Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18241 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18241 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Gazzaniga il 26/01/1979;
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bergamo il 13/02/1979;
avverso la sentenza emessa il 23/04/2024 dalla Corte di appello di Milano visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi; udite le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME, difensore della parte civile Comune di Milano, e dell’avvocato NOME COGNOME difensore della parte civile Fondazione Lombardia Film Commission, che hanno chiesto di dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi e di condannare i ricorrenti alla rifusione delle spes processuali;
uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME difensori di NOME COGNOME, e l’avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice per le indagini del Tribunale di Milano, con decreto emesso in data 19 febbraio 2021, ha disposto il giudizio immediato nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME imputati dei delitti di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (capo A) e di peculato (capo B).
Al capo A) il Pubblico Ministero ha contestato ad NOME COGNOME in qualità di incaricato di pubblico servizio, presidente e legale rappresentante dal 27 aprile 2015 al 28 giugno 2018 della Fondazione Lombardia Film RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE, nominato dalla Regione Lombardia, e ad NOME COGNOME quale socio di NOME COGNOME, la commissione del delitto di cui agli artt. 110, 353-bis, 61 n. 2 e n. 9 cod. pen.
Secondo l’ipotesi di accusa, COGNOME e COGNOME, in concorso fra loro, e con NOME COGNOME, commercialista, consulente della RAGIONE_SOCIALE, amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte di RAGIONE_SOCIALE, avrebbero turbato il procedimento amministrativo diretto a selezionare un immobile idoneo alle attività della fondazione, con le seguenti condotte:
COGNOME, preliminarmente, avrebbe prospettato alla RAGIONE_SOCIALE che presiedeva, l’opportunità di acquistare un immobile da adibire a sede legale e operativa dell’ente;
COGNOME, COGNOME e COGNOME avrebbero concordato di alienare alla Fondazione un immobile nella disponibilità di COGNOME, segnatamente il capannone sito in Cornnano INDIRIZZO di proprietà RAGIONE_SOCIALE, successivamente acquisito da RAGIONE_SOCIALE
Di COGNOME, COGNOME e COGNOME avrebbero congegnato una procedura di scelta del contraente, che prevedeva fra i requisiti relativi all’immobile da acquistare talune caratteristiche specifiche esattamente “ritagliate” sul capannone nella disponibilità di COGNOME; – in particolare, l’immobile avrebbe dovuto: – esser situato nel Comune di Milano ovvero in Comuni limitrofi ma nella zona nord di Milano (in quanto l’immobile target si trovava proprio a nord di Milano, nel Comune di Cormano); – essere preferibilmente un edificio autonomo con posti auto e aree di parcheggio (praticamente le caratteristiche del capannone industriale sito in Cormano e nella disponibilità di Scillieri);
-infine, nell’avviso di ricerca dell’immobile, avrebbero preveduto espressamente che sarebbero state considerate ammissibili e oggetto di adeguata valutazione anche le proposte di immobili da ristrutturare, per i quali la proprietà si fosse impegnata a realizzare le opere necessarie a rendere l’edificio conforme
alle disposizioni di legge e ai requisiti richiesti (come era lo stato dell’immobi prescelto, che non era immediatamente utilizzabile dalla Fondazione e richiedeva importanti interventi di ristrutturazione);
in questo modo avrebbero indotto la RAGIONE_SOCIALE a pubblicare l’avviso di ricerca immobiliare con le caratteristiche sopra evidenziate, avviso confezionato ad hoc per l’immobile sito in Cormano INDIRIZZO
Reato commesso in Milano il 17 maggio 2017 e aggravato per tutti gli imputati dell’aver commesso il reato per eseguirne un altro (quello di cui al B) e, per il solo COGNOME dell’aver violato i doveri inerenti a una pubblica funzione.
Al capo B) il Pubblico Ministero ha contestato ad NOME COGNOME, commercialista, in qualità di incaricato di pubblico servizio, Presidente e legale rappresentante, per nomina di Regione Lombardia, della Fondazione F.L.RAGIONE_SOCIALE., cui era stato attribuito un finanziamento regionale di euro 1.000.000, finalizzato al rafforzamento della struttura patrimoniale dell’ente, e ad NOME COGNOME commercialista, socio di studio e in affari con NOME COGNOME, già praticante presso lo studio di NOME COGNOME, la commissione del delitto di cui agli artt. 110 112, comma 1, n. 1) e 2), 314 cod. pen.
Secondo l’ipotesi di accusa, COGNOME e COGNOME, in concorso fra loro e con NOME COGNOME commercialista, quale amministratore di fatto di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME cognato di COGNOME, quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME in qualità di liquidatore e legale rappresentante dal 16 luglio 2016 della società RAGIONE_SOCIALE proprietaria dell’immobile di Cormano INDIRIZZO, NOME COGNOME quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE e amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE formalmente gestita da NOME COGNOME, previa pianificazione di una complessa operazione immobiliare concepita da COGNOME, COGNOME e COGNOME, si sarebbero appropriati della somma di 800.000 euro, bonificata da RAGIONE_SOCIALE sul conto corrente di RAGIONE_SOCIALE (in data 4 dicembre 2017), per l’acquisto dell’immobile di cui al capo a) sito in Cormano, INDIRIZZO ancora da ristrutturare all’atto dell’integrale pagamento del prezzo, poi retrocesso, per oltre la metà del suo importo, a COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, che avrebbero agito con diversi veicoli societari, tra i quali RAGIONE_SOCIALE
Reato commesso in Milano il 4 dicembre 2017 e aggravato, per tutti gli imputati, dell’aver agito in più di cinque persone riunite e, per COGNOME, COGNOME e COGNOME dall’aver promosso e organizzato la cooperazione nel reato.
Gli imputati hanno chiesto in data 5 marzo 2021 di essere giudicati nelle forme del rito abbreviato incondizionato, che il Giudice dell’udienza preliminare ha
ammesso con decreto emesso in data 12 marzo 2021.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, con sentenza emessa in data 3 giugno 2021, ha dichiarato NOME COGNOME e NOME COGNOME colpevoli dei reati loro ascritti e, ritenuto il vincolo della continuazione riconosciute le attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti contestate e applicata la diminuente per il rito, li ha condannati, rispettivamente, alla pena di cinque anni e di quattro anni e quattro mesi di reclusione e al pagamento delle spese processuali.
Il Giudice dell’udienza preliminare ha, inoltre:
dichiarato gli imputati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici, in stato interdizione legale durante l’esecuzione della pena e interdetti per quattro anni dall’esercizio della professione di commercialista;
ha condannato gli imputati al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite Fondazione Lombardia RAGIONE_SOCIALE e Comune di Milano, da liquidarsi in separato giudizio civile, e ha disposto una provvisionale di euro 150.000 in favore della Fondazione e di euro 25.000 in favore del Comune di Milano;
ha condannato gli imputati alla rifusione delle spese processuali del grado in favore delle parti civili costituite;
ha disposto la confisca dell’immobile denominato “RAGIONE_SOCIALE“, sito in Desenzano sul Garda nei limiti dell’importo di euro 144.570,00 e dell’immobile denominato ‘Tigli”, sito in Desenzano sul Garda nei limiti dell’importo di euro 163.429,00.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, appellata dagli imputati:
ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME in quattro anni, sei mesi e giorni venti di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici per la dura di cinque anni e ha revocato la pena accessoria dell’interdizione legale;
ha rideterminato la pena nei confronti di NOME COGNOME ritenute le già riconosciute attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, in tre anni di reclusione e in pari durata l’interdizione dall’esercizi della professione di commercialista, ha rideterminato in cinque anni la durata dell’interdizione dai pubblici uffici e ha revocato l’interdizione legale.
La Corte di appello ha, inoltre, confermato nel resto la sentenza impugnata e ha condannato gli imputati in solido alla rifusione delle spese processuali del grado in favore delle parti civili costituite.
Gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e l’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME hanno proposto distinti ricorsi avverso questa sentenza e ne hanno chiesto l’annullamento.
L’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME, ha proposto sedici motivi di ricorso.
6.1. Con il primo motivo di ricorso, il difensore ha censurato la sentenza impugnata per inosservanza degli artt. 442, comma 1-bis e 191, comma 1, cod. proc. pen.
L’imputato ha chiesto di essere giudicato nelle forme del rito abbreviato incondizionato, che è stato ammesso dal Giudice dell’udienza preliminare in data 4 marzo 2021; a tale data è stato, dunque, «congelato» il compendio probatorio utilizzabile.
La Corte di appello, tuttavia, in violazione dell’art. 442, comma 1-bis, cod. proc. pen., avrebbe utilizzato contra reum atti processuali acquisiti successivi all’ordinanza che ha ammesso il rito abbreviato e, segnatamente, la sentenza di condanna emessa nei confronti di NOME COGNOME imputato in procedimento separato, per i fatti di peculato oggetto del capo B) di imputazione (citata a pag. 47, nota 356, della sentenza impugnata) e la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 12 luglio 2023, depositata in data 10 ottobre 2023, nell’ambito del proc. n. 30749/2023 R.G.G.I.P. (citata a pag. 59, nota 45, della sentenza impugnata).
Tali atti, illegittimamente acquisiti, peraltro, sarebbero stati utilizzati n solo ai fini del giudizio di responsabilità del ricorrente, ma anche per giustificare l prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti ritenute sussistenti.
I giudici di appello sarebbero, dunque, incorsi nella violazione del divieto di allegazione di nuove prove nel giudizio abbreviato.
L’espunzione degli elementi di prova illegittimamente acquisiti e utilizzati dalla Corte di appello dimostrerebbe, inoltre, che «la residua motivazione si rivela insufficiente a giustificare il permanere di un convincimento identico a quello manifestato».
6.2. Con il secondo motivo, il difensore ha dedotto l’inosservanza dell’art. 353-bis cod. pen., in quanto la Corte di appello avrebbe qualificato un mero avviso di ricerca immobiliare quale atto equipollente ad un bando di gara.
Il ricorrente, a mezzo della pubblicazione dell’«avviso di ricerca immobiliare» nella sezione “bandi” del sito della Fondazione L.F.C. in data 17 maggio 2017, avrebbe inteso solo effettuare una semplice indagine di mercato, rivolgendosi al maggior numero di operatori economici, e non già individuare la parte contraente.
L’avviso di ricerca immobiliare, come indicato espressamente nel suo testo,
non sarebbe assimilabile ad un invito ad offrire, né ad una offerta e/o promessa al pubblico (artt. 1336 e 1989 cod. civ.) e non determinerebbe alcun tipo di vincolo per le proposte presentate.
Le proposte che sarebbero pervenute, infatti, non sarebbero state vincolanti per la fondazione, che non aveva promesso, né garantito lo svolgimento di alcuna procedura selettiva, in quanto RAGIONE_SOCIALE si era riservata, a suo insindacabile giudizio, di valutare le eventuali proposte pervenute. L’avviso avrebbe avuto la sola finalità di sondare il mercato immobiliare e non già di individuare uno specifico contraente.
Il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, dunque, non sarebbe configurabile nel caso di specie, in quanto l’avviso predetto non avrebbe radicato per la fondazione alcun obbligo di gara o di valutazione comparativa. La Fondazione, infatti, avrebbe conservato la piena libertà di scegliere il contraente secondo criteri di convenienza e di opportunità propri della contrattazione tra privati.
Secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, il delitto di cui all’art. 353-bis cod. pen. è configurabile solo ove la condott perturbatrice riguardi un procedimento amministrativo funzionale ad una “gara” e, dunque, una mera ricerca immobiliare, non vincolante e come tale dichiarata ex ante, non potrebbe essere ascritta all’ambito applicativo della fattispecie di reato contestata.
La fattispecie di cui all’art. 353 bis cod. pen., inoltre, non sarebbe applicabile oltre l’ambito delle procedure delle quali la pubblica amministrazione si avvale per la concessione di beni e per l’affidamento all’esterno dell’esecuzione di un’opera o la gestione di un servizio.
6.3. Con il terzo motivo il difensore ha denunciato la violazione dell’art. 56, comma 3, cod. pen., in conseguenza della desistenza volontaria degli imputati dall’accordo collusivo diretto alla violazione dell’art. 353 bis cod. pen.
