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Peculato per distrazione: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30781/2025, ha annullato una condanna per peculato, stabilendo che l’investimento di fondi pubblici in strumenti finanziari ad alto rischio non integra automaticamente il reato. Per configurare il peculato per distrazione è necessaria la prova che le somme siano state deviate per finalità esclusivamente private, incompatibili con qualsiasi interesse pubblico. In assenza di tale finalità, il fatto non costituisce reato, portando all’annullamento della sentenza senza rinvio.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato per distrazione: quando l’investimento di fondi pubblici diventa reato?

La Corte di Cassazione, con una recente e significativa sentenza, ha tracciato una linea netta tra la gestione sconsiderata di denaro pubblico e il reato di peculato per distrazione. Investire fondi di un ente pubblico in strumenti finanziari ad alto rischio non è sufficiente, da solo, a integrare il grave delitto contro la Pubblica Amministrazione. È necessario un elemento ulteriore: la finalità esclusivamente privatistica. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti: Amministratori pubblici e investimenti speculativi

Il caso ha origine dalla condotta degli amministratori di una società “in house” di una Regione, incaricata di gestire fondi di derivazione comunitaria. Questi amministratori, insieme a intermediari finanziari, avevano autorizzato l’investimento di una somma ingente, pari a oltre 46 milioni di euro, in titoli azionari e obbligazionari ad alto rischio.

L’accusa iniziale era di peculato, ai sensi dell’art. 314 del codice penale, per aver sottratto i fondi alla loro destinazione vincolata, causando un grave danno patrimoniale all’ente pubblico. Il Tribunale di primo grado, tuttavia, aveva riqualificato il fatto nel reato meno grave di indebita destinazione di denaro (art. 314-bis c.p.), dichiarandolo poi estinto per prescrizione. Il Procuratore della Repubblica ha impugnato questa decisione, portando il caso davanti alla Suprema Corte.

La Decisione della Cassazione sul peculato per distrazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore, ma è andata oltre, annullando la sentenza impugnata senza rinvio “perché il fatto non sussiste”. Questa formula, più favorevole agli imputati rispetto alla prescrizione, significa che, secondo i giudici, la condotta descritta nell’atto di accusa non integrava alcun reato.

Il punto centrale della decisione risiede nella corretta interpretazione del peculato per distrazione. La Corte ha ribadito un principio consolidato: per aversi peculato non è sufficiente una qualsiasi deviazione dei fondi pubblici dalla loro finalità istituzionale.

Le Motivazioni

La distinzione tra Appropriazione e Distrazione

La Corte ha chiarito che, dopo la riforma del 1990, la condotta di “distrazione” è stata assorbita nel concetto di “appropriazione”. L’appropriazione si realizza quando il pubblico ufficiale agisce sulla cosa come se ne fosse il proprietario (uti dominus), compiendo atti incompatibili con il titolo del suo possesso. Questo avviene quando si imprime al bene una destinazione diversa da quella consentita. Tuttavia, non ogni destinazione diversa integra il reato.

Il requisito della Finalità Esclusivamente Privatistica

Il vero discrimine, secondo la Cassazione, è la finalità della condotta. Il peculato per distrazione si configura solo quando le risorse pubbliche vengono sottratte alla loro destinazione istituzionale per essere indirizzate al “soddisfacimento di interessi privati, propri dello stesso agente o di terzi”.

Se, al contrario, la condotta, pur essendo irregolare o in violazione di norme contabili e statutarie, mantiene una finalità pubblica (anche se diversa da quella originaria), il reato di peculato è escluso. In questo caso, potranno configurarsi altre fattispecie, come l’abuso d’ufficio (nella sua vecchia formulazione) o l’odierno reato di indebita destinazione di denaro, oppure potranno esserci profili di responsabilità contabile, ma non il peculato.

L’irrilevanza della mera violazione di regole gestionali

Nel caso specifico, l’accusa si concentrava sull’investimento in fondi ad alto rischio, in violazione delle norme statutarie, e sulla mancata ponderazione dei rischi. Tuttavia, non era stata contestata una destinazione finale delle somme a scopi esclusivamente privati. Mancando questo elemento, secondo la Corte, la condotta non può essere qualificata come peculato. La sola violazione delle regole di opportunità economica o delle norme contabili non è sufficiente a trasformare una gestione finanziaria discutibile in un’appropriazione criminale.

Le Conclusioni

La sentenza della Cassazione offre un’importante lezione sulle differenze tra cattiva amministrazione e condotta penalmente rilevante. Per integrare il grave reato di peculato per distrazione, la Procura deve dimostrare che il pubblico ufficiale non ha solo gestito male i fondi, ma li ha deliberatamente deviati per un tornaconto personale o di terzi, recidendo ogni legame con l’interesse pubblico. Questa pronuncia rafforza le garanzie per gli amministratori pubblici, distinguendo l’errore gestionale, anche grave, dall’intento appropriativo che caratterizza il delitto di peculato.

Investire fondi pubblici in strumenti finanziari ad alto rischio costituisce sempre peculato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, per integrare il reato di peculato per distrazione non è sufficiente la mera violazione di regole di opportunità o la scelta di un investimento rischioso. È necessario dimostrare che la condotta sia stata posta in essere per perseguire una finalità esclusivamente privata, incompatibile con qualsiasi interesse pubblico.

Qual è la differenza fondamentale tra il peculato per distrazione e l’indebita destinazione di denaro (art. 314-bis c.p.)?
Il peculato per distrazione si configura quando il denaro pubblico viene sottratto alla sua destinazione per soddisfare interessi esclusivamente privati. L’indebita destinazione di cui all’art. 314-bis c.p., invece, sanziona quelle condotte in cui, pur deviando i fondi dall’uso previsto, permane una finalità pubblica, sebbene diversa da quella originariamente stabilita dalla legge.

Perché la Cassazione ha annullato la sentenza “perché il fatto non sussiste” invece di confermare la prescrizione?
La Corte ha utilizzato questa formula perché ha ritenuto che la condotta, così come descritta nell’imputazione, fosse priva di un elemento costitutivo essenziale del reato di peculato: la finalità privatistica. In assenza di questo elemento, il fatto storico non è penalmente rilevante come peculato. L’annullamento perché il fatto non sussiste è una formula di proscioglimento nel merito, più favorevole per l’imputato rispetto alla semplice declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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