Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30781 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30781 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro nei confronti di COGNOME LucaCOGNOME nato a Paola il 26/12/1967 COGNOME NOMECOGNOME nato a Cosenza il 30/03/1962 COGNOME NOME, nato a Cosenza il 13/10/1971 COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 26/08/1965
avverso la sentenza del 18/03/2025 del Tribunale di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio;
udito il difensore, Avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME NOME nonché, in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME NOME e, in sostituzione dell’Avv. NOME COGNOME per COGNOME PioCOGNOME nonché, in sostituzione dell’Avv. .NOME COGNOME per COGNOME Luca, cl – re ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore dell Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro deducendo con unico motivo violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla riqualificazione della fattisp contestazione alla quale è conseguita la declaratoria di prescrizione.
Assume il ricorrente che la decisione risulta completamente avulsa dalla fattispecie concreta di cui non considera il sostrato fattuale mancando la considerazione delle finalità istituzionali dell’ente – finanziamento delle aziende operanti sul territorio e non individuandosi la finalità pubblicisti dell’investimento in fondi di rischio.
Si richiama, in particolare, l’orientamento di legittimità espresso da Sez. 6 n. 1247 del 2014 che, secondo il ricorrente, ricalca perfettamente il caso in esame sul tema dell’investimento di rischio da parte del pubblico funzionario che, sottraendo le risorse pubbliche alla finalità cui erano destinate, commette una appropriazione personale delle stesse.
Si assume, infine, che la sopravvenuta introduzione della ipotesi di cui all’art. 314-bis cod. pen., dopo l’abrogazione dell’art. 323 cod. pen., faccia rimanere nell’ambito del reato di peculato le fattispecie a contenuto appropriativo, non potendosi equiparare le condotte in cui la distrazione presenta (anche) una finalità pubblica a quelle in cui essa è totalmente assente, richiamandosi la più recente giurisprudenza di legittimità che ha affermato l’inalterato ambito della condotta di peculato a seguito dell’introduzione della ipotesi di cui all’art. 314-bis cod. pen.
E’ pervenuta memoria difensiva nell’interesse degli imputati COGNOME e COGNOME a sostegno della inammissibilità del ricorso e, comunque, della sua infondatezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è ammissibile ma infondato, dovendosi – ai sensi dell’art. 129, primo comma, cod. proc. pen. – disporre l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
La dedotta inammissibilità del ricorso proposta dalla difesa manifestamente infondata.
La erronea indicazione, nella sua intestazione, dell’art. 311 cod. proc. pen., da ascrivere ad un mero errore materiale, non inficia il suo pertinente contenuto e la sottoscrizione del ricorso da parte del solo Sostituto Procuratore, non inficia la legittimazione alla sua proposizione, non essendo per questa necessaria la apposizione del “visto” da parte del titolare dell’Ufficio requirente. Invero, in tema di impugnazione del pubblico ministero, legittimati alla sua proposizione sono sia il Procuratore della Repubblica sia i suoi sostituti, in quanto delegati, anche informalmente, dal primo, attesa l’impersonalità dell’ufficio, sicché non rileva, in proposito, la mancanza agli atti di un provvedimento di delega scritta
(Sez. 6, n. 21969 del 14/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 256542). Inoltre, per quanto riguarda il “visto” – pur rilevando, nella specie, la sua apposizione da parte del Procuratore aggiunto e non anche del Titolare, al quale pure era stato inviato l’atto all’uopo . – la sua apposizione è atto interno dell’ufficio requirente, di mero controllo, che non riguarda la legittimazione alla proposizione della impugnazione, come sopra definita.
La sentenza impugnata ha escluso che la concreta fattispecie in esame rientri nella appropriazione distrattiva – tutt’ora punibile ai sensi dell’art. 314 cod. pen – rientrando nella fattispecie di indebita destinazione di denaro o cose mobili introdotta con la fattispecie di cui all’art. 314-bis cod. pen. che, escludendo la riespansione dell’ambito applicativo del reato di peculato per tali condotte, chiarisce in negativo che la deviazione dal fine pubblico non integra sempre e comunque peculato in quanto «la locuzione ” destina ad uso diverso”, in forza della clausola di riserva determinata utilizzata dal legislatore…implica pur sempre l’immanenza di una finalità pubblica che, per quanto differente da quella prevista dal legislatore, deve pur sempre essere presente». Secondo la sentenza impugnata «il capo d’accusa non contempla una condotta distrattiva che integra un’effettiva e definitiva sottrazione del denaro dalla finalità pubblica pe conseguire finalità private. Al contrario, esso ascrive agli imputati, nella lor qualità di pubblici ufficiali, una condotta di “abuso distrattivo” di fondi pubblici nello specifico, l’impiego di fondi di provenienza comunitaria – come tali vincolati nella destinazione – in strumenti finanziari ad alto rischio. Non risulta contestato, quindi, il compimento di atti di disposizione del denaro per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali dell’ente».
