nel corso dell’istruttoria.
In linea generale, secondo la giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, il peculato si consuma nel momento in cui ha luogo l’appropriazione della “res” o del danaro da parte dell’agente, la quale, anche quando non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla Pubblica Amministrazione, è comunque lesiva dell’ulteriore interesse tutelato dall’art. 314 cod. pen. che si identifica nella legali imparzialità e buon andamento del suo operato (cfr. Sez. U, n. 38691 del 25/06/2009, COGNOME, Rv. 244190 relativa a fattispecie nella quale il ricorrente, concessionario di un pubblico servizio, aveva sostenuto di aver trattenuto le somme incassate per conto dell’ente, per soddisfare un proprio diritto di credito, vantato nei confronti di quest’ultimo, ricorrendo a una sorta di autoliquidazione).
Tale principio è stato successivamente affinato proprio con riferimento alle condotte di mero ritardo nel versamento del denaro riscosso dal privato per conto di un ente pubblico.
Si è, infatti, affermato che il solo ritardo, pur rilevante sul piano civilistico e rapporti interni con l’ente, assume una rilevanza penale, allorché ad esso possa attribuirsi, sulla base delle circostanze del caso concreto, il valore di atto d interversione del titolo del possesso rilevante ai fini della configurabilità del delitt di peculato (Sez. 6, n. 16786 del 02/02/2021, Conte, Rv. 281335 – 02 relativa a fattispecie di tardivo versamento da parte del notaio dell’imposta sostitutiva di cui alla legge n. 266 del 2005).
In particolare, Sez. 6, n. 5233 del 19/11/2019, deo. 2020, Boggione, Rv. 278708, pronunciandosi in una fattispecie analoga a quella per cui si procede, ha affermato che l’appropriazione del denaro, riscosso dal privato per conto di un ente pubblico, si realizza non già per effetto del mero ritardo nel versamento, bensì allorquando si realizza la certa interversione del titolo del possesso.
La condotta appropriativa non coincide, dunque, automaticamente con lo spirare del termine previsto per il pagamento, sia esso “fisiologico” o conseguente all’intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare al concessionario sotto la comminatoria della decadenza dalla concessione, ma va accertata caso per caso sulla base dell’attenta considerazione delle circostanze di fatto sintomatiche della volontà dell’agente di comportarsi uti dominus.
A titolo meramente esemplificativo, il ritardo può assumere una valenza appropriativa ove sia connotato dalle seguenti ulteriori circostanze fattuali: i) la protrazione della sottrazione della “res” alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso temporale ragionevolmente apprezzabile (cfr., con riferimento al ritardato versamento, da parte del concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’RAGIONE_SOCIALE, Sez. 6, n. 31167 del 13/04/2023, COGNOME, Rv. 285082; Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, COGNOME, Rv. 283940); ii) l’omesso versamento del denaro su conti corrente “dedicati” (Sez. 6, n. 5233 del 19/11/2019, dep. 2020, Boggione, Rv. 278708); iii) l’impiego del denaro riscosso per finalità di carattere privato.
1.1. Venendo all’esame della fattispecie concreta, rileva il Collegio che dalla sentenza impugnata risulta che la ricorrente ha integralmente pagato quanto dovuto 1’11 aprile 2019 a seguito della intimazione di pagamento del 22 marzo 2019. Dalla sentenza di primo grado risulta, inoltre, che gli insoluti sono avvenuti nelle settimane dal 16 gennaio 2019 al 22 gennaio 2019 e dal 5 marzo 2019 al 12 marzo 2019.
Applicando, dunque, le coordinate ermeneutiche sopra esposte, ritiene il Collegio che, in considerazione del breve lasso temporale in cui si è protratto l’inadempimento della ricorrente, dell’integrale versamento di quanto dovuto a distanza di meno di quindici giorni dalla intimazione di pagamento e della mancata individuazione da parte dei Giudici di merito di condotte sintomatiche della valenza appropriativa del ritardo contestato alla COGNOME, deve escludersi che nella fattispecie in esame tale condotta possa assumere rilevanza penale, non integrando gli estremi della appropriazione necessaria alla configurabilità del delitto di peculato.
Alla luce di quanto sopra esposto, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per insussistenza del fatto ascritto alla ricorrente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste. Così deciso il 23 maggio 2024