Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30184 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30184 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/06/2025
SENTENZA
sui ricórsi proposti da:
.4) NOME COGNOME nato a Oppido Lucano il 29/1/1960 •
COGNOME NOMECOGNOME nato a Avigliano il 18/10/1953 ,
avverso la sentenza del 25/10/2024 emessa dalla Corte di appello di Potenza visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi; udito l’Avvocato COGNOME NOMECOGNOME in sostituzione dell’Avvocato NOME COGNOME difensore di fiducia della parte civile BCC di Appulo Lucana e dell’Avvocato COGNOME NOME difensore della fiducia di parte civile Comune di Cancellara, che si riporta alle conclusioni con note spese che deposita; udito l’avvocato COGNOME AntonioCOGNOME difensore di fiducia di COGNOME che chiede l’accoglimento del ricorso; udito l’Avvocato COGNOME LuigiCOGNOME difensore di fiducia di COGNOME AntonioCOGNOME il quale
conclude per raccoglimento del ricorso.
A
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnata sentenza, la Corte di a0ello di Potenza confermava la condanna degli imputati in ordine ai reati di peculato e, per NOME, di accesso abusivo a sistema informatico.
In particolare, NOME, responsabile del servizio di tesoreria effettuato dalla BBC di Oppido Lucano in favore di plurimi Comuni del circondario, avrebbe sostituito l’indicazione dei beneficiari dei mandati di pagamento emessi dagli enti locali, in tal modo appropriandosi di ingenti s(pmme di denaro che, in parte, venivano anche distratte a favore del coimputato klecca.
Al fine di occultare le suddette appropriazioni, COGNOME avrebbe anche alterato il sistema informatico di rendicontazione, per riallineare i saldi mensili relativi ai conti corrente intestati ai singoli Comune.
I ricorrenti hanno proposto un primo motivo sostanzialmente comune, con il quale deducono l’erronea qualificazione della condotta in termini di peculato, anziché di truffa ai danni degli enti pubblici.
Sulla base del conforme accertamento compiuto dalle sentenze di merito, è emerso che COGNOME, dipendente della BCC di Oppido Lucano, si era appropriato delle somme degli enti locali mediante artifici e raggiri, consistiti nella falsificazion dei mandati di pagamento, mediante la sostituzione dell’effettivo beneficiario con il nominativo di terze persone che, successivamente, provvedevano a riversargli il denaro indebitamente addebitato sui conti degli enti comunali.
L’appropriazione, pertanto, aveva ad oggetto denaro di cui NOME non aveva . la disponibilità né materiale, né giuridica, i,.’cint’è che per poterne disporre doveva necessariamente falsificare i mandati di pagamento, inserendo il nominativo di un beneficiario diverso da quello indicato dagli uffici comunali.
Diversamente da quanto sostenuto in sentenza, la disponibilità del denaro doveva essere individuata esclusivamente in capo al responsabile finanziario di ciascun Comune, mentre NOME era estraneo all’apparato amministrativo e agiva esclusivamente quale dipendente della B ,CC incaricato di procedere alla materiale esecuzione dei bonifici.
Evidenziano i difensori che, pur ove si ritenesse di non escludere la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo a NOME, la sua condotta dovrebbe essere ugualmente qualificata quale truffa aggravata, in applicazione della giurisprudenza sulla distinzione del reato di peculato da quello di truffa.
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3: Con il secondo motivo di ricorso, proposto nell’interesse di COGNOME, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche. A fronte dei plurimi argomenti addotti dalla difesa (ammissione degli addebiti, contestazione della sola qualificazione giuridica, incensuratezza), la Corte di appello avrebbe omesso di tenerne conto, incentrando le ragioni dell’esclusione dell’attenuante sulla base della sola gravità del fatto.
Il ricorrente, inoltre, censura anche la determinazione della pena, quantificata in misura apprezzabilmente superiore rispetto al minimo edittale in mancanza di adeguata motivazione sulla scelta compiuta.
4.Nell’interesse di NOME COGNOME sono stati formulati quattro motivi di ricorso, oltre al primo comune al coimputato COGNOME
4.1. Con il secondo motivo, si deduce la violhione dell’art. 116 cod. pen. e il vizio della motivazione, sul presupposto che era ”ignota al ricorrente la qualifica soggettiva di COGNOME. Si afferma, pertanto, che il ricorrente aveva esclusivamente la consapevolezza di concorrere all’appropriazione di denaro proveniente dai conti corrente della BCC, il che avrebbe dovuto condurre all’applicazione dell’art.116 cod. pen. e alla conseguente riduzione della pena prevista dal secondo comma.