La Corte di appello avrebbe omesso di applicare la disciplina della volontaria desistenza alla condotta del ricorrente e degli altri coimputati, in quanto tutt avrebbero abbandonato il progetto criminoso e nessun concreto pericolo di alterazione dell’avviso di ricerca si sarebbe verificato.
Le dichiarazioni accusatorie rese da NOME COGNOME relativamente alla predisposizione di «finte proposte», fatte pervenire alla fondazione in busta chiusa e in pendenza del termine dell’avviso di ricerca immobiliare, sarebbero, infatti, rimaste prive di riscontri.
La consegna delle buste sarebbe, inoltre, avvenuta nel 2016 (e, dunque, non poco prima dell’acquisto dell’immobile di Cormano), come sarebbe dimostrato dalle chat di COGNOME agli atti.
Non essendovi stata la presentazione di “finte proposte” di acquisto,
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l’asserito accordo collusivo intercorso tra COGNOME e i coimputati o sarebbe stato insussistente o, comunque, sarebbe venuto meno per desistenza volontaria dei concorrenti, in quanto non avrebbe mai avuto un principio di esecuzione.
L’unica proposta pervenuta sarebbe stata quella presentata dalla società RAGIONE_SOCIALE
6.4. Il difensore, con il quarto ed il quinto motivo, ha eccepito l’errata applicazione dell’art. 314 cod. pen. e il vizio di contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di peculato contestato al capo B) dell’imputazione.
Presupposto del reato di peculato è, infatti, la precedente appropriazione di denaro pubblico, che, tuttavia, nel caso di specie sarebbe insussistente.
La prova del peculato non può essere costituita dalla ripartizione del corrispettivo della vendita in epoca successiva alla sua ricezione, ma in una precedente “appropriazione”, che ha inciso sine titulo sul patrimonio dell’ente.
I giudici di appello avrebbero, dunque, dovuto spiegare in che modo COGNOME si sia appropriato di oltre la metà del finanziamento pubblico.
La Corte di appello, inoltre, non avrebbe dimostrato un divario ingiustificabile tra il prezzo di acquisto e il valore del bene acquisito.
La mancata prova di un “vizio originario” nella determinazione del prezzo di acquisto del capannone di Cormano, non potrebbe essere surrogata dalla prova della ripartizione del corrispettivo ricevuto dalla società RAGIONE_SOCIALE per la vendita di tale immobile.
Il nuovo presidente della Fondazione, subentrato al ricorrente, ha dichiarato, peraltro, che l’immobile di Cormano era perfettamente rispondente alle esigenze di L.F.C. e che il suo valore attuale è conforme a quello di 800.000 euro pagati per l’acquisto. Successivamente all’acquisto dell’immobile, dunque, il patrimonio della Fondazione non risulterebbe essere stato depauperato.
La Corte di appello ha rilevato che la natura plurioffensiva del delitto di peculato non richiede necessariamente che vi sia un danno per la pubblica amministrazione; il difensore, tuttavia, rileva che, senza appropriazione, la violazione del buon andamento della pubblica amministrazione avrebbe configurato esclusivamente il delitto di un abuso di ufficio.
6.5. Con il sesto motivo di ricorso, il difensore ha censurato il vizio di motivazione in relazione alla mancata imputazione del pagamento di C. 178.450,00 intercorso tra la società RAGIONE_SOCIALE, società che RAGIONE_SOCIALE utilizzava per le operazioni straordinarie, all’intermediazione svolta per la compravendita dei terreni in Onore (BG).
La Corte di appello, infatti, avrebbe irragionevolmente escluso la tenuta logica della ricostruzione difensiva volta a dimostrare che il suddetto pagamento
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non era una retrocessione di parte del finanziamento pubblico per l’acquisto della sede di Cormano.
Questo pagamento, infatti, avrebbe dovuto essere ricondotto all’attività di intermediazione che COGNOME aveva svolto a favore di COGNOME (dominus effettivo di RAGIONE_SOCIALE nell’ambito dell’affare per l’acquisto di terreni sit in Onere (BG) dai fratelli COGNOME, conoscenti di COGNOME e di COGNOME.
Ad avviso del difensore, non solo tale attività sarebbe documentata, ma la somma versata per il suo compimento non potrebbe essere ritenuta sproporzionata: i giudici di appello avrebbe, dunque, omesso di confrontarsi con il dato per cui il valore effettivo dei due immobili non era di €. 250.000,00, bensì di €. 550.000,00 (così come confermato anche dall’ufficiale della guardia di finanza COGNOME nel corso dell’interrogatorio reso da COGNOME).
Inoltre, le dichiarazioni dello COGNOME sarebbero state valorizzate solo nella parte in cui sono contra reum e non, invece, nella parte in cui sono pro reo (pagg. 41-42 del ricorso).
6.6. Con il settimo motivo di ricorso, il difensore ha eccepito la mancata assunzione di una prova decisiva, costituita dalla perizia estimativa dell’immobile di Cormano.
A fronte di una sentenza di primo grado che non ha accertato in sede penale con precisione l’entità dell’indebito arricchimento, la Corte di appello avrebbe errato nel non disporre una perizia valutativa.
I giudici di appello si sarebbero, dunque, limitati ad attribuire valore pregnante all’accordo collusivo, omettendo di valutare che COGNOME al momento del rogito notarile non era più presidente di RAGIONE_SOCIALE
6.7. Con l’ottavo motivo di ricorso, il difensore ha chiesto che la condotta contestata al capo B), ove ritenuta sussistente, sia riqualificata nella fattispecie d reato, di recente introduzione, di cui all’art. 314-bis cod. pen., in quant integrerebbe una fattispecie di c.d. peculato per distrazione.
6.8. Con il nono motivo il difensore ha dedotto la nullità della sentenza per violazione della correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (ex artt. 521 e 522 cod. proc. pen.) in relazione alla caparra confirmatoria di 100.000,00 euro, versata dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE società di riferimento di RAGIONE_SOCIALE
La sentenza di primo e di secondo grado hanno, infatti, condannato il ricorrente non solo per le somme versate da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, ma anche per la somma di ulteriori 100.000 euro versati dal coimputato COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME.
Questo versamento, tuttavia, sarebbe estraneo all’imputazione e, dunque, vi sarebbe stata una violazione sostanziale del diritto di difesa.
6.9. Con il decimo motivo il difensore ha censurato la violazione di legge in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti del danno patrimoniale di speciale tenuità e del risarcimento del danno.
I giudici di appello, infatti, avrebbe illegittimamente escluso l’applicazione di queste attenuanti nonostante il ricorrente abbia versato, immediatamente dopo l’interrogatorio di garanzia davanti al Giudice per le indagini preliminari, la somma di C. 178.450,00 (pari al doppio della somma contestata come profitto personale del reato di peculato) e, ancorché la Pubblica accusa abbia richiesto l’applicazione del beneficio in questione.
6.10. Con l’undicesimo motivo di ricorso, il difensore ha eccepito l’erronea applicazione e il vizio di motivazione in relazione al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche.
Il difensore censura la motivazione nella parte in cui ha riconosciuto la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti ritenute sussistenti in favore del coimputato COGNOME e non di COGNOME.
Questo punto della decisione sarebbe illogico, in quanto non sarebbe vero che il comportamento del COGNOME in giudizio sia stato migliore rispetto a quello dell’odierno ricorrente e che COGNOME non sia incensurato, posto che non è mai stato condannato con sentenza definitiva.
La prevalenza del beneficio avrebbe dovuto essere riconosciuta alla luce non solo della condotta processuale, ma anche di quella extraprocessuale dell’imputato.
6.11. Con il dodicesimo motivo il difensore ha censurato la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla determinazione della pena irrogata per il delitto di peculato.
Ad avviso del difensore, sia che si consideri che il peculato abbia arrecato un danno minimo, sia che non lo abbia causato, sarebbe comunque ingiustificata la determinazione della pena base in sei anni di reclusione.
La Corte di appello avrebbe dovuto, tra l’altro, applicare la circostanza attenuante speciale di cui all’art. 323-bis, primo comma, cod. pen. anche in ragione della condotta susseguente al reato, risoltasi nella restituzione di denaro ritenuto profitto del reato di peculato.
6.12. Con il tredicesimo motivo di ricorso, il difensore ha eccepito la violazione dell’art. 78, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. e l’illegittimità de mancata declaratoria della sopravvenuta inammissibilità della costituzione di parte civile della Fondazione RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima, infatti, nelle conclusioni rassegnate nell’atto di appello, ha introdotto un tema relativo al trattamento sanzionatorio, chiedendo l’applicazione nei confronti di COGNOME della riparazione pecuniaria di cui all’art. 322 quater cod.
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pen. e ha così violato l’art. 78, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., nella formulazione introdotta dalla c.d. riforma Cartabia del 2022, che limita l’intervento della parte civile ai soli «effetti civili» della commissione del reato.
6.13. Con il quattordicesimo motivo il difensore ha dedotto Vinutilizzabilità, ai fini della determinazione del risarcimento del danno, di tutti i documenti allegati agli atti di costituzione di parte civile del Comune di Milano e della Fondazione RAGIONE_SOCIALE e alle note di udienza depositate in sede di conclusioni ex art. 523, comma 2, cod. proc. pen.
Questi documenti, non sarebbero utilizzabili ai fini della pronuncia di condanna al risarcimento dei danni, in quanto non erano presenti nel fascicolo al momento di ammissione del giudizio abbreviato.
6.14. Con il quindicesimo motivo di ricorso, il difensore ha censurato la violazione dell’art. 322-ter cod. pen., in quanto il ricorrente avrebbe consegnato alla RAGIONE_SOCIALE una somma di danaro superiore al profitto del reato come quantificato nel successivo decreto di sequestro.
Alla luce della restituzione spontanea da parte di COGNOME della somma di C. 178.450,00, dunque, la confisca sarebbe stata illegittimamente disposta in primo grado e confermata in grado di appello.
6.15. Con il sedicesimo motivo, il difensore ha contestato che la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di cancellazione dell’aggettivo «patetici» presente nella requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale del 20 dicembre 2023 e riferite alle censure proposte dalle difesa.
7. L’avvocato NOME COGNOME ha proposto quattro motivi di ricorso
7.1. Con il primo motivo il difensore ha dedotto la violazione dell’art. 353 bis cod. pen., in quanto l’«avviso di ricerca immobiliare» pubblicato in data maggio 2017 non sarebbe idoneo a fondare quel procedimento di scelta del contraente che costituisce il presupposto per applicare la fattispecie di reato contestata.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano avrebbe erroneamente affermato che la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata obbligata a pubblicare questo avviso ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), in quanto non si era in presenza di un affidamento di un contratto pubblico, ma di una procedura che espressamente escludeva sia il vincolo a indire una gara, che l’obbligo di prendere in considerazione l’offerta pervenuta, anche se unica.
La giurisprudenza di legittimità più recente ha rilevato che sono estranee all’ambito applicativo dell’art. 353 bis cod. pen. le fattispecie nelle quali la scelta o, comunque, la ricerca del contraente prescinda da una comparazione, anche del tutto informale, tra soggetti, come nei casi di trattativa privata non preceduta da
una fase di valutazione concorsuale.
L’avviso di ricerca immobiliare, concretando una mera manifestazione di interesse, non avrebbe, dunque, introdotto alcuna procedura selettiva.
7.2. Con il secondo motivo il difensore ha censurato la mancanza e, comunque, la mera apparenza della motivazione sui motivi di appello D4), D6) e D7), relativi all’effettiva sussistenza di un accordo illecito in epoca pregressa all’«avviso di ricerca immobiliare».
La Corte di appello, infatti, avrebbe omesso di confrontarsi con le censure proposte nell’atto di appello al fine di confutare l’assunto di una pregressa intesa tra il ricorrente e COGNOME relativamente all’acquisto dell’immobile di Cormano; in particolare, la ricostruzione della Corte di appello di Milano si scontra con il fatt che COGNOME, anche dopo l’acquisto dell’immobile di Cormano nel febbraio del 2017, si sarebbe attivato per la ricerca di un acquirente diverso dalla Fondazione.