A sostegno del ricorso, censurando l’omessa considerazione del fatto concreto, il ricorrente richiama l’orientamento di legittimità, espresso in casi d investimento di somme detenute per previste finalità pubbliche in fondi speculativi, secondo il quale nel delitto di peculato il concetto di “appropriazione” comprende anche la condotta di “distrazione” in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (Sez. 6, n. 1247 del 17/07/2013, dep. 2014, Boi, Rv. 258411 – 01) e, ancora, la appena successiva decisione con la quale è stato affermato che nel delitto di peculato il concetto di “appropriazione” comprende anche la condotta di “distrazione” in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (Sez. 6, n. 25258 del 04/06/2014, Cherchi, Rv. 260070).
4. Ritiene questo Collegio che deve essere richiamato – per quanto in questa sede di interesse – l’autorevole orientamento espresso da Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, dep. 2013, Vattani che, nel tracciare un «profilo ·di alcuni tratti salienti del delitto dl peculato, nelle due forme previste dall’att testo dell’art. 314 cod. pen.», ha affermato che «[ha condotta di “appropriazione” identifica li comportamento di chi fa propria una cosa altrui, mutandone il possesso, con il compimento di atti incompatibili con il relativo titolo corrispondenti a quelli riferibili al proprietario. Essa si articola in due momenti: primo, negativo (cd. “espropriazione”), di indebita alterazione dell’originaria destinazione del bene; il secondo, positivo (c.d. “impropriazione”), di strumentalizzazione della res a vantaggio di soggetto diverso dal titolare del diritto preminente. Con l’interversio possessionis, il soggetto inizia a trattare il denaro o la casa mobile come fossero suoi, compiendo su di essi uno o più atti di disposizione – comportamenti materiali o atti negoziali – che, incompatibili con il titolo del possesso, rivelano una signoria che non gli compete e che egli indebitamente si attribuisce. Nell’esercizio effettivo di una o più facoltà spettant solo all’autentico dominus si realizza quella “conversione della cosa a profitto proprio o altrui” che, tradizionalmente indicata come ricompresa nel concetto stesso di appropriazione, non può non emergere anche là dove, come nell’art. 314 cod. pen., e diversamente da quanto avviene per il delitto di appropriazione indebita (dove, previsto come “ingiusto”, compare quale finalizzazione del dolo specifico), il profitto proprio o altrui non risulti testualmente menzionato dall norma. Secondo la giurisprudenza, la nozione di appropriazione nell’ambito del delitto di peculato realizzantesi con l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico agente, che si comporta, oggettivamente e soggettivamente, uti dominus nei confronti della res posseduta in ragione dell’ufficio, che viene, correlativamente, estromessa in toto dal patrimonio dell’avente diritto – è rimasta invariata anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 86 del 1990 (Sez. 6, n. 8009 del 10/06/1993, COGNOME, Rv. 194923). L’espunzione della distrazione dal nuovo testo dell’art. 314 cod. pen. ha reso particolarmente delicato il problema dei rapporti tra le nozioni di “appropriazione” e “distrazione”. In giurisprudenza sl ritiene che l’eliminazione della parola “distrazione” dal testo dell’art. 314 cod. pan., operata dalla legge n. 86 del 1990, non ha determinato puramente semplicemente il transito di tutte le condotte distrattive poste in essere dal pubblico nell’area di rilevanza penale dell’abuso d’ufficio. Qualora, i mediante la distrazione del denaro o della cosa mobile altrui, tali risorse ve sottratte da una destinazione pubblica ed indirizzate al soddisfacimento di inte privati, propri dello stesso agente o di terzi, viene comunque integrato il de peculato. La condotta distrattiva, invece, può rilevare come abuso d’ufficio nei Corte di Cassazione – copia non ufficiale
in cui la destinazione del bene, pur viziata per opera dell’agente, mantenga la propria natura pubblica e non vada a favorire interessi estranei alla p.a. (Sez. 6, n. 17619 dei 19/03/2007, COGNOME; Sez. 6, n. 40148 del 24/10/2002, COGNOME)».
5. E’ all’interno di questa autorevole ermeneusi che vanno considerate le due pronunzie evocate dal ricorrente a sostegno della errata esclusione, nella specie, del reato di peculato.