4.2. Con il terzo motivo, si censura l’omessa estromissione delle parti civili, sul presupposto che i Comuni non avevano subit’:), , alcun danno, stante l’avvenuta restituzione delle somme indebitamente sottratte per effetto della garanzia prestata dalla Cattolica Assicurazioni.
4.3. Con il quarto motivo, si deduce la violazione degli artt. 321 cod. pen.pen e 322-ter cod. pen. sul presupposto che i sequestri emessi nei confronti del ricorrente risulterebbero disposti in favore di soggetti privi di legittimazione. ricorrente ipotizza che il vincolo reale sarebbe gipstificato in considerazione della possibilità della Cattolica Assicurazione di agire, in rivalsa nei confronti degli imputati, pur non risultando alcuna richiesta di sequestro in tal senso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono parzialmente fondati.
Deve preliminarmente esaminarsi il motivo comune ai due imputati, avente ad oggetto la richiesta derubricazione del reato dipecuIato nella fattispecie della truffa aggravata ex art. 640, comma 2, lett.1), cod. pen.
(u)
La questione proposta presuppone il sintetico richiamo degli elementi in fatto – non oggetto di contestazione da parte dei ricorrenti – descrittivi della condotta accertata.
I giudici di merito hanno concordemente affbnnato che:
COGNOME in qualità di dipendente della Banca di credito cooperativo, ricopriva il ruolo di addetto alla tesoreria per conto dei Comuni che avevano acceso i rispettivi conti corrente presso l’istituto di credito;
il ruolo del ricorrente consisteva nella lavorazione dei mandati di pagamento e reversali di incasso ricevuti – dai Comuni, procedendo al pagamento o all’incasso del denaro nei confronti dei soggetti riportati sugli atti forniti dagli enti locali;
al termine di ogni giornata, sulla base .Gli,’quanto incassato e pagato, il ricorrente provvedeva a riversare sul conto della Banca d’Italia l’eventuale attivo, mentre, se i movimenti per ciascun Comune erano in passivo, provvedeva all’addebito sul conto della Banca d’Italia;
i movimenti – in attivo e passivo – venivano sostanzialmente imputati direttamente sul conto della Banca d’Italia, a meno che un Comune non avesse disposto un pagamento in contant i , nel qual caso la BCC avrebbe provveduto con l’anticipo di propri fondi;
-. COGNOME, mediante l’illecita sostituzione dei beneficiari dei mandati emessi dai Comuni, con l’inserimento dei dati relativi a soggetti che non vantavano alcun credito nei confronti di tali enti, otteneva la distrazione delle somme di denaro;
al fine di occultare tali appropriazioni, il ricorrente provvedeva ad alterare il sistema informatico per impedire l’emersione degli ammanchi, anche indicando l’incasso di denaro, in realtà nrOi avvenuto e solo formalmente contabilizzato;
in alcuni casi, per evitare che il mancato accredito delle somme dovute ai reali creditori degli enti facesse emergere il raggiro, COGNOME duplicava l’uscita, nel senso che provvedeva sia all’esecuzione del mandato di pagamento nei confronti dell’effettivo beneficiario, sia ad utilizzare il medesimo mandato, previa alterazione dei dati, per giustificare un ulteriore uscita di cassa in favore di propri complici;
venivano ricostruiti i plurimi accrediti di deraro in favore di soggetti legat al ricorrente e che, al contempo, non avevano intrattenuto alcun rapporto con i Comuni che potesse giustificare l’esecuzione di mandati di pagamento in loro favore;
– al fine di occultare le distrazioni di somme di denaro, COGNOME alterava i
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dati inseriti al cosiddetto sistema SIOPE, in modo tale da allineare il saldo degli enti locali presso la tesoreria provincialè (Banca d’Italia).
2.1. Sulla base della richiamata ricostruzione in fatto, i giudici di merito hanno ritenuto che COGNOME dovesse qualificarsi come incaricato di pubblico servizio, essenzialmente in virtù della gestione del pubblico denaro per conto degli enti locali, di cui aveva quanto meno la disponibilità giuridica.
Né è stato valorizzato il fatto che l’imputato avesse la disponibilità dei fondi solo per effetto dell’emissione di mandati di pag4mento da parte dell’ente locale, posto che tale circostanza non escluderebbe che,t;una volta esauritasi la fase di competenza dell’ente, l’addetto alla tesoreria poteva disporre, in ragione del proprio ufficio, delle somme oggetto di appropriazione.