7.3. Con il terzo motivo il difensore ha eccepito l’errata applicazione dell’art. 314 cod. pen. sotto il profilo della ritenuta irrilevanza della verifica del valore d complesso immobiliare e della congruità del prezzo corrisposto da L.F.C. ai fini della sussistenza del reato contestato.
La Fondazione, per effetto dell’acquisto dell’immobile di Cormano, non subì alcuna diminuzione del proprio patrimonio, ma solo la conversione di una parte dello stesso in un immobile.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe omesso di confrontarsi con le consulenze tecniche in atti, volte a dimostrare la congruità del prezzo di acquisto dell’immobile
7.4. Con il quarto motivo il difensore ha dedotto l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 62-bis, 69, 133 cod. pen. e il vizio di mancanza e di manifesta illogicità della motivazione in ordine al bilanciamento delle circostanze e, segnatamente, alla mancata prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alle contestate aggravanti.
La Corte di appello, infatti, ha negato le attenuanti generiche all’imputato in ragione della mancata comparizione all’udienza e di una precedente condanna per peculato commesso nel 2015; la comparizione all’udienza di appello costituisce, tuttavia, oggetto di una facoltà dell’imputato, che, in caso di mancato esercizio, non può essere negativamente valutata.
Le sentenze di condanna possono essere considerate nel giudizio di bilanciamento delle circostanze solo se passate in giudicato e la sentenza indicata dalla Corte di appello non sarebbe ancora definitiva, in quanto emessa all’esito del giudizio di primo grado.
La Corte di appello avrebbe, inoltre, omesso di confrontarsi con gli argomenti indicati dalla parte per ritenere prevalenti le attenuanti generiche sulle aggravanti ritenute sussistenti.
L’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME, ha proposto cinque motivi di ricorso.
8.1. Il difensore, in via preliminare, ha rilevato che NOME COGNOME ha avuto un ruolo marginale nelle vicende contestate e la sua condotta sarebbe irrelata rispetto a quella degli altri imputati.
I capi di imputazione, pur nella loro formulazione «prolissa», non indicherebbero alcuna condotta concreta posta in essere dal ricorrente con riguardo alle contestazioni mosse. COGNOME, infatti, non sarebbe, in alcun modo, stato coinvolto nella gestione della fondazione RAGIONE_SOCIALE
8.2. Con i primi due motivi, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 353-bis cod. pen. e il vizio di motivazione in ordine al delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente contestato al capo A), in quanto difetterebbero gli elementi, oggettivo e soggettivo, dello stesso.
Il difensore, reiterando quanto già eccepito in sede di appello, rileva che il delitto contestato non solo non sarebbe configurabile, in via generale, alla luce dell’irrilevanza penale degli atti equipollenti posti in essere, ma anche che il ricorrente non lo avrebbe commesso.
Ad avviso del difensore, non vi sarebbero, dunque, prove relativa alla a sua partecipazione, che sarebbe stata illogicamente inferita dalla condotta di COGNOME.
8.3. Il difensore con il terzo e il quarto motivo di ricorso, ha censurato la violazione dell’art. 314 cod. pen., in quanto difetterebbero gli elementi, oggettivo e soggettivo, del delitto di peculato contestato al capo B) di imputazione.
Dopo l’operazione di compravendita immobiliare, infatti, il patrimonio della Fondazione sarebbe rimasto intatto, anche se qualitativamente modificato.
Il delitto di peculato contestato, dunque, non sarebbe stato realizzato, in quanto mancherebbe sia la condotta appropriativa quanto quella espropriativa. Da nessun elemento di prova, peraltro, potrebbe ricavarsi il dolo del ricorrente.
8.4. Il difensore, con il quinto motivo, ha chiesto la riqualificazione del delitto di cui al capo B) di imputazione nella fattispecie di recente introduzione di cui all’art. 314 bis cod. pen.
Con istanze rispettivamente depositate in data 18 novembre, 18 dicembre e 20 dicembre 2024 gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME e l’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME hanno richiesto la trattazione orale dei ricorsi.
In data 16 dicembre 2024 l’avvocato NOME COGNOME ha depositato motivi nuovi.
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10.1. Con il primo motivo il difensore ha dedotto l’intervento del giudicato penale che ha escluso ogni sproporzione tra il prezzo pagato dalla RAGIONE_SOCIALE per l’immobile di Cormano e il valore di mercato dello stesso.
Il Tribunale di Milano, infatti, nella sentenza n. 1339/21 del 23 dicembre 2021, emessa nei confronti del concorrente NOME COGNOME all’esito del giudizio dibattimentale, ha escluso che il prezzo di acquisto dell’immobile di Cormano sia stato superiore all’effettivo valore dell’immobile e, conseguentemente, la ritenuta appropriazione/sottrazione posta a fondamento del delitto di peculato contestato a COGNOME.
La sentenza del Tribunale di Milano, passata in giudicato, ha, dunque, accertato, sulla base delle perizie in atti, che la Fondazione non ha subìto alcuna illecita diminuzione patrimoniale e ha rigettato la richiesta risarcitoria del Fondazione stessa, costituitasi parte civile.
Ad avviso del difensore, se, tuttavia, il corrispettivo versato dalla RAGIONE_SOCIALE rinviene il suo fondamento in una legittima causa contrattuale ed è proporzionato al valore del bene immobile ceduto, non vi è stato alcun indebito arricchimento della parte venditrice; nessuno profitto illecito da spartire sarebbe ravvisabile e, dunque, nessuna condotta appropriativa.
10.2. Con il secondo motivo il difensore ha dedotto l’efficacia nel presente giudizio della sentenza n. 166 del 2024 emessa dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia e depositata in data 11 ottobre 2024, dopo il deposito dei motivi principali.
In questa sentenza la Corte dei conti ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione a conoscere delle vicende relative all’acquisto della nuova sede della RAGIONE_SOCIALE a Cormano; la Corte dei conti ha affermato che «la Fondazione riveste natura di persona giuridica di diritto privato senza fini di lucro» (cfr. pa 34 della sentenza, terzo paragrafo), che «la RAGIONE_SOCIALE risulta costituita da soci pubblici e privati ed è destinata ad operare tramite in conferimento di contribuzione sia pubblica, sia privata nell’ambito di un’organizzazione di natura privatistica ed in assenza di eterodirezione esterna» (cfr. pag. 37 della sentenza, secondo paragrafo) e «che il danno per cui si agisce è sopportato da un soggetto privato e non da una pubblica amministrazione …» (cfr. pag. 37 della sentenza, terzo paragrafo).
Il difensore ha, dunque, rilevato che, se la RAGIONE_SOCIALE è un soggetto privato e non già una pubblica amministrazione, i reati eventualmente commessi a suo danno non sono reati contro la pubblica amministrazione.
10.3. Con il terzo motivo il difensore, da ultimo, ha eccepito che il reato di turbata scelta del contraente in ogni caso si sarebbe prescritto.
Il reato è stato commesso in data 15 maggio 2017 (all’atto della
pubblicazione dell’avviso di ricerca immobiliare) e il termine massimo di prescrizione, di sette anni e sei mesi, è integralmente decorso alla data del 16 novembre 2024.
La declaratoria di intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 353 bis cod. pen. implica la venuta meno dell’aumento della pena determinato dalla continuazione tra tale reato e il reato base (art. 314 cod. pen.) e, dunque, la necessità di ridimensionare il trattamento sanzionatorio.
In data 27 dicembre 2024 l’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME ha depositato presso la Cancelleria della Corte di appello di Milano motivi nuovi, che riproducono il primo, il terzo e il quinto motivo proposti ne ricorso.
Il difensore ha, inoltre, rilevato che la Corte dei conti – sezione giurisdizional per la Regione Lombardia – nella sentenza n. 166 del 2024 ha escluso la natura di ente di diritto pubblico della RAGIONE_SOCIALE
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 30 dicembre 2024, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibili i ricorsi.
In data 2 gennaio 2015 l’avvocato COGNOME ha depositato motivi nuovi riproduttivi di quelli già depositati in precedenza presso la Cancelleria della Corte di appello di Milano.
In data 9 gennaio 2025 l’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME ha depositato una memoria nella quale ha documentato che, con sentenza emessa in data 13 dicembre 2024 nel procedimento n. 6481/2022 R.G.N.R., la Corte d’Appello di Milano -Seconda sezione penale- ha assolto il ricorrente perché il fatto non sussiste, con riferimento alle imputazioni di cui all’ar 8 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (capo b), commesso in Milano in data 2 ottobre 2017, nonché al reato di cui all’art. 314 cod. pen. (capo i), commesso in Milano dal 1 novembre 2015 al all’Il luglio 2018, in qualità di incaricato di pubblic servizio, quale Presidente e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere accolti, nei limiti che di seguito si precisano.
Con il secondo motivo aggiunto, ma primo in ordine logico, l’avvocato
NOME COGNOME ha dedotto la carenza della qualifica pubblicistica di COGNOME in ragione dell’efficacia nel presente giudizio della sentenza n. 166 del 2024 emessa dalla Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia depositata in data 11 ottobre 2024.
Il difensore ha, infatti, rilevato che, se la RAGIONE_SOCIALE è un soggetto privato e non già una pubblica amministrazione, i reati eventualmente commessi a suo danno non sono reati contro la pubblica amministrazione.
Analoghe censure sono state proposte nei motivi aggiunti dall’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME e dall’avvocato NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente NOME COGNOME
3. Questi motivi sono infondati.
3.1. La Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Regione Lombardia nella sentenza n. 166 del 2024, prodotta, peraltro, in un testo incompleto (di soli quattro pagine a fronte delle trentanove che la compongono), ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione a conoscere le vicende relative ad eventuali danni subiti dal patrimonio della RAGIONE_SOCIALE in seguito alle vicende relative all’acquisto della nuova sede dell’ente, in quanto «La Fondazione riveste natura di persona giuridica di diritto privato senza fini di lucro» (cfr. pag. 34 della sentenza terzo paragrafo).
In questa sentenza la Corte dei conti ha, infatti, rilevato che la giurisdizione sul pregiudizio subito dal patrimonio di questo ente spetta al giudice ordinario, in quanto «la RAGIONE_SOCIALE risulta costituita da soci pubblici e privati ed è destinata ad operare tramite il conferimento di contribuzione sia pubblica, sia privata nell’ambito di un’organizzazione di natura privatistica ed in assenza di eterodirezione esterna» (cfr. pag. 37 della sentenza, secondo paragrafo); «il danno per cui si agisce è sopportato da un soggetto privato e non da una pubblica amministrazione …» (cfr. pag. 37 della sentenza).
Questi rilievi, tuttavia, non confutano la sussistenza della qualità di incaricato di pubblico servizio di COGNOME, quale presidente della predetta fondazione, in data 4 dicembre 2017, all’atto della sottoscrizione del preliminare di acquisto dell’immobile destinato a fungere da nuova sede e del versamento integrale del prezzo concordato per l’acquisto e la ristrutturazione dell’immobile a titolo di caparra confirmatoria.
La Corte dei conti ha, infatti, ritenuto che la fondazione sia un ente di diritt privato, ma la qualifica pubblicistica, in sede penale, consegue non già alla natura (pubblica o privata) del soggetto agente, ma alla disciplina pubblicistica della sua attività.
3.2. A seguito della legge 26 aprile 1990, n. 86, il legislatore ha, infatti,
delineato la nozione di pubblico ufficiale (art. 357 cod. pen.) e di incaricato di u pubblico servizio (art. 358 cod. pen.) secondo una concezione oggettivofunzionale, che ha superato il riferimento presente nella disciplina previgente al «rapporto di dipendenza con la pubblica amministrazione», e che si incentra sul regime giuridico dell’attività concretamente esercitata.
L’art. 358 cod. pen. definisce «incaricato di un pubblico servizio» colui il quale, a qualunque titolo, presta un servizio pubblico, a prescindere da qualsiasi rapporto d’impiego con un determinato ente pubblico.