Nelle due pronunzie il rilievo dato alla violazione delle regole statutarie e alla divergenza della destinazione impressa alle somme rispetto a quella propria dell’ente, rispetto alla pregnante loro destinazione privatistica incompatibile con quella pubblica – ovvero quella che la sentenza COGNOME indica come “impropriazione” – deve essere considerato in uno alla indiscussa sussistenza di quest’ultima in entrambe le vicende.
Invero, quanto a Sez. 6 Boi, è stato affermato che nel delitto di peculato il concetto di “appropriazione” comprende anche la condotta di “distrazione” in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene, spiegando che «il meccanismo dell’investimento in fondi comuni comporta il trasferimento del denaro al proprietario del fondo e l’acquisto da parte dell’investitore di quote dello stesso: ne deriva che gli imputati, invece di utilizzar per le finalità cui erano destinate le risorse finanziarie di cui avevano l disponibilità, le hanno impiegate per acquistare (in violazione di precise norme di legge e di statuto e mediante disinvolte e complesse operazioni che si sono articolate in reati di falso e in irregolarità contabili) quote di fondi specula agendo uti domini e imprimendo alle risorse dell’Ente una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso, e così “appropriandosi” di tali beni, attuando proprio quell’inversione del titolo del possesso che caratterizza la illecita appropriazione». Ma, come annota la sentenza, «con quelle operazioni illegali, gli imputati hanno mirato unicamente a venire incontro alla COGNOME ed al suo sponsor COGNOME, presentando gli investimenti in fondi come vantaggiosi per l’Ente, ma mascherandone la natura aleatoria (attraverso i vari reati di falso contestati e ritenuti sussistenti, anche se dichiarati prescritti) In buona sostanza, gli imputati, in spregio a precise disposizioni in materia di investimenti pubblici, hanno impegnato il denaro dell’Ente in operazioni a rischio, idonee a consumarlo, ed al fine di recare profitto ad un terzo, senza perseguire ed anzi negando ogni finalità pubblica dell’operazione».
Anche la pressoché coeva Sez. 6 COGNOME nel ribadire il medesimo principio e richiamando espressamente la precedente decisione, ha avuto riguardo ad una fattispecie nell’ambito della quale l’investimento incriminato era giustificato dal
contestato conseguimento da parte della promotrice NOMECOGNOME «dell’ingiusto vantaggio patrimoniale consistito in provvigioni di management».
Il decisivo rilievo della destinazione privatistica delle somme oggetto della condotta del Pubblico agente, è stato affermato con nettezza in successive e più recenti decisioni di questa Corte.
Resa in diversa fattispecie riguardante appalto pubblico, è intervenuta decisione di legittimità secondo la quale l’utilizzo di denaro pubblico per finalità diverse da quelle previste integra il reato di abuso d’ufficio qualora l’atto destinazione avvenga in violazione delle regole contabili, sebbene sia funzionale alla realizzazione, oltre che di indebiti interessi privati, anche di interessi pubbli obiettivamente esistenti e per i quali sia ammissibile un ordinativo di pagamento o l’adozione di un impegno di spesa da parte dell’ente, mentre integra il più grave reato di peculato nel caso in cui l’atto di destinazione sia compiuto in difetto di qualunque motivazione o documentazione, ovvero in presenza di una motivazione di mera copertura formale, per finalità esclusivamente private ed estranee a quelle istituzionali (Sez. 6, n. 27910 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 279677). Nella stessa linea ermeneutica, è stato affermato che non integra il delitto di peculato l’utilizzo di fondi di una società “in house”, interamente partecipata da un comune, che provveda al perseguimento di finalità intrinsecamente pubbliche e di competenza dell’ente medesimo, in quanto difetta in tal caso alcuna forma di appropriazione, ovvero di distrazione del denaro pubblico per fini privatistici, ancorché possano ipotizzarsi irregolarità rilevanti sotto il profilo della responsabilità contabile ( 6, n. 25173 del 13/04/2023, Costa, Rv. 284790) che ha ricordato che «la giurisprudenza più recente ha avuto modo di precisare che il peculato per “distrazione” presuppone in ogni caso che il denaro sia destinato a scopi incompatibili con il perseguimento di finalità di interesse pubblico. Si è affermato, infatti, che solo l’utilizzo per finalità esclusivamente personali ed estranee a quelle istituzionali di denaro pubblico determina la “distrazione” dello stesso, mentre il peculato non è ravvisabile nei casi in cui l’interesse privato dell’agente e quello istituzionale dell’ente siano sincroni e sovrapponibili, non risultando in alcun modo contrastanti (Sez.6, n. 36496 del 30/9/2020, Vasta, Rv. 280295)». L’orientamento, da ultimo, è ribadito nell’affermazione secondo la quale il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili, di cui all’art. 314-bis cod. pen., introdotto dall’art. 9, comma 1, d. I. 4 luglio 2024, n. 92, convertito, co modificazioni, dalla legge 8 agosto 2024, n. 112, trova applicazione solo rispetto alle condotte distrattive non riconducibili al paradigma delle “distrazioniappropriative”, ossia caratterizzate dalla destinazione del denaro o della cosa mobile altrui all’esclusivo soddisfacimento di interessi privati, che rimangono Corte di Cassazione – copia non ufficiale
punibili a titolo di peculato (Sez. 6, n. 18587 del 12/02/2025, COGNOME, Rv. 288058).
