Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10852 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10852 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Reggio Calabria il 21/07/1978
avverso la sentenza del 19/09/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o rigettato;
lette le conclusioni della difesa, avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del 17 gennaio 2019 del Tribunale della stessa città, che aveva condannato l’imputato NOME COGNOME per il reato di peculato continuato, commesso dal 24 aprile 2012 al 15 maggio 2012.
COGNOME era stato contestato di essersi appropriato della somma complessiva di circa 41.000 euro, omettendo in più occasioni, in qualità di
incaricato di pubblico servizio (concessionario di una ricevitoria del lotto), di versare i proventi estrazionali del gioco del lotto all’amministrazione dei Monopoli di Stato.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge in relazione agli artt. 15 e 314 cod. pen., 8 I. n. 85 del 1990.
La sentenza impugnata ha affrontato erroneamente la questione del rapporto di specialità ex art. 15 cod. pen. tra la fattispecie codicistica (art. 314 cod. pen.) e quella di diritto speciale, prevista dall’art. 8 I. n. 85 del 1990, che punis penalmente il raccoglitore del gioco del lotto che effettua il versamento oltre il giorno di giovedì della settimana successiva all’estrazione.
Quest’ultima norma andava letta in combinato disposto con l’art. 2 del Contratto siglato tra la Amministrazione dei Monopoli dello Stato e il concessionario, che regolamenta il tardivo e il mancato versamento dei proventi (prevedendo che quest’ultimo si verifichi nel termine di cinque giorni dal ricevimento della raccomandata che intima l’adempimento, determinando la revoca della concessione).
Quindi , lo spartiacque tra le due disposizioni sta nella interversione del possesso e la Corte di appello non ha spiegato come tale evenienza sia stata integrata.
Se invece si dà rilevanza al solo incasso della somma (chi la incassa se ne appropria), andava applicata per specialità la fattispecie di cui all’art. 8 cit.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546 cod. proc. pen., 314 cod. pen. e 8. L. n. 85 del 1990.
Sebbene la sentenza impugnata richiami un precedente di legittimità favorevole alla tesi difensiva (Sez. 6, n. 38339 del 2022), non ne ha tratto le dovute conclusioni, ovvero che non basta il mero ritardo ad adempiere nel termine indicato nella intimazione ad integrare il peculato.
Nel caso in esame, l’Amministrazione con provvedimento dell’Il maggio 2012 disponeva la sospensione in via cautelativa della concessione (provvedimento restituito con compiuta giacenza); il 18 giugno 2012 l’Amministrazione intimava al concessionario di adempiere, entro il termine di 10 gg. dal ricevimento della lettera, al versamento della somma indicata nella imputazione (diffida mai ricevuta dall’imputato, anche in tal caso restituita per compiuta giacenza).
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 546 cod. proc. pen., 27 Cost., 62-bis e 133 cod. pen.
La sentenza impugnata lda un latogha dato atto che in data 27 marzo 2014 il ricorrente aveva integralmente restituito quanto dovuto – circostanza valutata positivamente dal Tribunale per il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 6 cod. pen. – e dall’altro, ha escluso in modo contraddittorio la mancata emersione di elementi di positiva valorizzazione per la concessione delle attenuanti generiche, ritenendo ostativi il disvalore del fatto, l’entità della somma sottratta l’assenza di circostanze sintomatiche della resipiscenza o collaborazione del ricorrente.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e la difesa hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate, la difesa anche di replica alle richieste del Procuratore generale
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.
Il primo motivo e il secondo motivo sono manifestamente infondati e anche aspecifici.
Va premesso che la Corte di appello ha ritenuto che nel caso in esame la prova della appropriazione del danaro non versato all’Amministrazione fosse rappresentata dal considerevole lasso temporale intercorso tra la data prevista per il versamento e quello in cui l’imputato aveva restituito la somma incassata (solo in data 27 marzo 2014, ovvero dopo quasi due anni dalla revoca della concessione), in considerazione anche delle inverosimili ragioni addotte in sede di interrogatorio per giustificare il ritardo (l’attesa di una formale richiesta del Amministrazione che certificasse il dovuto).
La Corte di appello ha fatto invero buon governo di un principio già affermato da questa Corte, secondo cui il delitto di peculato per ritardato versamento, da parte dal concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato è configurabile quando la condotta omissiva si protragga oltre la scadenza del termine ultimo indicato nell’intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare al concessionario sotto la comminatoria della decadenza dalla concessione, a condizione che sia altresì raggiunta la prova dell’interversione del titolo del possesso, evincibile dal protrarsi della sottrazione della “res” alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile e comunque tale da denotare
inequivocabilmente l’atteggiamento “appropriativo” dell’agente. (Sez. 6, n. 31167 del 13/04/2023, Rv. 285082; Sez. 6, n. 38339 del 29/09/2022, Rv. 283940).
La interversio possessionis, che sostanzia la condotta appropriativa del denaro e della altra cosa mobile altrui di cui il pubblico agente ha il possesso o la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, non può considerarsi dunque provata sulla base di una mera violazione di una regola formale oppure di una irregolarità contabile, dovendo la condotta essere probatoriamente “colorata” come nel caso in esame – dalla presenza di elementi fattuali che diano certezza che l’interessato abbia voluto comportarsi rispetto a quei beni come dominus.
Quindi le questioni sollevate dalla difesa nel primo e nel secondo motivo sono aspecifiche rispetto alla fattispecie in esame.
A fronte della prova della interversione del possesso e quindi della appropriazione, risultano infatti irrilevanti le questioni sollevate dalla difesa ordine al principio di specialità e alla mancata ricezione degli atti dell Amministrazione.
Quanto alla prima è appena il caso di rammentare che già questa Corte ha affrontato la questione, escludendo che il citato art. 8 legge n. 85 del 1990 sia norma speciale rispetto a quella dettata dall’art. 314 cod. pen., in quanto il reato meno grave disciplinato dalla legge “extra codicem” è integrato dalla mera condotta omissiva di chi non rispetta il termine ivi prescritto, mentre il più grave delitto di peculato prescrive, come si è visto, un “di più”, costitui dall’appropriazione del denaro da parte del pubblico agente (Sez. 6, n. 33468 del 14/06/2023, in motivazione).
3. Manifestamente infondato è anche l’ultimo motivo.
Va premesso che la illogicità della motivazione va valutata all’interno del ragionamento della sentenza impugnata e non in relazione a quello del primo giudice (Sez. 3, n. 13678 del 20/01/2022, Rv. 283034).
Nella specie, peraltro, neppure è dato constatare un diverso apprezzamento della stessa circostanza ad opera dei due giudici, posto che il primo giudice aveva riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen. solo per il fatto che e stato pagato dal ricorrente il debito erariale accumulato, comprensivo delle sanzioni, senza tuttavia qualificare tale comportamento come segno di resipiscenza del ricorrente.
In ogni caso, la stessa circostanza “specifica” non poteva essere valorizzata per riconoscere anche le circostanze attenuati generiche e la Corte di appello ha ritenuto viepiù ostativa al loro riconoscimento la gravità del fatto, in relazione all somma sottratta.
Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 31101/2025.