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Peculato o truffa: la Cassazione chiarisce

Un tesoriere di banca falsifica mandati di pagamento per appropriarsi di fondi pubblici. La Corte di Cassazione chiarisce la distinzione tra peculato o truffa, riqualificando il reato in truffa aggravata perché l’agente non aveva la disponibilità del denaro prima dell’artificio. La decisione porta alla prescrizione parziale dei reati.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato o Truffa? La Cassazione ridefinisce i confini per il tesoriere infedele

La distinzione tra peculato o truffa rappresenta una delle questioni più delicate nei reati contro la Pubblica Amministrazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. Num. 30184 Anno 2025) interviene proprio su questo crinale, analizzando la condotta di un dipendente di un istituto di credito con funzioni di tesoriere per alcuni Comuni. L’uomo aveva sottratto ingenti somme di denaro pubblico falsificando i mandati di pagamento. La Suprema Corte, riformando le decisioni dei giudici di merito, ha riqualificato il reato da peculato a truffa aggravata, con importanti conseguenze anche in termini di prescrizione. Vediamo nel dettaglio il percorso logico-giuridico seguito dai giudici.

I fatti: la condotta del tesoriere

Il caso riguarda un dipendente di una banca che svolgeva il servizio di tesoreria per conto di diversi Comuni. Secondo quanto accertato, l’imputato ha modificato i beneficiari dei mandati di pagamento emessi dagli enti locali, dirottando le somme su conti correnti di complici, per poi appropriarsene. Per nascondere gli ammanchi, alterava anche il sistema informatico di rendicontazione, così da far quadrare i saldi contabili.

Nei primi due gradi di giudizio, tale condotta era stata qualificata come peculato, sul presupposto che il tesoriere avesse la disponibilità giuridica del denaro pubblico in ragione del suo ufficio. La difesa degli imputati ha però sempre sostenuto che si trattasse di truffa, poiché l’appropriazione era stata possibile solo grazie a un inganno: la falsificazione dei mandati.

La questione giuridica: peculato o truffa aggravata?

Il cuore della questione giuridica risiede nel concetto di “disponibilità” del bene. Il reato di peculato (art. 314 c.p.) presuppone che il pubblico agente abbia già il possesso o, appunto, la disponibilità del denaro o del bene per ragioni del suo ufficio e che, a un certo punto, decida di appropriarsene. La truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, co. 2, c.p.), invece, si configura quando il soggetto si procura un ingiusto profitto inducendo in errore la Pubblica Amministrazione con artifici e raggiri. L’artificio, in questo caso, è il mezzo per ottenere una disponibilità che altrimenti non avrebbe avuto.

I giudici di merito avevano ritenuto che il ruolo di tesoriere conferisse di per sé la disponibilità del denaro. La Cassazione, invece, ha adottato un’interpretazione più rigorosa, analizzando a fondo la normativa che regola il servizio di tesoreria degli enti locali.

Le motivazioni della decisione della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto i ricorsi degli imputati, procedendo alla derubricazione del reato. Le motivazioni si fondano su due pilastri argomentativi: la corretta qualificazione del ruolo del tesoriere e l’analisi del momento in cui si acquisisce la disponibilità del denaro pubblico.

La qualifica di incaricato di pubblico servizio

In primo luogo, la Corte conferma che il dipendente di un istituto di credito che svolge il servizio di tesoreria per un ente locale riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio. Questo non deriva dal semplice maneggio di denaro pubblico, ma dal fatto che egli partecipa a una complessa funzione pubblicistica. Il suo ruolo non è assimilabile a quello di un qualsiasi bancario, poiché egli gestisce flussi finanziari, cura la rendicontazione verso la tesoreria provinciale e garantisce il controllo sui conti pubblici, secondo procedure normate dal diritto pubblico (come il D.Lgs. 267/2000).

Il discrimine tra peculato o truffa: la disponibilità del denaro

Il punto cruciale della sentenza è la negazione che il tesoriere avesse l’autonoma disponibilità del denaro. La Corte spiega che nelle procedure di spesa pubblica esiste una netta separazione tra la fase deliberativa e quella esecutiva. La decisione su come e a chi destinare il denaro pubblico spetta esclusivamente agli organi dell’ente locale, che formalizzano questa volontà emettendo il mandato di pagamento.

Il tesoriere interviene solo nella fase esecutiva. Il suo compito è dare seguito a un ordine già impartito. Non ha alcun potere di incidere sulla destinazione delle somme. Per potersene appropriare, quindi, non gli è sufficiente un mero atto di “inversione del possesso”, ma deve porre in essere un’attività fraudolenta – l’artificio – per ingannare il sistema e deviare il flusso di denaro. L’artificio è la causa che gli permette di ottenere la disponibilità del denaro, non uno strumento per mascherare un’appropriazione già avvenuta. È proprio questo a integrare il reato di truffa e non quello di peculato.

Le conclusioni: le conseguenze pratiche della riqualificazione

La decisione della Cassazione non è un mero esercizio di stile giuridico, ma produce effetti concreti di notevole importanza. Riqualificare il reato da peculato a truffa aggravata comporta l’applicazione di un diverso regime di prescrizione, generalmente più breve.

Nel caso di specie, la Corte ha calcolato i nuovi termini e ha dichiarato prescritti tutti i fatti commessi fino al 3 agosto 2017. Di conseguenza, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata per quella parte dei reati. Per i fatti non coperti da prescrizione, ha rinviato il processo alla Corte di appello affinché proceda alla rideterminazione della pena, basandosi sulla nuova e meno grave qualificazione giuridica. Restano invece ferme le statuizioni civili relative al risarcimento del danno in favore degli enti costituitisi parte civile.

Quando la condotta di un tesoriere che si appropria di fondi pubblici è qualificabile come truffa aggravata anziché peculato?
Si qualifica come truffa aggravata quando il tesoriere non ha l’autonoma disponibilità del denaro, ma se la procura attraverso un artificio, come la falsificazione dei mandati di pagamento. Se l’inganno è il mezzo necessario per ottenere il controllo sui fondi, si configura la truffa; se invece il soggetto ha già la disponibilità del denaro per via del suo ufficio e decide di appropriarsene, si tratta di peculato.

Perché il dipendente di una banca che svolge il servizio di tesoreria per un ente pubblico è considerato un incaricato di pubblico servizio?
Perché la sua attività non si limita al semplice maneggio di denaro, ma si inserisce in una funzione pubblica normata dal diritto amministrativo. Egli partecipa alla gestione e alla rendicontazione della finanza dell’ente locale, svolgendo un ruolo essenziale per il controllo dei conti pubblici, e non una mera attività bancaria privata.

Qual è la conseguenza principale della riqualificazione del reato da peculato a truffa aggravata nel caso specifico?
La conseguenza principale è l’applicazione di un termine di prescrizione più breve. Questo ha portato all’estinzione dei reati per tutti i fatti commessi prima di una certa data (3 agosto 2017), con il conseguente annullamento della sentenza di condanna per tali episodi e la necessità di ricalcolare la pena per i fatti residui.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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