La giurisprudenza di legittimità ha rilevato che il legislatore del 1990, nel delineare la nozione di incaricato di pubblico servizio, ha privilegiato il crite oggettivo-funzionale, utilizzando la locuzione «a qualunque titolo» e ha eliminato ogni riferimento, contenuto invece nel testo previgente dell’art. 358 cod. pen., al rapporto d’impiego con lo Stato o altro ente pubblico (Sez. 6, n. 53578 del 21/10/2014, Cofano, Rv. 261835).
Il comma secondo del medesimo art. 358 cod. pen. esplicita il concetto di servizio pubblico, ritenendolo formalmente omologo alla funzione pubblica di cui al precedente art. 357 cod. pen., ma caratterizzato dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima (poteri deliberativi, autoritativi o certificativi).
Il parametro di delimitazione esterna del pubblico servizio è, dunque, identico a quello della pubblica funzione ed è costituito da una regolamentazione di natura pubblicistica, che vincola l’operatività dell’agente o ne disciplina discrezionalità in coerenza con il principio di legalità, senza lasciare spazio all libertà di agire quale contrassegno tipico dell’autonomia privata (Sez. 6, n. 53578 del 21/10/2014, COGNOME, Rv. 261835; Sez. 6 n. 39359 del 07/03/2012, COGNOME, Rv. 254337).
Secondo le Sezioni unite di questa Corte, al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p., è necessario verificare se essa sia o men disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi – nell’ambito dell’attività definita pubblica sulla base di detto parametro oggettivo – la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza (nell’una) o la mancanza (nell’altro) dei poteri tipici della potest amministrativa, come indicati dal secondo comma dell’art. 357 predetto (Sez. U, n. 10086 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211190, in applicazione di tale principio la Corte, rilevato che l’attività previdenziale del Fondo Pensioni della banca Cariplo è sottoposta ad una disciplina di diritto pubblico – volta cioè a rendere possibile l concreta attuazione di interessi pubblici – e constatato che nel suo svolgimento non possono rinvenirsi né il concorso alla formazione o alla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione, né l’esercizio di poteri autoritativi o
certificativi, ha ritenuto sussistente la qualifica di incaricato di pubblico servizio capo al soggetto che ricopriva la carica di presidente del Fondo predetto).
Ai fini del riconoscimento all’agente della qualifica di incaricato di pubblico servizio «agli effetti della legge penale», pertanto, non deve aversi riguardo alla natura dell’ente da cui lo stesso dipende, né alla tipologia del relativo rapporto di impiego, né ancora all’esistenza di un formale rapporto di dipendenza con lo Stato o con l’ente pubblico, ma deve valutarsi esclusivamente la natura dell’attività effettivamente espletata dall’agente, ancorché lo stesso sia un soggetto “privato”.
3.3. Declinando questi consolidati principi nel caso di specie, deve rilevarsi che correttamente le sentenze di merito hanno attribuito a COGNOME presidente della RAGIONE_SOCIALE la qualifica di incaricato di pubblico servizio all’atto dell sottoscrizione del preliminare di acquisto dell’immobile di Cormano e del versamento integrale del prezzo a titolo di caparra confirmatoria.
Questa Corte, nella sentenza n. 33779 del 2021, pronunciandosi sul ricorso proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza che ha applicato al medesimo la pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. per il concorso nelle condotte giudicate nel presente processo, ha rilevato che riveste la qualifica di pubblico agente il Presidente della Fondazione Lombardia RAGIONE_SOCIALE in quanto tale ente, pur se con gli strumenti privatistici, persegue finalità pubbliche, quali la promozione del territorio lombardo e dello sviluppo del suo comparto industriale nonché dei servizi nel settore delle nuove tecnologie (Sez. 6, n. 33779 del 21/06/2021, COGNOME, Rv. 282107).
La RAGIONE_SOCIALE del resto, pur ordinariamente operando secondo la disciplina privatistica, nell’operazione di acquisto della nuova sede è stata assoggettata alla disciplina di diritto pubblico, come è precisato nei pareri espressi dalla Dirigenza della Regione Lombardia prima dell’erogazione del contributo straordinario di un milione di euro, espressamente richiamati dalla sentenza di primo grado.
Questo acquisto è, infatti, stato assoggettato all’osservanza della disciplina vigente in materia di contenimento della spesa da parte degli enti pubblici territoriali e in particolare, dell’art. 12, comma 1-ter, del decreto legge 6 luglio / 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
Questa disposizione consente l’acquisto di immobili «solo ove siano comprovate docunnentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento», condizionandolo, altresì, all’attestazione della «congruità del prezzo» da parte dell’Agenzia del demanio.
Come è stato rilevato nella sentenza di primo grado, inoltre, la Regione Lombardia, nei propri pareri preventivi riguardo alla concessione del finanziamento
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straordinario richiesto dalla fondazione, ha prescritto, con riferimento alla disciplina vigente all’epoca dell’operazione di acquisto, l’osservanza del d. Igs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici)
Questa disciplina, infatti, doveva essere applicata con riferimento all’operazione di acquisto della sede, in quanto la RAGIONE_SOCIALE, secondo quanto disposto dall’art. 3, comma 1, lett. d), d.lgs. n. 50 del 2016, è un organismo di diritto pubblico, esercente un servizio pubblico.
Questa disposizione, infatti, prevede che «ai fini del presente codice si intende per:
«organismi di diritto pubblico», qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo è contenuto nell’allegato IV:
istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale;
dotato di personalità giuridica;
la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione s soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblic
La sentenza di primo grado, cui la sentenza impugnata rinvia, ha accertato che la RAGIONE_SOCIALE è stata costituita il 16 febbraio 2000 per iniziativa della Regione Lombardia, della Fondazione Cariplo e Unioncamere, cui si è aggiunto il Comune di Milano, che ha concesso l’immobile di Milano, INDIRIZZO adibito a sede della Fondazione, a titolo di comodato gratuito.
Lo scopo statutario della Fondazione era costituito dalla promozione del territorio lombardo, dallo sviluppo del suo comparto industriale e della sua industria cine-audiovisiva e multimediale. I fondatori provvedevano, inoltre, al finanziamento ordinario della RAGIONE_SOCIALE e designavano la maggioranza dei componenti dei suoi organi direttivi e del collegio dei revisori dei conti.
La Fondazione, come ha correttamente rilevato il giudice di primo grado, era, dunque, un organismo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, in quanto è un ente dotato di personalità giuridica, istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, ed era finanziato in modo maggioritario da enti pubblici territoriali.
L’art. 17, comma 1, lett. a), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, escludeva l’applicazione della disciplina del Codice dei contratti pubblici per i contratti aven ad oggetto l’acquisto di beni immobili; l’art. 4 di tale decreto legislativo, nel formulazione all’epoca vigente, tuttavia, sanciva che l’affidamento dei contratti
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pubblici, anche a quelli “esclusi” dall’applicazione delle disposizioni del codice degli appalti, doveva pur sempre avvenire «nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica».
Nel parere reso dalla Regione Lombardia, l’acquisto dell’immobile doveva, da ultimo, essere operato dopo «una ricerca di mercato tramite avviso adeguatamente pubblicizzato in aderenza con quanto disposto dal R.D. 2220 del 1924» (Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato).
L’osservanza di queste prescrizioni, richieste non al contraente che agisca iure privatorum, ma solo alla parte che contrae nel perseguimento di un pubblico interesse e secondo la disciplina di natura pubblicistica, dimostra come correttamente i giudici di merito abbiano attribuito a COGNOME all’atto della sottoscrizione del contratto preliminare di acquisto dell’immobile di Cormano, la qualifica di incaricato di pubblico servizio.
L’avvocato COGNOME con il secondo motivo, e l’avvocato NOME COGNOME con il primo motivo di ricorso, hanno censurato l’erronea applicazione dell’art. 353-bis cod. pen., in quanto la Corte di appello avrebbe qualificato un mero avviso di ricerca immobiliare quale atto equipollente ad un bando di gara.
L’avviso di ricerca immobiliare, come risulterebbe dal suo testo, non avrebbe determinato l’apertura di alcuna procedura selettiva o, comunque, determinato l’insorgenza di alcun vincolo di natura negoziale per la fondazione.
La giurisprudenza di legittimità più recente ha, peraltro, rilevato che sono estranee all’ambito applicativo dell’art. 353 bis cod. pen. le fattispecie nelle quali la scelta o, comunque, la ricerca del contraente prescinda da una comparazione, anche del tutto informale, tra soggetti, come nei casi di trattativa privata non preceduta da una fase di valutazione concorsuale.
Analoghe censure sono state proposte dall’avvocato NOME COGNOME nei primi due motivi di ricorso.
5. Il motivo è infondato.
5.1. La Corte di appello (alle pagg. 38-39 della sentenza impugnata) ha ritenuto sussistente il delitto di turbata libertà di scelta del contraente, in quan l’avviso di ricerca immobiliare, pubblicato dalla Fondazione L.F.C. in data 17 maggio 2017 nella sezione “bandi” del sito Internet della Fondazione, rientra nell’ambito applicativo dell’art. 353 bis cod. pen., quale atto equipollente al bando di gara.
I giudici di appello hanno posto due ragioni a fondamento di questa
affermazione.
In primo luogo, la Corte di appello ha rilevato che la formula utilizzata dall’art. 353-bis cod. pen. include nell’ambito di rilevanza penale, ogni procedimento idoneo alla selezione del contraente, anche se non è intervenuto un bando formale di gara, ovvero una procedura tipizzata di selezione, purché l’organo o l’ente pubblico abbia iniziato il procedimento amministrativo che dimostri la volontà di contrarre (Sez. 5, n. 26556 del 13/04/2021, COGNOME, Rv. 281470 – 01).
La Corte di appello ha, inoltre, rilevato che la giurisprudenza di legittimità (e ha citato in proposito Sez. 6, n. 44700 del 13/07/2021, COGNOME, Rv. 282289) sostiene che anche l’avviso con il quale si dà inizio alla fase di ricerca e scelta del contraente ben può essere qualificato quale atto equipollente al bando di gara, laddove l’indebita collusione tra le parti abbia consentito di eludere la successiva fase di comparazione delle proposte e di valutazione, nel contraddittorio con i soggetti interessati, dei possibili contenuti del contratto.
Secondo i giudici di appello, dunque, il delitto di cui all’art. 353-bis cod. pen è applicabile nel caso di specie, in quanto gli imputati hanno colluso al fine di evitare l’adozione del bando di gara e, comunque, la pubblicazione dell’avviso di ricerca immobiliare ha comportato l’avvio di un iter procedimentale, pur se a carattere informale.
5.2. La motivazione della Corte di appello necessita di correzione che, tuttavia, ai sensi dell’art. 619 cod. pen. non determina l’annullamento della sentenza impugnata, in quanto il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, sia pure sulla base di ragioni giuridiche diverse da quelle indicate nella sentenza impugnata, è applicabile nel caso di specie.
Secondo il recente e ormai costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di cui all’art. 353-bis cod. pen. non è configurabile nelle ipo di contratti conclusi dalla pubblica amministrazione a mezzo di trattativa privata svincolata da ogni schema concorsuale o quando la decisione di procedere all’affidamento diretto sia essa stessa il risultato di condotte perturbatrici volte evitare la gara (ex plurimis: Sez. 6, n. 17876 del 11/01/2022, COGNOME, Rv. 283155 – 01; Sez. 6, n. 5536 del 28/10/2021, dep. 2022, COGNOME Rv. 282902 – 01; conf. Sez. 5, n. 457809 del 26/10/2022, COGNOME, Rv. 283890 – 01).
Queste pronunce, tuttavia, hanno precisato che il delitto di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente è configurabile nei casi in cui la trattativa privata, al di là del nomen iuris, si svolga a mezzo di una gara, sia pure informale; il delitto di cui all’art. 353-bis cod. pen. è, dunque, ravvisabile ove sia accertat «un segmento valutativo concorrenziale, mentre non è configurabile nelle ipotesi in cui il procedimento di scelta sia svincolato da ogni schema concorsuale» (Sez.
s
5, n. 457809 del 26/10/2022, cit.).