Infine, in relazione ai rapporti tra il peculato e il reato di truffa, si è rite che la condotta decettiva posta in essere da NOME fosse successiva rispetto alla appropriazione del denaro, anche valorizzando la giurisprudenza che ha ritenuto configurabile il delitto di peculato nell’ambito delle cosiddette “procedure complesse” di pagamento, nelle quali è previsto l’intervento di una pluralità di soggetti.
Conclude la Corte di appello affermando che COGNOME nella’Sua qualità di responsabile dei servizi di tesoreria, aveva il potere giuridico di disporre del denaro.
Con riguardo all’accertamento della qualifica soggettiva, è incontroverso il principio secondo cui al fine di individuare se l’attività svolta da un soggetto possa essere qualificata come pubblica, ai sensi e per gli éffetti di cui agli artt. 357 e 358 c.p., è necessario verificare se essa sia o meno disciplinata da norme di diritto pubblico, quale che sia la connotazione soggettiva del suo autore, distinguendosi poi – nell’ambito dell’attività definita pubblica sulla base di detto parametro oggettivo – la pubblica funzione dal pubblico servizio per la presenza (nell’una) o la mancanza (nell’altro) dei poteri tipici della potestà amministrativa, come indicati dal secondo comma dell’art. 357 predetto (Se.U, n. 10086 del 13/7/1998, Citaristi, Rv. 211190).
In applicazione di tale principio, si è a più riprese affermato che ai fini del riconoscimento della qualifica di incaricato di pubblico servizio, si deve valutare l’attività effettivamente espletata dall’agente ed il suo regime giuridico, in conformità al criterio oggettivo-funzionale di cui agli artt. 357 e 358 cod. pen. (Sez.6, n. 18837 dell’8/2/2023, Orlando, Rv. 284620; Sez.6, n. 24598 dell’8/2/2023, COGNOME, Rv. 284914).
Né rileva la circostanza che il servizio di tespreria è svolto da un soggetto
privato, qual è l’istituto di credito, dovendosi richiamare la consolidata giurisprudenza secondo cui l’attribuzione della qualifica soggettiva prescinde dalla natura, pubblica o privata, dell’ente nell’ambito del quale la prestazione viene resa, dovendosi valorizzare il solo profilo oggettivo-funzionale (Sez.6, n. 8614 dell’8/11/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 287068;, Sez. 6, n. 22282 del 7/5/2024, COGNOME, Rv. 286663).
3.1. Ciò posto, al fine di stabilire la qualifica soggettiva di COGNOME, nonché per accertare se questi avesse o meno l’autonoma disponibilità delle somme oggetto di distrazione, occorre la preliminare ricostruzione delle attività demandate al tesoriere degli enti locali, sulla base della normativa di settore.
Tralasciando la normativa più risalente e non rilevante ai fini del presente giudizio, occorre prendere le mosse dall’art. 1 1.29 ottobre 1984, n. 720, in base al quale gli istituti e le aziende di credito, tesoriteri o cassieri degli enti e d organismi pubblici, effettuano, nella qualità di orhni di esecuzione degli enti e degli organismi suddetti, le operazioni di incasso e di pagamento a valere sulle contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato.
La funzione del tesoriere è stata ulteriormente delineata dal d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico degli enti locali), che ka compiutamente distinto le funzioni di tesoreria rimesse alla competenza degli organi interni dell’ente, rispetto a quelltdemandaal servizio di tesoreria esterno.
In particolare, l’art. 209, TUEL prevede che::
1.11 servizio di tesoreria consiste nel complesso di operazioni legate alla gestione finanziaria dell’ente locale e finalizzate in particolare alla riscossione delle entrate, al pagamento delle spese, alla custodia di titoli e valori ed agli adempimenti connessi previsti dalla legge, dallo statuto, dai regolamenti dell’ente o da norme pattizie.
2.11 tesoriere esegue le operazioni di cui al iomma 1 nel rispetto della legge 29 ottobre 1984, rL 720, e successive modificaziord . i.
3: Ogni deposito, comunque costituito, è intestato all’ente locale e viene gestito dal tesoriere.
Per quanto attiene alla specifica attività consistente nell’emissione dei mandati di pagamento, l’art.186 del TUEL stabilisce che il mandato di pagamento è sottoscritto dal dipendente dell’ente individuato dal regolamento di contabilità nel rispetto delle leggi vigenti e contiene determinati elementi, tra i quali, rilevano
l’indicazione del creditore e, se si tratta ‘di persona diversa, del soggetto tenuto a rilasciare quietanza, nonché il relativo cddice fiscale o la partita IVA; (83)
l’ammontare della somma dovuta e la scadenza, qualora sia prevista dalla legge o sia stata concordata con il creditore;
la causale e gli estremi dell’atto esecutivo, che legittima l’erogazione della spesa;
Ai. sensi dell’art. 185 del TUEL, l’ordinaziohe consiste nella disposizione impartita, mediante il mandato di pagamento, al tesoriere dell’ente locale di provvedere al pagamento delle spese.