Quanto alla sopravvenuta ipotesi di cui all’art. 314-bis cod. pen., è stato condivisibilmente affermato che il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili, di cui all’art. 314-bis cod. pen., introdotto dall’art. 9, comma 1, d. I. 4 lu 2024, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2024, n. 112, sanziona le condotte distrattive dei beni indicati che, nella disciplina previgente, la giurisprudenza di legittimità inquadrava nella fattispecie abrogata dell’abuso di ufficio, sicché l’ambito applicativo del delitto di peculato non risulta modificat dall’introduzione della nuova fattispecie incriminatrice (Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287453 – 02). E’ stato spiegato che «il nuovo reato di indebita destinazione presenta, sul piano del fatto tipico oggettivo, il medesimo presupposto e l’oggetto materiale della condotta del peculato: il soggetto attivo del reato, pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, deve, infatti, avere, «per ragione del suo ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui. Parimenti il reato di cui all’a 314-bis cod. pen. presenta più elementi dell’abuso d’ufficio: sul piano oggettivo, la condotta di destinazione del bene ad uso diverso deve contrastare, così come avveniva sotto l’art. 323 cod. pen., come modificato nel 2020, con specifiche disposizioni di legge o con atti aventi forza di legge dai quali non residuano margini di discrezionalità; corrispondente è, inoltre, l’evento del reato (l’ingiusto vantaggi patrimoniale per sé o per altri, in alternativa all’altrui danno ingiusto) e l’element soggettivo, costituito dal dolo intenzionale».
Ritiene questo Collegio che l’orientamento di legittimità ripercorso, a partire da quello autorevolmente espresso da Su Vattani, designa la attuale punibilità a titolo di peculato della distrazione appropriativa, endiade che richiede la destinazione privatistica, incompatibile con quella pubblica, delle somme distratte dal fine al quale erano statutariamente vincolate, non essendo sufficiente a realizzare l’appropriazione sanzionata dall’art. 314 cod. pen. la sola diversione dalla finalità istituzionale o la violazione di regole, siano esse contabili o opportunità economica, nell’impiego delle somme.
Da questo canone esula la fattispecie oggetto di giudizio, incentrata invece – sulla destinazione dei fondi comunitari a finalità di investimento non previste dallo statuto pubblico, di cui, inoltre, si censura la mancata ponderazione dei rischi correlati all’operazione di investimento: connotazioni della condotta che, come detto, non sono sufficienti a integrare il reato di peculato in mancanza della finalità privatistica perseguita.
Pertanto, correttamente la sentenza impugnata ha escluso la ricorrenza del contestato delitto di peculato.
10. Ritiene, tuttavia, questo Collegio che la fattispecie in esame non possa essere qualificata quale abu
so di ufficio distrattivo
. – secondo la precedente formula in vigenza dell’art. 323 cod. pen. – e, quindi, rientrare nell’ambito della nuova
ipotesi di cui all’art. 314-bis cod. pen., in cui quella è trasmigrata, ritenuta da sentenza impugnata.
11. Invero, difetta nella fattispecie qualsiasi riferimento all’evento del reato
(l’ingiusto vantaggio patrimoniale per sé o per altri, in alternativa all’altrui dan ingiusto) e all’elemento soggettivo, costituito dal dolo intenzionale. Elementi
costitutivi, allora del reato di abuso di ufficio, ora del reato di indebita destinazion che non sono stati oggetto di contestazione, e in ordine ai quali – in ogni caso –
manca di ogni considerazione, in assenza di ogni accertamento a riguardo, nell’ambito della sentenza impugnata.
12. In assenza di tali elementi costitutivi, ai sensi dell’art. 129, comma 1, cod. proc. pen., deve essere dichiarata di ufficio l’insussistenza del fatto con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Così deciso il 08/07/2025.