Ritiene il Collegio che la prima delle evenienze ora indicate ricorre nel caso di specie.
L’«avviso di ricerca immobiliare» di cui si controverte, infatti, al pari d bando, costituisce un invito ad offrire, in quanto non solo individua l’oggetto del contratto e le caratteristiche fondamentali dell’immobile (la sua superficie, la zona dove doveva essere ubicato, le caratteristiche catastali e le dotazioni richieste), ma ammette anche una pluralità di offerenti.
La Fondazione, indipendentemente da quanto indicato nell’avviso di ricerca immobiliare, in ottemperanza al già citato art. 4 d.lgs. n. 163 del 2006, in caso di pluralità di offerenti, avrebbe dovuto pur sempre individuare la parte contrante sulla base di una comparazione tra i concorrenti condotta secondo il criterio di imparzialità e di parità di trattamento e non già limitarsi a scegliere fra gli ste secondo le valutazioni di mera convenienza ed opportunità, proprie delle contrattazioni tra privati.
Questa Corte ha, inoltre, rilevato che anche l’avviso con il quale si dà inizio alla fase di ricerca e scelta del contraente ben può essere qualificato quale atto equipollente al bando di gara (Sez. 6, n. 44700 del 13/07/2021, COGNOME, Rv. 282289, con riferimento ad una procedura contrattuale di “pre-commercial procurement”; nel caso esaminato dalla Corte l’allegato tecnico all’avviso, descrittivo del contenuto del futuro contratto, era stato predisposto dalla società risultata aggiudicataria del contratto e modellato sulle competenze e sulle scelte gestionali di questa).
Questa sentenza ha, infatti, rilevato che «nella procedura del pre-commercial procurement è consentita una fase di interlocuzione con i soggetti interessati alla stipula dell’accordo, che non esclude., che il momento della scelta del contraente debba essere comunque improntato ad una comparazione secondo il criterio di imparzialità».
5.3. Non possono escludere la configurabilità del delitto contestato nel capo A), le recenti pronunce di questa Sezione che hanno affermato come possano essere ricondotte alla nozione di “gara” solo i procedimenti concorsuali di cui la pubblica amministrazione si avvale per la cessione di beni ovvero per l’affidamento all’esterno dell’esecuzione di un’opera o la gestione di un servizio (ex plurimis: Sez. 6, n. 38127 del 24/05/2023, COGNOME, Rv. 285274 – 01; Sez. 6, n. 21104 del 11/04/2024, COGNOME, Rv. 286380 – 01, in fattispecie relative alle procedure concorsuali per l’assunzione di personale da parte dello Stato e delle sue articolazioni).
Questi principi di diritto sono, infatti, stati affermati con riferimento nozione di gara, che figura nella fattispecie di turbata libertà degli incanti di
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.)
all’art. 353 cod. pen. e, dunque, non sono trasponibili con riferimento alla fattispecie di turbata libertà di scelta del contraente di cui all’art. 353-bis c pen., incentrata sulle turbative illecite del procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente, indipendentemente dall’oggetto dello stesso.
5.4. Il rigetto delle censure proposte dai ricorrenti relativamente al delitto d turbata libertà di scelta del contraente contestato nel capo A) determina, tuttavia, la prescrizione di tale reato.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, solo l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 1 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01, nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso).
Il reato contestato nel capo A) è, infatti, stato commesso in data 17 maggio 2017 (all’atto della pubblicazione del bando di gara) e il termine massimo di prescrizione, di sette anni e sei mesi, in assenza dell’intervento di cause di sospensione del suo corso, è integralmente decorso alla data del 17 novembre 2024.
5.5. Dalle sentenze di merito, peraltro, non risulta evidente che il fatto non sussiste o che gli imputati non lo hanno commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
La Corte di appello ha, altresì, ritenuto comprovato il reato contestato in ragione del ridotto spazio di pubblicità in cui è stato deliberatamente relegato l’avviso di ricerca immobiliare sul sito Internet della Fondazione (nonostante la Regione Lombardia ne avesse richiesto una adeguata pubblicizzazione), della deliberata predisposizione di un “bando fotocopia”, cioè modellato sulla posizione e sulle caratteristiche dell’immobile di Cormano, della ristrettezza dei termini entro cui rispondere all’annuncio e delle criticità sotto il profilo economico dell’offer predisposta dalla società RAGIONE_SOCIALE tutti elementi circostanziali ritenuti sintomatici della configurabilità della predetta fattispecie di reato.
Il giudice di primo grado ha, peraltro, significativamente rilevato che l’avviso pubblicato sul sito della Fondazione era pressoché identico (769 su 760 parole) alla “bozza” inviata da COGNOME a Di Rubba in data 9 maggio 2017 alle ore 8.17.
Con il terzo motivo il difensore ha denunciato la violazione dell’art. 56, comma 3, cod. pen., in conseguenza della desistenza volontaria degli imputati
dall’accordo collusivo diretto alla violazione dell’art. 353 bis cod. pen.
Il motivo è inammissibile, in quanto, pur deducendo un vizio di violazione della legge penale, si fonda su una ricostruzione delle condotte alternativa rispetto a quella operata dalle sentenze di merito, come tale non consentita in sede di legittimità.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una diversa lettura deg elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Sono, dunque, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorren come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5456 del 4/11/2020, F., Rv. 280601-1; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482).
L’avvocato COGNOME con il quarto ed il quinto motivo, si duole altresì della violazione di legge e del vizio di contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di peculato ex art. 314 cod. pen. di cui al capo B) di imputazione.
L’avvocato COGNOME con il secondo motivo proposto nel proprio ricorso, ha censurato la mancanza e, comunque, la mera apparenza della motivazione sui motivi di appello D4), D6) e D7), relativi all’effettiva sussistenza di un accord illecito in epoca pregressa all’«avviso di ricerca immobiliare».
Con il terzo motivo proposto, inoltre, l’avvocato COGNOME ha eccepito l’errata applicazione dell’art. 314 cod. pen. sotto il profilo della ritenuta irrilevanza de verifica del valore del complesso immobiliare e della congruità del prezzo corrisposto da L.F.C. ai fini della sussistenza del reato contestato.
L’avvocato NOME COGNOME con il terzo e il quarto motivo di ricorso, ha censurato la violazione dell’art. 314 cod. pen., in quanto difetterebbero gli elementi, oggettivo e soggettivo, del delitto di peculato contestato nel capo B) di imputazione.
Tali motivi sono infondati.
9.1. I giudici di merito hanno ritenuto comprovati i contatti tra COGNOME e COGNOME tanto con COGNOME quanto con COGNOME già nel 2016 (e, dunque, prima
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ancora della pubblicazione dell’avviso di ricerca, ma dopo la ricezione del contributo regionale straordinario) al fine dell’individuazione dell’immobile e degli accordi relativi ai lavori di ristrutturazione da eseguire e ai costi da sostenere.
I giudici di merito hanno, inoltre, riconosciuto valore decisivo, quale formalizzazione scritta dell’accordo collusivo concluso tra COGNOME, COGNOME e COGNOME, al file Excel denominato «conteggi», che COGNOME ha inoltrato via mail a COGNOME in data 30 novembre 2017 (e, dunque, solo quattro giorni prima della sottoscrizione del contratto preliminare).
Le sentenze di merito hanno, dunque, coerentemente concluso che il prezzo pagato per l’acquisto del capannone di Cormano non ha costituito l’esito della dialettica negoziale tra parti contrattuali contrapposte, ma è stato «determinato sulla base dell’accordo collusivo intervenuto tra tutti gli imputati».
L’ammontare del corrispettivo è, peraltro, stato significativamente determinato in misura equivalente (800.000 euro) all’intero ammontare del finanziamento straordinario ricevuto dalla Fondazione LRAGIONE_SOCIALE (un milione di euro), una volta detratta VIVA dovuta, «in funzione di una retrocessione di quota parte della stessa nelle loro personali disponibilità» (pag. 64 della sentenza impugnata).
La Corte di Appello di Milano ha confermato le statuizioni del giudice di primo grado rilevando congruamente che la RAGIONE_SOCIALE all’atto della sottoscrizione del preliminare, ha versato integralmente il prezzo convenuto per l’acquisto dell’immobile e per la realizzazione di significative, ancorché indeterminate, opere di ristrutturazione, pari all’importo di 800.000,00 euro alla società RAGIONE_SOCIALE Scillieri e che questa, in assenza di giustificazione causale, ha subito dopo versato la somma di euro 178.450,00 alla SDC di COGNOME.
I giudici di appello hanno rilevato che, «a soli tre giorni di distanza dall’incasso degli euro 800.000 da LFC, si registrano sul conto di RAGIONE_SOCIALE nella stessa giornata dell’8.12.2017 due rilevanti uscite di cassa: RAGIONE_SOCIALE in data 08.12.2017, versa 488.000 euro a RAGIONE_SOCIALE e 178.450 euro a RAGIONE_SOCIALE trattenendo 133.550 euro che trasferirà, a partire dal 24.1.2018, ai coimputati COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Le due società in questione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE – di recente costituzione e prive di qualsiasi struttura produttiva – hanno trasferito poi queste somme ricevute da RAGIONE_SOCIALE nell’arco di pochi giorni a soggetti economici riconducibili a tutti i coimputati coinvolti nell'”affare Cormano”» (pag. 57 della sentenza impugnata).
La Corte di appello, sulla base degli ulteriori bonifici disposti da Di COGNOME in favore di società riconducibili a COGNOME e COGNOME, ha rilevato logicamente che le prova acquisite «hanno inequivocamente provato che oltre metà del prezzo pagato, con i fondi pubblici erogati a LFC, per l’immobile di Cormano (euro 178.000 + euro 61.000 + euro 88.400 + euro 100.000 pervenuti direttamente a COGNOME
e COGNOME euro 133.550 agli altri coimputati, nel pieno concorso di COGNOME e COGNOME), veniva distratto dagli imputati per finalità personali, integrando così l’oggetto della contestata appropriazione» (pag. 64 della sentenza impugnata).
9.2. Parimenti il vizio di violazione di legge denunciato è insussistente.
Le Sezioni unite di questa Corte hanno statuito che «l’eliminazione della parola «distrazione» dal testo dell’art. 314 cod. pen., operata dalla legge n. 86 del 1990, non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall’agente pubblico nell’area di rilevanza penale dell’abuso d’ufficio. Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate ai soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato. La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d’ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell’agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla p.a. (Sez. 6, n. 17619 dei 19/03/2007, COGNOME; Sez. 6, n. 40148 del 24/10/2002, COGNOME)» (Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255296 – 01, non massimata sul punto; conf., ex plurimis: Sez. 6, n. 19484 del 23/01/2018, COGNOME, Rv. 273783 – 01; Sez. 6, n. 25258 del 04/06/2014, COGNOME, Rv. 260070; Sez. 6, n. 1247 del 17/07/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258411).
La Corte di appello di Milano ha fatto corretta applicazione di questi consolidati principi di diritto, nel qualificare la condotta di COGNOME e d concorrenti nel reato quale peculato per distrazione.
L’imputato, infatti, in qualità di presidente della RAGIONE_SOCIALE, dopo aver ricevuto il finanziamento straordinario di un milione di euro dalla Regione Lombardia per l’acquisto della sede dell’ente e, dunque, dopo aver acquisito la disponibilità di tali somme, le ha integralmente versate all’atto della sottoscrizione del preliminare di vendita, anche in pagamento del corrispettivo di realizzazione di lavori di ristrutturazione ancora da realizzare.
COGNOME, unitamente al socio NOME COGNOME in forza dei pregressi accordi illeciti negoziati, di seguito ha ricevuto da COGNOME la restituzione di una parte prezzo versato, mediante pagamenti privi di causa lecita operati in favore di società a loro riconducibili.
Gli imputati, dunque, in base all’articolato meccanismo negoziale sopra descritto, hanno distratto in proprio favore, sottraendolo al soddisfacimento delle finalità di interesse pubblico, quasi la metà del finanziamento erogato dalla Regione Lombardia alla Fondazione RAGIONE_SOCIALE e da questa versato per l’acquisto della nuova sede a Cormano.