3.2. Sulla base dei richiamati presupposti normativi, non pare controvertibile la natura pubblicistica dell’attività svolta dal sóggetto che, sia pur quale dipendente di un istituto di credito, svolga la funzione di tesoriere dell’ente locale.
A tal riguardo, infatti, la norma dirimente è q’ uella dettata dal richiamato art. 1 1.29 ottobre 1984, n. 720, in base al quale gli ”istituti e le aziende di credito tesorieri o cassieri degli enti e degli organismi pubblici, effettuano, nella qualità d organi di esecuzione degli enti e degli organismi suddetti, le operazioni di incasso e di pagamento a valere sulle contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato.
La norma, quindi, attribuisce espressamente ai tesorieri operanti per conto degli istituti di credito la qualità di “organi di esectlizione degli enti” e la loro at è espressamente indicata come direttamente incOente sulla contabilità speciale prevista per tali enti presso la tesoreria provinciale (gestita dalla Banca d’Italia).
In buona sostanza, la complessiva gestione patrimoniale di entrate e uscite viene svolta dagli enti locali sulla base di una duplice attribuzione di poteri, posto che il momento deliberativo della spesa, comprensivo dell’emissione del mandato di pagamento, è di competenza degli organi interni degli enti’ la successiva fase relativa all’effettivo pagamento, come pure alla contabilizzazione delle entrate e delle uscite, nonché al riversamento degli utili e ll’addebito delle passività presso la Banca d’Italia, è rimessa al servizio di tesoreria svolto dall’istituto di credi convenzionato.
A supporto di tale soluzione, deve richiamarsi anche la giurisprudenza amministrativa, secondo cui il contratto di tesoreria deve essere qualificato in termini di rapporto concessorio, avendo ad oggetto la gestione del servizio di tesoreria comunale implicante il conferimento di funzioni pubblicistiche, quali il maneggio di danaro pubblico e il controllo di regbarità sui mandati e prospetti di pagamento nonchè sul rispetto dei limiti degli .. janziannenti in bilancio (Cons. Stato, Sez. V, Sentenza, 25/02/2014, n. 877).
In ambito penalistico, la funzione pubblicistica e la conseguente attribuzione della qualifica di incarico di pubblico servizio discende in capo al tesoriere, non già per effetto del mero maneggio di denaro pubblico, bensì dal fatto che nell’ambito delle complesse procedure legate all’esecuzione dei mandati di pagamento, come pure alla ricezione dei pagamenti in favore clE ; ell’ente, il tesoriere non svolge
un’attività sovrapponibile a quella che l’istituto di credito esegue nel rappor qualsivoglia correntista, bensì partecipa direttamente alla fase rendicontazione, dovendo garantire il corretto inserimento dei flussi informat che consentono di stabilire il saldo tra entrate e uscite, in tal modo garante corretta gestione finanziaria dell’ente.
A tal riguardo, occorre richiamare, sia pur sintkicamente, le previsioni det dalla I. 31 dicembre 2009, n.196 che, nell’attività di controllo e monitoraggio conti pubblici (art.14), demanda ai tesorieri degli enti il compito di trasme quotidianamente alla banca dati SIOPE i dati concernenti tutti gli incassi pagamenti effettuati, al contempo specificando ch2 i tesorieri e i cassieri possono accettare disposizioni di pagamento prive della codificazione SIOPE (art.14, comma 6). Nell’ambito di tale compito, , , il comma 8-bis stabilisce anche che le amministrazioni pubbliche ordinano gli ihdassi e i pagamenti al propr tesoriere o cassiere esclusivamente attraverso ordinativi informatici, per il t dell’infrastruttura della banca dati SIOPE gestita dalla Banca d’Italia nell’a del servizio di tesoreria statale.
In definitiva, quindi, può affermarsi che il dipende s te di un istituto di credito, incaricato di gestire il servizio di tesoreria per conto di un ente locale, ri qualifica di incaricato di pubblico servizio, in quanto la sua attività non si li mero maneggio del denaro pubblico, né al slo adempimento di obblighi di pagamento impartiti dall’ente, bensì contempla ( . .ina più ampia ingerenza nella complessiva attività finanziaria dell’ente, dovendo curare anche rendicontazione, nei confronti della tesoreria provinciale, dei flussi di dena entrata e in uscita, secondo modalità predeterminate per legge e finalizzat consentire il controllo sui conti pubblici.
