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Peculato per contratto nullo: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro l’assoluzione di alcuni amministratori accusati di peculato per contratto nullo. Il caso riguardava pagamenti effettuati da una società a controllo pubblico a un’altra società partecipata per servizi di gestione calore, in base a un contratto poi dichiarato nullo in sede civile. La Suprema Corte ha confermato che, avendo la società ricevente effettivamente eseguito le prestazioni, seppur in modo parziale, il pagamento aveva una causa giustificativa e non configurava un’appropriazione illecita di fondi pubblici. La mera irregolarità del contratto non è sufficiente a integrare il reato di peculato.

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Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato per Contratto Nullo: la Cassazione Chiarisce la Differenza tra Illecito Civile e Penale

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 21646 del 2024, offre un’importante lezione sulla distinzione tra irregolarità amministrative e responsabilità penali. Al centro della vicenda vi è l’accusa di peculato per contratto nullo, mossa nei confronti di amministratori di società a partecipazione pubblica. La Corte ha stabilito che un pagamento effettuato in base a un contratto civilmente nullo non integra automaticamente il reato di peculato se la prestazione è stata, di fatto, eseguita. Analizziamo questa complessa decisione.

I Fatti di Causa: Dal Contratto di Servizi all’Accusa di Peculato

La vicenda trae origine da un accordo per la gestione dei servizi di riscaldamento di immobili comunali. Una società a controllo pubblico (la “Società A”) affidava, tramite un contratto, una parte di questi servizi a una società partecipata (la “Società B”). Secondo l’accusa, questo contratto era una mera simulazione, finalizzata a distrarre fondi pubblici. L’ipotesi accusatoria sosteneva che la Società B fosse una “scatola vuota”, priva di personale e mezzi adeguati, e che i servizi fossero in realtà svolti interamente dalla Società A. Il pagamento del corrispettivo, quindi, avrebbe costituito un’appropriazione indebita, ovvero peculato.

La Decisione dei Giudici di Merito

Il Tribunale di primo grado aveva condannato alcuni imputati, ritenendo provata la natura simulata dell’operazione. Tuttavia, la Corte di Appello ha ribaltato completamente il verdetto, assolvendo tutti gli imputati con la formula “perché il fatto non sussiste”. I giudici di secondo grado hanno accertato che i rapporti tra le due società non erano simulati ma effettivi. La Società B non era una scatola vuota, ma un soggetto che aveva realmente eseguito una parte del programma contrattuale, maturando di conseguenza legittime pretese creditorie. La Corte d’Appello ha quindi escluso che il denaro trasferito fosse privo di una causa giustificativa.

Il Ricorso in Cassazione e la Validità del Contratto ai Fini Penali

Il Procuratore Generale ha proposto ricorso in Cassazione, insistendo sulla tesi della distrazione di risorse pubbliche, basandosi anche sul fatto che un giudice civile, in una causa parallela, aveva dichiarato nullo il contratto tra le due società per violazione delle norme sull’evidenza pubblica. Secondo il ricorrente, questa nullità avrebbe dovuto confermare la natura illecita dei pagamenti.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la sentenza di assoluzione. Il punto cruciale della motivazione risiede nella distinzione tra la validità civilistica del contratto e la rilevanza penale della condotta. I giudici hanno sottolineato come la sentenza civile, pur dichiarando nullo il contratto, avesse comunque accertato che la Società B aveva effettivamente eseguito le prestazioni e sopportato i relativi costi. Anzi, il giudice civile aveva semplicemente rideterminato il compenso dovuto, condannando la Società B a restituire solo una piccola parte della somma ricevuta in eccesso.

Questo accertamento, secondo la Cassazione, demolisce la tesi accusatoria. Il rapporto contrattuale non era “apparente e strumentale” a un’appropriazione, ma “effettivo e quasi integralmente eseguito”. Un adempimento parziale o inesatto di un programma contrattuale reale non configura il reato di peculato, che richiede invece un’appropriazione dolosa di fondi senza alcuna causa. Il passaggio di denaro era giustificato dalle prestazioni eseguite, non da un intento di svuotare le casse pubbliche. Pertanto, la questione si sposta dal piano penale a quello puramente civilistico del corretto adempimento contrattuale.

Le Conclusioni: Quando un Contratto Nullo non Implica Reato

La decisione della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la nullità di un contratto per violazione di norme procedurali (come quelle sugli appalti pubblici) non implica automaticamente la sussistenza di un reato come il peculato. Se alla base del pagamento vi è una prestazione economica effettiva e reale, seppur nell’ambito di un rapporto giuridico invalido, manca l’elemento costitutivo del reato, ovvero l’appropriazione di una somma “senza causa giustificativa”. La vicenda si configura come una controversia sui rapporti dare-avere tra le parti, da risolvere in sede civile, e non come una distrazione di denaro pubblico penalmente rilevante.

Un pagamento basato su un contratto poi dichiarato nullo costituisce sempre peculato?
No. Secondo la sentenza, se il pagamento è il corrispettivo di una prestazione contrattuale che è stata effettivamente e realmente eseguita, anche se solo in parte, non si configura il reato di peculato. La nullità civile del contratto non implica automaticamente la rilevanza penale della condotta.

Perché la Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione in questo caso specifico?
La Corte ha confermato l’assoluzione perché è stato accertato, anche in sede civile, che la società che ha ricevuto il pagamento non era una “scatola vuota” ma aveva effettivamente eseguito le prestazioni previste. Di conseguenza, il passaggio di denaro non era una fittizia appropriazione di fondi pubblici, ma aveva una causa giustificativa reale nel lavoro svolto, escludendo così il dolo del reato di peculato.

Quando un accordo per commettere un reato non è punibile?
In base all’art. 115 del codice penale, citato implicitamente nel ragionamento sulla frode in pubbliche forniture, il mero accordo per commettere un reato, qualora non sia seguito da alcun atto esecutivo, non è punibile. Nel caso di specie, l’accordo per cedere illecitamente un appalto non è stato mai attuato, pertanto è stato ritenuto non punibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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