9.3. Non può, peraltro, escludere la commissione del reato di peculato il fatto
che COGNOME al momento del rogito notarile (e, dunque, in data 13 settembre 2018) non fosse più presidente di RAGIONE_SOCIALE
Il reato di peculato è, infatti, stato realizzato non già all’atto dell’acquisto bene immobile, ma tre giorni dopo l’integrale versamento del corrispettivo all’atto della sottoscrizione del contratto preliminare, quando gli imputati hanno ricevuto la retrocessione di una parte cospicua del prezzo versato dalla fondazione.
9.4. Parimenti inammissibili per aspecificità sono le censure volte a dimostrare l’erronea applicazione della fattispecie di reato di cui all’art. 314 cod pen., in quanto, per effetto dell’acquisto dell’immobile, la Fondazione avrebbe soltanto convertito nel proprio patrimonio la titolarità della somma di un milione di euro con quella di un bene immobile, peraltro di valore asseritamente corrispondente al prezzo versato.
La Corte di appello ha, infatti, ritenuto provato il delitto di peculato p effetto della documentata collusione tra gli imputati in ordine alla determinazione del prezzo di cessione dell’immobile e alla sua restituzione, in misura cospicua, a COGNOME, a COGNOME e agli altri concorrenti, mediante versamenti privi di causa lecita in favore di società agli stessi riconducibili, e non già in ragione de incongruità del prezzo pattuito per la cessione dell’immobile.
Il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, del resto, nella sentenza di primo grado, espressamente richiamata nella pronuncia impugnata, ha rilevato congruamente che il capannone di Cormano era «da tempo dismesso, si trovava in una zona produttiva di non particolare pregio, servita da una rete di viabilità di calibro relativamente modesto».
Il giudice ha, inoltre, rilevato che, secondo la stima più attendibile, quell del consulente del Pubblico Ministero, architetto NOME COGNOME in quanto formulata su un metodo estimativo accreditato a livello internazionale (“market comparison approach”), il valore dell’immobile doveva essere determinato in euro 435.000 nelle condizioni di manutenzione nelle quali l’immobile si trovava al momento della vendita.
Per converso, le ulteriori stime prodotte dalla difesa risultavano scarsamente attendibili, in quanto «domestiche», per la provenienza, quale quella del dr. NOME COGNOME socio di studio dello Scillieri, o, comunque, meno approfondite nelle fonti e nelle stime poste a fondamento del computo eseguito.
Questi rilievi, nella valutazione non certo illogica dei giudizi di merit rendono irrilevante il tema della congruità del prezzo dell’acquisto dell’immobile, in quanto dimostrano l’avvenuto perfezionamento del delitto di peculato per effetto delle condotte appropriative accertate, indipendentemente dal valore del bene acquistato.
9.5. Le ulteriori censure proposte dai ricorrenti in ordine alla congruità del
prezzo di acquisto del capannone sono inammissibili, in quanto sono volte a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti accertati dai giudici di merito, no consentita nel giudizio di legittimità.
L’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME con il primo motivo di ricorso ha eccepito che lo stesso ha avuto un ruolo marginale nelle vicende contestate e la sua condotta sarebbe irrelata rispetto a quella degli altri imputati.
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una sollecitazione ad un rinnovato esame delle risultanze probatorie, non consentito nel giudizio di legittimità.
Le sentenze di merito hanno congruamente rilevato che NOME COGNOME era socio di COGNOME, che lo ha coadiuvato nell’ideazione e nell’esecuzione delle condotte contestate, partecipando ad alcun incontri a Cormano, Clusone e Milano con COGNOME per la realizzazione dell’accordo illecito e che ha ricevuto mail significative per il suo perfezionamento.
COGNOME ha, inoltre, dichiarato che COGNOME e COGNOME erano un’unica entità («erano come la stessa persona, perché li ho visti sempre insieme in totale sintonia»).
Il ricorrente, infine, ha ricevuto, in ragione della sua partecipazione concorsuale alla condotte illecite accertate, la retrocessione di una parte significativa del corrispettivo della vendita dell’immobile di Cormano.
Con il primo motivo nuovo l’avvocato NOME COGNOME ha dedotto l’intervento del giudicato penale che ha escluso ogni sproporzione tra il prezzo pagato da RAGIONE_SOCIALE per l’immobile di Cormano e il valore di mercato dello stesso, secondo quanto ritenuto dal Tribunale di Milano nella sentenza n. 1339/21 del 23 dicembre 2021, emessa nei confronti del concorrente NOME COGNOME.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, in quanto non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, dimostrandone la manifesta illogicità o l’illegittimità, ma introduce argomenti volti a confutarla nel merito, peraltro no dedotti nel giudizio di merito.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, sono inammissibili per aspecificità i motivi che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (ex plurimis: Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv.
253849; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230631; Sez. 6, n. 49 del 08/10/2002, Notaristefano, Rv. 223217; Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, B., 281521).
Con il sesto motivo di ricorso, il difensore ha censurato il vizio di motivazione in relazione alla mancata imputazione del pagamento di euro 178.450,00, operato dall’RAGIONE_SOCIALE in favore della RAGIONE_SOCIALE, società che RAGIONE_SOCIALE utilizzava per le operazioni straordinarie, all’intermediazione svolta per la compravendita dei terreni in Onore (BG).
Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nel tentativo di offrire una lettura alternativa degli elementi probatori, così come interpretati dai giudici d merito.
La Corte di appello ha, peraltro, non incongruamente ritenuto tale somma legata all’accordo collusivo e oggetto dell’ingiusto arricchimento in ragione della considerazione di plurimi argomenti: a) l’esistenza di due versioni differenti della fattura portata a supporto della causale del versamento nella contabilità di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE; b) il decorso di circa un anno tra l’operazione di compravendita addotta dagli imputati a giustificazione del pagamento e il pagamento stesso; c) l’assenza di qualsivoglia spiegazione in ordine alla posticipazione della fatturazione e la sproporzione tra il prezzo di vendita del terreno (250.000,00) e la somma versata (178.450,00) dall’RAGIONE_SOCIALE (Scillieri) alla RAGIONE_SOCIALE (Di Rubba).
La Corte di appello, dunque, con valutazione non incongrua, ha escluso che questo pagamento potesse trovare fondamento in una pregressa mediazione svolta dalla società di RAGIONE_SOCIALE, in quanto la provvigione, contro ogni logica economica, ammonterebbe al 71% del bene del valore ceduto.
Tali dati sono stati letti sinergicannente dalla Corte territoriale, anche con l sospetta vicinanza del versamento della somma di C. 178.450,00 alla ricezione, da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, della somma di C. 800.000,00, quale corrispettivo della promessa cessione dell’immobile di Cormano.
Le indagini bancarie hanno, inoltre, accertato che COGNOME ha versato una parte del corrispettivo ricevuto a COGNOME, che, di seguito ha versato la somma di 100.000 a RAGIONE_SOCIALE riconducibile, in modo incontestato, a COGNOME e COGNOME.
Con il settimo motivo di ricorso, l’avvocato COGNOME ha eccepito la mancata assunzione di una prova decisiva, costituita dalla perizia estimativa dell’immobile di Cormano.
17. Il motivo è infondato.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, nei casi in cui si proceda con giudizio abbreviato, la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello per assumere d’ufficio, anche se su sollecitazione di parte, prove sopravvenute che non siano vietate dalla legge o non siano motivatamente ritenute manifestamente superflue o irrilevanti, può essere sindacata, in sede di legittimità, ex art. 603, comma 3, cod. proc. pen., soltanto qualora sussistano, nell’apparato motivazionale posto a base della conclusiva decisione impugnata, lacune, manifeste illogicità o contraddizioni, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza (Sez. 2, n. 40855 del 19/04/2017, COGNOME, Rv. 271163).
Nel giudizio abbreviato d’appello, infatti, le parti sono titolari di una mer facoltà di sollecitazione del potere di integrazione istruttoria, esercitabile giudice ex officio nei limiti della assoluta necessità ai sensi dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., atteso che in sede di appello non può riconoscersi alle parti la titolarità di un diritto alla raccolta della prova in termini diversi e più ampi risp a quelli che incidono su tale facoltà nel giudizio di primo grado (Sez. 2, n. 5629 del 30/11/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282585; Sez. 2, n. 17103 del 24/03/2017, A., Rv. 270069).
La Corte di appello, dunque, con motivazione logica e conforme alla disciplina processuale, ha ritenuto non necessario disporre una perizia per accertare il “giusto prezzo” dell’immobile di Cormano, in quanto le prove acquisite hanno dimostrato che il prezzo di vendita dell’immobile è stato determinato per effetto del solo accordo collusivo tra gli imputati, e che, in seguito al versamento dello stesso all’atto della sottoscrizione del preliminare, sono stati posti in essere ingent restituzioni di parte dello stesso in favore degli imputati.
18. Con l’ottavo motivo di ricorso, l’avvocato NOME COGNOME ha chiesto che la condotta di peculato contestata nel capo A) venga riqualificata nella fattispecie di reato, di recente introduzione, di cui all’art. 314-bis cod. pen., in quanto fattispecie realizzatasi rientrerebbe nello schema del c.d. peculato per distrazione.
Analoga censura è stata proposta dall’avvocatep NOME COGNOME nell’interesse del proprio assistito con il quinto motivo di ricorso.
19. Il motivo è infondato.
19.1. L’art. 9, comma 1 del decreto legge 4 luglio 2024, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 112, a decorrere dal 5 luglio 2024, ha introdotto nel codice penale il reato di indebita destinazione di denaro o cose mobili all’art. 314-bis.
Questa disposizione espressamente sancisce che «Fuori dei casi previsti dall’articolo 314, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, c avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, li destina ad un uso diverso da quello previsto da specifiche disposizioni di legge o da atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità e intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale o ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».
Nel preambolo al decreto legge il Governo ha precisato di aver fatto ricorso al decreto legge, «ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di definire, anche in relazione agli obblighi euro-unitari, il reato di indebita destinazione di beni a opera del pubblico agente».
Il riferimento agli obblighi di incriminazione derivanti, ai sensi dell’art. 11 primo comma, Cost., dal diritto dall’Unione europea è al disposto dell’art. 4, paragrafo 3, della Direttiva UE 2017/1371 del 5 luglio 2017 relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penal (c.d. Direttiva PIF), che prescrive la penalizzazione delle condotte del funzionario pubblico che miri all’«appropriazione indebita di fondi o beni, per uno scopo contrario a quello previsto».
Il Governo, infatti, con l’introduzione della nuova fattispecie di reato, ha inteso ovviare all’esclusione della rilevanza penale delle condotte di distrazione poste in essere dai pubblici agenti nell’interesse pubblico, che sarebbe conseguita alla prossima abrogazione del reato di abuso di ufficio e che sarebbe risultata in contrasto con il diritto dell’Unione europea.
L’introduzione della nuova fattispecie di reato ha, infatti, anticipato di pochi giorni l’approvazione della legge 9 agosto 2024, n. 114 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare), che, con l’art. 1, comma 1, lett. b), ha abrogato, a decorrere dal 25 agosto 2024, il reato di cui all’art. 323 cod. pen.
19.2. Il nuovo reato di indebita destinazione presenta, sul piano del fatto tipico oggettivo, il medesimo presupposto e l’oggetto materiale della condotta del peculato: il soggetto attivo del reato, pubblico ufficiale o incaricato di pubblic servizio, deve, infatti, avere, «per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui.
Parimenti il reato di cui all’art. 341-bis cod. pen. presenta più elementi dell’abuso d’ufficio: sul piano oggettivo, la condotta di destinazione del bene ad uso diverso deve contrastare, così come avveniva sotto l’art. 323 cod. pen., come modificato nel 2020, con specifiche disposizioni di legge o con atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità; corrispondente è, inoltre,
l’evento del reato (l’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, in alternativ all’altrui danno ingiusto) e l’elemento soggettivo, costituito dal dolo intenzionale.