Una volta attribuita la qualifica di incaricato di pubblico serviz dipendente dell’istituto di credito che svolga là ·Vunzione di tesoriere dell’ente locale, occorre procedere alla verifica se la condotta contestata integri il r peculato, piuttosto che quello di truffa aggravata.
La motivazione resa sul punto dai giudici di merito è obiettivament contraddittoria, nella misura in cui da un lato ammette che l’imputato, al fi impossessarsi del denaro, doveva alterare i mandati di pagamento, ma al contempo riconosce la sussistenza della disponibilità del denaro stesso.
L’art. 314 cod. pen. presuppone che l’appropriazione ricada su beni di cui pubblico agente abbia il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio.
L’elaborazione giurisprudenziale ha ampiamente approfondito le nozioni di possesso e disponibilità, pervenendo ad una concorde interpretazione secondo cui
la nozione di possesso, riferita al danaro, deve intendersi come comprensiva non solo della detenzione materiale, ma anche delta disponibilità giuridica, con la conseguenza che l’appropriazione può avvenire ahthe attraverso il compimento di un atto – di competenza del pubblico agente o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio – di carattere dispositivo, che consenta di conseguire l’oggetto della appropriazione (Sez.6, n. 16783 del 19/1/2021, Romei, Rv 281511; Sez.6, n. 45908 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257385). Ne consegue che l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico ufficiale che si comporti uti dominus nei confronti di danaro del quale ha il possesso 41 ragione del suo ufficio e la sua conseguente appropriazione possono realizzarsi anche nelle forme della disposizione giuridica, del tutto autonoma e libera da vincoli, del danaro stesso, indisponibile in ragione di norme giuridiche o di atti amministrativi (Sez.6, n. 7492 dei 18/10/2012, dep.2013, COGNOME, Rv. 255529).
La nozione di disponibilità del denaro, pertanto, si collega direttamente all’esercizio del potere di decisione in ordine all’utilizzo e alla destinazione, posto che mediante tali atti il pubblico agente può porre, in essere la condotta, latamente appropriativa, che costituisce l’elemento tipico del reato di peculato.
Deve, pertanto, affermarsi il principio secondo cui, nelle procedure di spesa in cui è prevista una formale distinzione tra il momento deliberativo e quello esecutivo, la disponibilità giuridica del denaro e la conseguente possibilità di ritenere configurabile il peculato si configura esclusivamente in capo al soggetto cui è conferito il potere di emettere i mandati di pagamento (il cosiddetto ordinatore di spesa) e impartire, se del caso, al tesoriere l’ordine di provvedere materialmente al pagamento stesso, dovendosi Lcludere in capo a quest’ultimo la disponibilità del denaro, difettando qualsivoglia potere in ordine alla sua destinazione.
4.1. Partendo da tale premessa, è agevole escludere che il ricorrente avesse la “disponibilità” del denaro oggetto di appropriazione, posto che il tesoriere, per espressa previsione normativa, non interviene nella l’ase deliberativa in ordine alla decisione di impiegare il denaro pubblico, bensì nella sola fase esecutiva, nell’ambito della quale non è più esercitabile alOna forma di potere, sia pur di mero fatto, idoneo ad incidere sulla destinazioneidel denaro stesso.
In buona sostanza, una volta emesso il mandato di pagamento, il ricorrente avrebbe dovuto limitarsi alla sua esecuzione, non essendogli attribuito, neppure in via di fatto e sulla base dell’occasionalità necessaria, alcun potere dispositivo, inteso nel senso sopra precisato.
4.2. Né a diverse conclusioni può giungersi valorizzando quell’orientamento giurisprudenziale, richiamato dai giudici i di merito, secondo cui
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il possesso qualificato dalla ragione dell’ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Sez.6, n.33254 del 19/5/2016, COGNOME, Rv. 267525; Sez.6, n. 19424 del 5/5/2022, COGNOME, ‘ Ry. 283161; Sez.6, n. 11741 del 27/1/2023, Abbondanza, Rv.284578).
Il principio, condivisibile nella sua astrattezza, non è applicabile al caso di specie, posto che la condotta in esame si colloca in un contesto organizzativo diverso rispetto a quello al quale è attribuita la disponibilità del denaro.
Richiamando quanto affermato da Sez. 6, n. 4129 del 19/02/1993, Resta, Rv. 194522, il concetto di disponibilità non può essere allargato fino a comprendervi una qualsiasi relazione, anche mediata ed evendiale con la cosa o con il denaro, valendo invece ad indicare quei soli poteri giuridicVche consentono all’agente, che sia privo del corpus del possesso, di esplicare sulla cosa quegli stessi comportamenti, uti dominus, che vengono a substanziare la condotta di appropriazione.
Sulla base delle osservazioni in precedenza svolte, è agevole pervenire alla conclusione per cui la disponibilità del denaro è attribuibile esclusivamente agli organi dell’ente locale cui è demandata la fase:decisoria e quella strettamente i · collegata all’emissione del mandato di pagamento; E solo nel momento in cui si assume la decisione di spesa e si pongono in essere gli atti propedeutici alla sua esecuzione che i pubblici agenti coinvolti possono esercitare un potere di fatto idoneo a “disporre” del denaro.
L’attività successiva e, specificamente, quella demandata all’esecuzione del mandato di pagamento pervenuto all’istituto di credito, che svolge la funzione di tesoreria, presuppone l’avvenuto esaurimento de t lla fase concernente la decisione di disporre del denaro, sicchè l’incaricato ogi provvedere materialmente all’esecuzione del mandato di pagamento non ha, né sulla base delle norme regolanti la sua attività, né in virtù di un’ingerenza di fatto, la possibilità di inser nel procedimento dispositivo.
Tale assunto non trova smentita neppure valorizzando la giurisprudenza in tema di procedimenti complessi di spesa, in relazione ai quali si è ritenuto che è configurabile il delitto di peculato nei confronti dei pubblici ufficiali che, nell’ambi di procedure complesse di contabilità prevedent) il concorso di più organi ai fini dell’adozione dell’atto dispositivo finale, hanno, àhehe congiuntamente, il possesso del danaro pubblico, ancorché coloro che non hanno espletato l’istruttoria non
concorrano nel reato per essere stati indotti in errore sulla debenza dei pagamenti. (da ultimo, Sez.6, n.10062 del 21/1/2025, COGNOME, Rv. 287792)
Il principio sopra richiamato, a ben vedere, fa riferimento all’ipotesi in cui l’apporto di una pluralità di agenti è comunque triferito alla fase relativa all’att dispositivo. (. 2
Nel caso in esame, è proprio tale aspetto che non è configurabile, posto che il ricorrente non interveniva nella fase deliberativa, bensì nella sola fase esecutiva, allorquando la decisione sul se e come disporre del denaro pubblico si era già esaurita.
4.3. Quanto detto apre alla possibilità di addivenire alla diversa qualificazione del reato in termini di truffa aggravata.
Per consolidata giurisprudenza, integra il ret,o di truffa ai danni dello Stato, aggravato dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione, e non quello di peculato, la condotta del pubblico agente che, non avendo la disponibilità materiale o giuridica del denaro, ne ottenga l’indebita erogazione esclusivamente per effetto degli artifici o raggiri posti in essere ai danni del soggetto cui compete l’adozione dell’atto dispositivo (Sez.6, n. 13559 dell’11/7/2019, dep.2020, COGNOME, Rv.278888).
La richiamata pronuncia ha condivisibilmente e precisato che, per distinguere tra il reato di peculato e quello di truffa aggravata, occorre aver riguardo al rapporto tra possesso, da una parte, ed artifici e raggiri, dall’altra, nel senso che, qualora questi ultimi siano finalizzati a mascherare l’illecita appropriazione da parte dell’agente del denaro o della res di cui già aveva legittimamente la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, ricorrerà lo schema del peculato; qualora, invece, la condotta fraudolenta sia posta in essere proprio per conseguire il possesso del denaro o della cosa mobile altrui, ;sarà integrato il paradigma della truffa aggravata. . ,
Quanto detto consente di riaffermare il principio sopra enunciato, specificando che l’elemento di discrimine tra il peculato e la truffa aggravata dall’abuso funzionale (ex art. 61, n. 9 cod. pen.) va essenzialmente ravvisato nell’effetto derivante dall’artificio, posto che se quest’ultimo è causalmente diretto ad ottenere una disponibilità che, in mancanza del raggiro, il pubblico agente non avrebbe avuto, sarà sempre configurabile il reato di truff4
Nel caso di specie, il ricorrente non aveva l disponibilità del denaro, non vantando alcun autonomo potere di spesa ed essendo in suo potere unicamente di dar seguito al mandato di pagamento, nei confronti del beneficiario e per la causale indicata. Per procurarsi il denaro, pertanto, è stato necessario porre in essere un artificio, consistito nella falsificazione del mandato di pagamento
mediante l’indicazione di un beneficiario diverso da quello reale e nei cui confronti l’ente non aveva alcun obbligo da adempiere. GLYPH t
La condotta realizzata non è quella di peculato, bensì M rientra nella fattispecie della truffa, proprio perché è solo per effetto dell’artificio consistito nel falsificazione del mandato di pagamento che il ricorrente si è procurata la disponibilità della somma che, altrimenti, non aveva.