La natura composita di questa fattispecie di reato ha creato un contrasto di opinioni tra quanti in dottrina hanno ritenuto che l’art. 314-bis cod. pen. costituisc la nuova disciplina generale del peculato per distrazione, idonea a erodere l’ambito applicativo dell’art. 314 cod. pen., per come interpretato sino ad ora dalla giurisprudenza, e quanti hanno ritenuto che la nuova fattispecie costituisca, invece, una forma speciale di abuso di ufficio («l’ultimo residuo dell’art. 323»), che mantiene ferma la punibilità, seppure con una pena assai più mite, di quelle condotte distrattive che erano ricondotte dalla giurisprudenza alla fattispecie previgente dell’abuso di ufficio.
19.3. Nella versione originaria del codice del 1930, l’art. 314 cod. pen. (come pure il precedente art. 168 del codice Zanardelli) prevedeva che il delitto di peculato potesse essere commesso in due forme alternative: l’appropriazione e la distrazione.
Con l’art. 1 della legge 26 aprile 1990, n. 86, il legislatore ha, tuttavia espunto, nella fattispecie di cui all’art. 314 cod. pen., il riferimento alla distrazi a profitto proprio o di altri, al fine di sussumere queste condotte nella fattispeci di abuso di ufficio ed evitare violazioni del principio di proporzionalità tra fatto sanzione.
L’intento del legislatore era, infatti, quello al fine di arginare alcu interpretazioni della giurisprudenza, che ritenevano integrato il reato di peculato per l’impiego di denaro o delle cose mobili nel possesso o nella disponibilità del pubblico agente per scopi diversi da quelli cui i beni erano destinati, anche a fronte di mere violazioni della disciplina amministrativa sulla destinazione dei fondi pubblici e di utilizzo degli stessi per fini di pubblica utilità.
La giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, ritenuto che, pur in seguito all’intervento del legislatore del 1990, il peculato per distrazione integrasse alternativamente il reato di abuso di ufficio o di peculato, in ragione delle finalit perseguite dall’agente, e che permanessero nell’ambito applicativo dell’art. 314 cod. pen. le condotte di c.d. distrazione appropriativa, ossia di destinazione da parte del pubblico agente di beni all’esclusivo soddisfacimento di interessi privati.
Le Sezioni unite COGNOME hanno rilevato che «l’eliminazione della parola «distrazione» dal testo dell’art. 314 cod. pan., operata dalla legge n. 86 del 1990, non ha determinato puramente e semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dall’agente pubblico nell’area di rilevanza penale dell’abuso d’ufficio.
Qualora, infatti, mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse vengano sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate ai
soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il delitto di peculato.
La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d’ufficio nei casi in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell’agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla p.a. (Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255296 – 01, non massimata sul punto).
Il confine tra peculato e abuso d’ufficio, con riferimento alle condotte distrattive, era, dunque, costituito dalla natura delle finalità cui è destinato denaro o la cosa mobile altrui.
L’utilizzo per finalità esclusivamente personali ed estranee a quelle istituzionali di denaro pubblico determina la “distrazione” dello stesso, mentre il reato di peculato non è ravvisabile nei casi in cui l’interesse privato dell’agente e quello istituzionale dell’ente siano sincroni e sovrapponibili, non risultando in alcun modo contrastanti (Sez. 6, n. 25173 del 13/04/2023, Costa, Rv. 284790-01, fattispecie in cui la Corte ha escluso il reato di peculato con riguardo all’utilizzo fondi di un consorzio industriale impiegati dal consiglio di amministrazione per il pagamento delle prestazioni di un avvocato incarico di impugnare il provvedimento regionale che disponeva lo scioglimento dell’ente, a nulla rilevando il convergente interesse degli imputati di evitare l’azzeramento degli organi consortili dai medesimi ricoperti).
L’utilizzo di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integra, dunque, il reato di abuso d’ufficio qualora l’atto di destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubblici obiettivamente esistent e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l’adozione di un impegno di spesa da parte dell’ente, mentre integra il più grave reato di peculato nel caso in cui l’atto di destinazione sia compiuto in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione di mera copertura formale, per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali (Sez. 6, n. 27910 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 279677, fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la condanna per peculato del presidente di un’azienda pubblica, rilevando che l’accertata violazione della normativa per la scelta della ditta appaltatrice e la mancata osservanza delle norme di contabilità, in assenza della prova della non corrispondenza dell’importo erogato al valore delle opere realizzate, avrebbero potuto integrare al più il reato di abuso di ufficio).
19.4. La giurisprudenza di legittimità, nelle prime sentenze intervenute sull’art. 314-bis cod. pen., ha statuito che il reato di indebita destinazione d danaro o di cose mobili sanziona le condotte distrattive di danaro o di cose mobili che la giurisprudenza di legittimità, nella disciplina previgente, riferiva al
fattispecie abrogata dell’abuso di ufficio (Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287453-02; conf. Sez. 1, n. 5041 del 10/01/2025, COGNOME, Rv. 287431-01).
Sul piano testuale, infatti, non è certo casuale la scelta del legislatore di non riproporre il lemma “distrae”, ma di utilizzare il diverso predicato verbale “destina”, proprio al fine di evitare equivoci in ordine alla volontà di reintrodurre una distinzione tra peculato per appropriazione e per distrazione non più contemplata nel codice penale dal 1990.
La disposizione di cui all’art. 314-bis cod. pen., del resto, esordisce con una clausola di riserva («uori dai casi previsti dall’art. 314») proprio per regolare concorso apparente tra le fattispecie di reato di peculato e di indebita destinazione di denaro o cose mobili.
Con questa clausola di riserva “determinata”, in quanto riferita ad una specifica disposizione, il legislatore ha inteso escludere un’incidenza della nuova fattispecie sull’ambito applicativo dell’art. 314 cod. pen., per come interpretato dal diritto vivente.
Se la nozione di “appropriazione” che connota la condotta del reato di peculato, infatti, non ricomprendesse anche quella di “distrazione”, non vi sarebbe alcuna interferenza tra le disposizioni di cui agli articoli 314 e 314-bis cod. pen., in quanto le due fattispecie contemplerebbero due condotte del tutto distinte e irrelate; in nessun caso, infatti, una “destinazione” di beni per finalità diverse da quelle pubbliche, ma pur sempre compatibile con la realizzazione di interessi pubblici, potrebbe essere ascritta alla nozione di “appropriazione”.
La tipicità della fattispecie di cui all’art. 314-bis cod. pen., dunque, si stagl una volta esclusa la ricorrenza della fattispecie di peculato di cui all’art. 314 cod pen.
Il legislatore, dunque, consapevole del diritto vivente, ne ha preso atto e, con la previsione della clausola di riserva contenuta nell’art. 314-bis cod. pen., ha inteso mantenere inalterato l’ambito applicativo del delitto di peculato, per come delineato dal costante orientamento della giurisprudenza di legittimità.
Le condotte di distrazione qualificabili come peculato, dunque, non sono suscettibili di diversa qualificazione per effetto dell’introduzione del delitto di all’art. 314-bis cod. pen., e, pertanto, rimangono punibili ai sensi dell’art. 314 cod pen.
Sono questi i casi in cui la condotta distrattiva integra un’effettiva appropriazione perché la res è sottratta in modo definitivo dalla finalità pubblica per conseguire finalità private proprie o altrui.
Con riferimento a queste ipotesi di “distrazione appropriativa” vi è, dunque, continuità nella qualificazione giuridica e, di conseguenza, nella risposta
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sanzionatoria, sempre affidata all’art. 314 cod. pen.
L’art. 314-bis cod. pen., dunque, non interferisce e non costituisce lex mitior rispetto alle condotte di peculato per distrazione, che esulano del tutto dall’ambito applicativo della fattispecie di indebita destinazione.
La nuova fattispecie di reato, coerentemente con la ragione della sua introduzione, sottrae, invece, le condotte di indebita destinazione di denaro o cose mobili, ritenute nell’assetto previgente quale condotte di abuso di ufficio, all’irrilevanza penale conseguente all’aboliti° criminis di tale reato, per evitare il contrasto con gli obblighi di criminalizzazione derivanti dal diritto dell’Union europea.
19.5. Posto, dunque, che nel caso di specie, per quanto accertato dalle sentenze di merito, la distrazione del contributo straordinario erogato dalla Regione Lombardia è stata operata dagli imputati nel proprio interesse, senza alcuna compresenza dell’interesse pubblico, permane corretta la qualificazione di tali condotte ai sensi dell’art. 314 cod. pen. e non già dell’art. 314-bis cod. pen.
20. Con il nono motivo il difensore ha eccepito la nullità della sentenza per violazione della correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (ex artt. 521 e 522 cod. proc. pen.) in relazione alla caparra confirmatoria di C. 100.000,00, versata dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE società di riferimento di RAGIONE_SOCIALE
La sentenza di primo e di secondo grado hanno, infatti, condannato il ricorrente non solo per le somme versate dall’RAGIONE_SOCIALE, ma anche per la somma di ulteriori 100.000 euro versati dal coimputato COGNOME alla RAGIONE_SOCIALE di COGNOME.
Questo versamento, tuttavia, sarebbe estraneo all’imputazione e, dunque, vi sarebbe una violazione sostanziale del diritto di difesa.
21. Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha, infatti, rilevato, non incongruamente, a pag. 56 della sentenza impugnata, che nel capo di imputazione sono state contestate anche le condotte successive al pagamento del prezzo e, dunque, la retrocessione di parte cospicua del prezzo avvenuta per il tramite di diversi veicoli societari, tra cui anche la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, comunque riconducibile al ricorrente ed a Manzoni.
Nel corso dei giudizi di merito è, comunque, stata data al ricorrente ampia possibilità di difendersi a fronte della documentazione bancaria e contabile versata in atti relativa a tale flusso di danaro.
22. Con il decimo motivo il difensore ha censurato la violazione di legge in
ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti del danno patrimoniale di speciale tenuità e del risarcimento del danno.
I giudici di appello, infatti, avrebbero illegittimamente escluso l’applicazione di queste attenuanti nonostante il ricorrente abbia versato, immediatamente dopo l’interrogatorio di garanzia davanti al Giudice per le indagini preliminari, la somma di C. 178.450,00 (pari al doppio della somma contestata come profitto personale del reato di peculato) e sebbene anche la pubblica accusa abbia richiesto l’applicazione del beneficio in questione.
Il motivo è inammissibile, in quanto muove da una ricostruzione del danno cagionato dalle condotte accertate diversa da quella operata dai giudici di merito.
La Corte di appello ha, tuttavia, congruamente escluso il riconoscimento delle attenuanti del danno patrimoniale di speciale tenuità, in ragione dell’entità del danno patrimoniale cagionato dal ricorrente alla Fondazione.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, del resto, l’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. è applicabile al delit peculato solo in presenza di un danno di rilevanza minima, che / stante la natura del soggetto passivo del reato, va riguardata esclusivamente sotto il profilo oggettivo (Sez. 6, n. 12838 del 10/02/2005, COGNOME, Rv. 231040).
Non è, peraltro, illegittimo il diniego della attenuante del risarcimento del danno ritenuto dalla Corte di appello, in quanto la stessa postula l’integralità della riparazione del danno, in esso rientrando non solo il danno patrimoniale derivante da lucro cessante e da altri danni emergenti ed il danno non patrimoniale (Sez. 2, n. 17346 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286329), ma anche il mancato godimento del denaro temporaneamente ritenuto dall’imputato (Sez. 6, n. 15875 del 24/03/2022, COGNOME, Rv. 283190).
L’imputato ha versato dopo l’interrogatorio di garanzia la somma di euro C. 178.450,00; la Corte di appello ha, tuttavia, congruamente rilevato, richiamando le statuizioni del giudice di primo grado, che COGNOME e COGNOME si sono appropriati quantomeno di euro 278.450,00 euro, corrispondenti ad euro 178,450, subito bonificati loro dopo il preliminare, ed euro 100.000 versati alla società RAGIONE_SOCIALE e «”probabilmente in misura maggiore” (pag. 100 sentenza ).
Nel caso di specie, dunque, la restituzione, nella valutazione non incongrua della Corte di appello, è stata solo parziale.