Applicando iLprincipi sopra richiamati, quindi, la fattispecie in esame rientra appieno nell’ipotesi della truffa aggravata, come t già affermato in una fattispecie similare a quella in esame, rispetto alla quale si kritenuto configurabile il delitto di truffa, aggravato ai sensi dell’art. 61,n. 9, cod:pen., e non quello di peculato, nella condotta del dipendente della tesoreria di un ente locale il quale aveva predisposto mandati di pagamento informatici, falsificando il codice IBAN dell’effettivo creditore a vantaggio proprio o di suoi concorrenti (Sez.6, n.31243 del 4/4/2014, COGNOME, Rv. 260505).
Né può obiettarsi che la condotta fraudolenta sarebbe finalizzata ad occultare l’impossessamento del denaro, essendo del tutto evidente – per come il fatto è stato ricostruito dai giudici di merito – che in ,asÙnza dell’artificio il denaro no sarebbe potuto in alcun modo confluire in favore dei correi del tesoriere, sicchè è proprio l’artificio che ha costituito il fattore causale per effetto del quale il dena è stato deviato dalla destinazione pubblicistica, per refluire a vantaggio del ricorrente.
La successiva condotta volta ad alterare le risultanze contabili nell’ambito del rapporto con la tesoreria provinciale era, ince, sicuramente destinata ad occultare gli ammanchi, ma si tratta clic ; un post factum rispetto all’impossessamento del denaro conseguente alla condotta truffaldina.
Alla luce di tali considerazioni, la condotta di peculato deve essere riqualificata in quella di truffa ex art. 640, comma 2, cod. pen. aggravata ai sensi dell’art. 61, n.91 cod. pen.
La derubricazione del delitto di peculato in quello di truffa, impone la verifica della sopravvenuta prescrizione peti, alcuni dei fatti oggetto di contestazione.
Nell’operare il calcolo della prescrizione deve tenersi conto del principio recentemente affermato da Sez.U, n. 20989 del 12/12/2024, dep.2025, PG/COGNOME, secondo cui la disciplina della sospensione del corso della prescrizione di cui all’art. 159 cod. pen., nel testo introdotto dalla legge n. 103 del 2017, si applica ai reati commessi nel tempo di vigenza della legge stessa, ovvero dal 3 agosto 2017 al 31 dicembre 2019, non eskendo stata abrogata con effetti
retroattivi dalla legge n. 3 del 2019, prima, e dalla legge n. 134 del 2021, poi, mentre per i reati commessi dall’i gennaio 2020 si applica la disciplina posta a sistema dalla legge n. 134 del 2021,
Premesso che i reati oggetto di giudizio sono stati commessi, almeno in parte, successivamente alla data del 3 agosto 2017, n consegue che nel computo del termine di prescrizione deve tenersi conto – limità .tamente ai fatti successivi alla predetta data – del periodo di sospensione previsto in pendenza del giudizio di appello dall’art. 159 cod. pen., vigente ratione temporis, stabilito in un anno e sei mesi.
Considerato che, in relazione al reato di truffa aggravata ex art.640, connma 2, cod. pen. il termine massimo di prescrizione è pari a 7 ann itg mesi , cui devono aggiungersi 9 giorni di sospensione maturati intprimo grado, nonché l’ulteriore periodo di un anno e sei mesi (ex art. 159, n.1, COF1 pen.), si perviene al termine finale di prescrizione di nove anni e nove giorni.
Calcolando a ritroso il suddetto termine, si arriverebbe a ritenere non prescritti i fatti commessi in epoca successiva al 7 giugno 2016, tuttavia, tenendo conto che la sospensione ex I.n. 103 del 2017 si applica solo ai fatti commessi dopo il 3/8/2017, è questa la data oltre la quale è possibile escludere l’intervenuta prescrizione.
Il restante motivo di ricorso proposto da COGNOME relativo al trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle generiche, è infondato, avendo i giudici di merito adeguatamente motivato in ordine alla gravità e reiterazione della condotta delittuosa, in tal modo dando conto dei fattori ostativi al riconoscimento di una minore gravità del fatto, senza che la condotta processuale e l’incensuratezza possano di per sé condurre ad una più favorevole valutazione.