Con il dodicesimo motivo l’avvocato NOME COGNOME ha dedotto la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo alla determinazione della pena irrogata per il delitto di peculato e alla mancata applicazione dell’attenuante
speciale di cui all’art. 323-bis cod. pen. anche in ragione della condotta susseguente al reato, sostanziatasi nella suddetta restituzione di denaro.
Analoghe censure sono state proposte dall’avvocato COGNOME con il quarto motivo del proprio ricorso.
25. I motivi sono infondati.
La graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex plurimis: Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME Rv. 271243 – 01; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142).
La Corte di appello ha, infatti, ritenuto di determinare la pena in misura superiore al minimo edittale in ragione della gravità dei fatti così come emersa all’esito della ricostruzione effettuata (la valenza dell’accordo collusivo, l’ingen somma di denaro che è stata oggetto di appropriazione da parte dei vari coimputati nonché il sofisticato meccanismo negoziale predisposto affinché il risultato fosse raggiunto) e del danno, patrimoniale e non patrimoniale, cagionato agli enti coinvolti.
La censura relativa all’inosservanza dell’art. 323-bis cod. pen. è inammissibile ai sensi dell’art. 606, ultimo comma, cod. proc. pen., in quanto non dedotta con i motivi di appello e, comunque, è manifestamente infondata; le condotte descritte, infatti, in ragione del danno patrimoniale cagionato alle parti lese, non possono, neppure in abstract°, essere sussunte nella fattispecie della «particolare tenuità» del primo comma della disposizione invocata.
26. Con il primo motivo di ricorso, il difensore ha censurato la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in quanto la Corte di appello, i violazione dell’art. 442, comma 1-bis, cod. proc. pen., avrebbe utilizzato contra reum la sentenza di condanna intervenuta nei confronti di COGNOME imputato in procedimento separato, per i fatti di peculato oggetto del capo B) di imputazione e la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano del 12 luglio 2023, depositata in data 10 ottobre 2023, nell’ambito del proc. n. 30749/2023 R.G.G.I.P. ), non solo ai fini del giudizio di responsabilità, ma anche ai fini del diniego della prevalenza delle attenuanti generiche.
27. Il motivo è fondato.
27.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la richiesta di giudizio abbreviato c.d. “secco”, di cui all’art. 438, comma primo, cod. proc. pen., comporta la definizione del processo allo stato degli atti, che determina la formazione della res iudicanda sulla base del quadro probatorio già esistente; ne consegue che nessuna prova, documentale od orale, può essere successivamente acquisita, salva la facoltà dell’imputato, ammesso al giudizio abbreviato, di sollecitare il giudice all’esercizio dei poteri di cui all’art. 441, com quinto, cod. proc. pen. (ex plurimis: Sez. 4, n. 51950 del 15/11/2016, COGNOME, Rv. 268694 – 01; Sez. 3, n. 5457 del 28/11/2013, dep. 2014, Rv. 258020 – 01; conf. Sez. 6, n. 1561 del 11/09/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274940 – 02).
L’utilizzazione di queste sentenze da parte della Corte di appello non ha avuto alcuna influenza sulle statuizioni relative alla responsabilità penale del ricorrente (come dimostrato dal mancato esperimento della prova di resistenza da parte del difensore sul punto), ma è avvenuta solo ai fini della determinazione della pena in punto di bilanciamento tra le circostanze attenuanti e le aggravanti, che, dunque, deve essere annullato sul punto.
27.2. La condanna invocata dalla Corte di appello per escludere nei confronti di COGNOME il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate è, peraltro, stata riformata in secondo grado e anche in relazione a questo punto il giudizio di bilanciamento deve essere rinnovato dalla Corte di appello di Milano.
L’accoglimento di questo motivo determina l’assorbimento dell’undicesimo motivo di ricorso, con il quale l’avvocato COGNOME ha dedotto l’erronea applicazione e il vizio di motivazione in relazione al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche, nonché sulle analoghe censure proposte sul punto dall’avvocato COGNOME
27.3. La declaratoria di intervenuta prescrizione del reato di cui all’art. 353 bis cod. pen. implica per entrambi gli imputati l’eliminazione dell’aumento della pena determinato dalla continuazione tra tale reato e il reato base (art. 314 cod. pen.) e, dunque, la necessità di ridimensionare il trattamento sanzionatorio, anche con riferimento alle pene accessorie.
La Corte di appello dovrà, inoltre, rinnovare il giudizio di bilanciamento tra le attenuanti generiche e le aggravanti ritenute sussistenti nei confronti di COGNOME uniformandosi ai principi di diritto enunciati sul punto da questa Corte.
28. Con il quindicesimo motivo di ricorso, l’avvocato NOME COGNOME ha eccepito l’inosservanza dell’art. 322-ter cod. pen., in quanto il ricorrente avrebbe consegnato alla RAGIONE_SOCIALE una somma di danaro superiore al profitto del
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reato come quantificato nel successivo decreto di sequestro.
29. Il motivo è fondato.
La Corte di appello ha confermato la confisca dei beni immobili indicati nella sentenza di primo grado e, segnatamente, di due villette di Desenzano sul Garda acquistate dagli imputati con i proventi del peculato lucrati.
I giudici di merito, tuttavia, nel determinare l’ammontare della confisca del profitto del reato disposto nei confronti dei ricorrenti, hanno fatto applicazione del principio solidaristico in caso di concorso di persone del reato, che è, tuttavia, stato recentemente superato dalle Sezioni unite.
Le Sezioni unite di questa Corte sono state chiamate a stabilire «se, in caso di concorso di persone nel reato, la confisca per equivalente del relativo profitto possa essere disposta per l’intero nei confronti di ciascuno dei concorrenti, indipendentemente da quanto da ognuno percepito, ovvero se ciò possa disporsi soltanto quando non sia possibile stabilire con certezza la porzione di profitto attribuibile a ognuno oppure ancora se la confisca debba essere comunque ripartita tra i concorrenti, in base al grado di responsabilità di ciascuno o in parti eguali, secondo la disciplina civilistica delle obbligazioni solidali».
Le Sezioni unite hanno statuito che «la confisca di somme di denaro ha natura diretta soltanto in presenza della prova della derivazione causale del bene rispetto al reato, non potendosi far discendere detta qualifica dalla mera natura del bene. La confisca è, invece, qualificabile per equivalente in tutti i casi in cu non sussiste il predetto nesso di derivazione causale. In caso di concorso di persone nel reato, esclusa ogni forma di solidarietà passiva, la confisca è disposta nei confronti del singolo concorrente limitatamente a quanto dal medesimo concretamente conseguito. Il relativo accertamento è oggetto di prova nel contraddittorio fra le parti. Solo in caso di mancata individuazione della quota di arricchimento del singolo concorrente, soccorre il criterio della ripartizione in part uguali. I medesimi principi operano in caso di sequestro finalizzato alla confisca per il quale l’obbligo motivazionale del giudice va modulato in relazione allo sviluppo della fase procedimentale e agli elementi acquisiti» (Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287756 – 01).
Le statuizioni relative alla confisca devono, dunque, essere annullate con rinvio, per consentire alla Corte di appello di motivare in conformità al principio di diritto statuito dalle Sezioni unite e determinare l’ammontare della confisca del profitto del reato effettivamente percepito da ciascun ricorrente, previa decurtazione delle somme effettivamente versate in restituzione del profitto lucrato.
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30. Con il tredicesimo motivo di ricorso, l’avvocato NOME COGNOME ha eccepito la violazione dell’art. 78, comma 1, lett. d), cod. proc. pen. per omessa declaratoria della sopravvenuta inammissibilità della costituzione di parte civile della Fondazione RAGIONE_SOCIALE
Quest’ultima, infatti, chiedendo la condanna dei ricorrenti alla riparazione pecuniaria nel giudizio di appello, avrebbe introdotto un tema relativo al trattamento sanzionatorio e avrebbe così violato la disposizione richiamata, nella formulazione introdotta dall’art. 5, comma 1, lett. b), n. 1, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, che consente alla parte civile esclusivamente «l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili».
31. Il motivo è infondato.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno stabilito che le disposizioni relative alla costituzione di parte civile dettate dalla riforma Cartabia si applicano solo alle costituzioni di parte civile operate dopo l’entrata in vigore di questa disciplina (Sez. U, n. 38481 del 25/05/2023, D., Rv. 285036 – 01).
La violazione di legge denunciata dal ricorrente è, dunque, insussistente. La proposizione di istanze relative al trattamento sanzionatorio, peraltro, non determina la declaratoria di inammissibilità della costituzione di parte civile della Fondazione L.RAGIONE_SOCIALE ma la mera inammissibilità della richiesta proposta, peraltro non accolta dalla Corte di appello in ragione del divieto di reformatio in peius.
32. Con il quattordicesimo motivo l’avvocato NOME COGNOME ha dedotto l’inutilizzabilità, ai fini della determinazione del risarcimento del danno, di tutti documenti allegati agli atti di costituzione di parte civile del Comune di Milano e della L.F.C. e delle note di udienza depositate in sede di conclusioni ex art. 523, comma 2, cod. proc. pen.
Questi documenti non sarebbero utilizzabili ai fini della pronuncia di condanna al risarcimento dei danni, in quanto non erano presenti nel fascicolo al momento di ammissione del giudizio abbreviato.
33. Il motivo è inammissibile per aspecificità.
Il ricorrente, infatti, non si è confrontato con la motivazione della Corte di appello, che ha rilevato che si trattava di atti già presenti nel fascicolo del pubblico ministero, divenuti integralmente utilizzabili per effetto della scelta degli imputati di essere giudicati nelle forme del rito abbreviato.
Con il sedicesimo motivo, il difensore si duole che la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi sulla richiesta di cancellazione dell’aggettivo «patetici»
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riferito nella requisitoria scritta del Sostituto Procuratore Generale del 20 dicembre 2023 agli argomenti della difesa.
35. Il motivo è inammissibile, atteso che la mancata cancellazione delle espressioni sconvenienti ai sensi dell’art. 89, comma 2, cod. proc. civ. non è deducibile in cassazione, in quanto non integra una causa di annullamento della sentenza o del provvedimento impugnato.
L’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., infatti, ammette la deduzione nel giudizio di legittimità dell’inosservanza delle norme processuali, solo quando le stesse siano «stabilite a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità».
Anche la giurisprudenza di legittimità civile ha reiteratamente affermato che il provvedimento di cancellazione delle espressioni sconvenienti od offensive riveste una funzione meramente ordinatoria, avente rilievo esclusivamente entro l’ambito del rapporto endoprocessuale tra le parti, ed ha contenuto di puro merito, sicché della relativa contestazione non può farsi questione dinanzi al giudice di legittimità (Sez. 1, n. 27935 del 07/12/2020, Rv. 659750 – 01; Sez. 2, n. 30944 del 29/11/2018, Rv. 651538 – 01; Sez. 3, n. 10517 del 28/04/2017, Rv. 644010 – 01).
36. Alla stregua di tali rilievi, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di entrambi i ricorrenti limitatamente al reato di turbata libertà di scelta del contraente di cui al capo A), in quanto estinto per prescrizione.
La sentenza della Corte di appello di Milano deve, altresì, essere annullata nei confronti di entrambi i ricorrenti limitatamente alla pena e alla statuizione della confisca, rinviando per un nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano, che si uniformerà ai principi di diritto enunciati da questa Corte.
I ricorsi, nel resto, devono essere rigettati.
Al rigetto dei motivi dedotti relativamente al delitto di peculato di cui al capo B) consegue la conferma delle statuizioni risarcitorie della sentenza impugnata.
I ricorrenti devono, dunque, essere condannati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Milano e Fondazione Lombardia Film Commission, che si liquidano rispettivamente in complessivi euro 4.000,00 ed euro 6.000,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti limitatamente al reato di cui al capo A), perché estinto per prescrizione.
Annulla altresì la sentenza impugnata nei confronti di entrambi i ricorrenti limitatamente alla pena e alla statuizione della confisca, rinviando per nuovo
giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto i ricorsi. Condanna, inoltre, i ricorrenti alla rifusione delle spese
rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili Comune di Milano e Fondazione Lombardia Film Commission, che liquida rispettivamente
in complessivi euro 4.000,00 ed euro 6.000,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2025.