Anche gli ulteriori motivi proposti da COGNOME ”sono infondati.
In particolare, il ricorrente si duole dell’omesso riconoscimento dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 116 cod. pen., sul presupposto che non avrebbe avuto contezza della qualifica soggettiva rivestita da NOME.
Premesso che, in punto di diritto, la doglianza proposta sembrerebbe far riferimento non tanto all’ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen., bensì a quella del mutamento del titolo di reato per taluno dei concorrenti, disciplinata dall’art. 117 cod. pen., se ne deve rilevare in ogni caso la mahfesta infondatezza.
Il ricorrente ripropone questioni in fatto, sostenendo di non esser stato a conoscenza della qualifica soggettiva di COGNOME senza confrontarsi con la specifica motivazione resa sul punto dai giudici di merito in primo e secondo grado.
In entrambe le fasi di merito si è ritenuty, con motivazione immune da censure in questa sede, che l’imputato aveya necessariamente la piena consapevolezza che gli accrediti ricevuti erano frutto di indebiti bonifici, eseguiti con abuso della qualità di NOMECOGNOME disposti in suo favore e in danno dei Comuni, non avendo egli alcuna ragione creditoria nei confronti di tali enti.
7.1. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce l’infondatezza delle pretese risarcitorie da parte dei Comuni i cui fondi sono stati distratti, sul presupposto che gli enti sarebbero stati integralmente risarciti.
Il motivo è manifestamente infondato, postoche l’avvenuta restituzione delle somme fraudolentemente sottratte agli enti cor`dúnali non esaurisce la pretesa risa rcitoria .
Peraltro, poiché nei confronti dei Comuni costituiti parte civile è stata disposta la sola condanna generica al risarcimento del danno, l’intervenuto risarcimento di tali soggetti potrà essere fatto valere nel successivo giudizio civile volto alla quantificazione del danno.
7.2. Il quarto motivo, con il quale si deducopo vizi relativi alla legittimità de sequestri eseguiti, è manifestamente infondato, non essendo stato specificamente dedotto in appello. Peraltro, il ricorrente censura profili afferenti alla misur cautelare reale che per effetto della sentenza di condanna, sono assorbiti nella statuizione in ordine alla confisca.
g il motivo è intrinsecamente generico, non specificando adeguatamente le ragioni e in che misura il provvedimento ablatorio risulterebbe illegittimo.
v
Traendo le conclusioni, i reati di cui ai capi 1), 2) e 3) vanno riqualificati a sensi degli artt. 110, 640, comma 2, 61, n. 9, cod. pen., con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché i reati, commessi fino alla data del 3 agosto 2017, sono prescritti.
Parimenti deve disporsi l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione in relazione al reato di cui al capo 4), ascritto al solo NOMECOGNOME limitatamente ai fatti commessi fino al 3 agosto 3.017.
Per effetto della parziale estinzione per prestrizione dei reati contestati, si rende necessaria la rideterminazione della pena da parte della Corte di appello di Potenza, salva restando la definitività dell’accertamento della penale responsabilità degli imputati per i fatti non coperti dall’intervenuta estinzione.
La sentenza impugnata deve essere confermata nel resto.
Stante la definitività dell’accertamento ai fini civilistici, posto che la Corte appello dovrà provvedere alla mera rideterminazipne della pena, devono liquidarsi
le spese sostenute dalle parti civili nel presente grado di giudizio.
PQM
Riqualificati i fatti di reato di cui ai capi 1), 2) e 3) ai sensi degli artt.
640, comma 2, 61, n. 9, cod. pen., annulla sena rinvio la sentenza impugnata perché i predetti reati sono estinti per prescrizione9imitatamente ai fatti commessi
sino alla data del 3 agosto 2017.
Annulla altresì senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al reato di cui al capo 4) perchè estinto per prescrizione limitatamente ai fatti commessi sino alla
data del 3 agosto 2017.
Rigetta nel resto i ricorsi e dichiara irrevocabile l’accertamento della responsabilità ai sensi dell’art. 624, comma
2, cod. proc. pen. ispone la
trasmissione degli atti alla arte di appello di po tenza, in diversa composizione,
per la rideterminazione della pena.
Conferma le statuizioni civili e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di costituzione e difesa sostenute dalle parti civili Comune di Cancellara e Banca di Credito Cooperativo di Appulo Lucana, che liquida per ciascuna di esse in euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 16 giugno 2025
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Il .Consigliere estensore
Il Presidente