Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24909 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24909 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 10/06/2025
– Presidente –
NOME COGNOME
UP – 10/06/2025 R.G.N. 8093/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BOSA il 08/08/1972 avverso la sentenza del 15/01/2025 della Corte militare d’appello Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale militare NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore avv. COGNOME NOME che conclude, per sŁ e per il difensore avv. NOME COGNOME che sostituisce, chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte militare d’appello ha confermato la sentenza pronunciata in data 7 marzo 2024 dal Tribunale militare di Roma con la quale NOME COGNOME Maresciallo capo della Guardia di finanza, Ł stato condannato, con le circostanze attenuanti dell’art. 62 n. 4 e dell’art. 62-bis cod. pen., alla pena di dieci mesi di reclusione militare, con i doppi benefici, per l’appropriazione di una stecca di sigarette facente parte del carico di merce, sottoposto a ‘suggello’ doganale, sul quale egli aveva la sorveglianza e custodia in ragione dello svolgimento delle operazioni doganali sulla nave battente bandiera panamense che era in transito nel porto di Oristano (art. 3 legge 9 dicembre 1941, n. 1383, in relazione all’art. 215 cod. pen. mil. pace, e art. 47 n. 2 cod. pen. mil. pace).
Ricorre NOME COGNOMEa mezzo dei difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME
2.1. In premessa il ricorrente chiede al Collegio di sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma incriminatrice nella parte in cui non prevede che la pena sia diminuita in misura non eccedente un terzo (come recentemente previsto per il delitto di rapina da Corte Cost. n. 86 del 2024), quando, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità, con riferimento agli articoli 3 e 27 Cost., tenuto conto della elevata pena edittale del reato, tanto nel minimo quanto nel massimo, che non Ł idonea a garantire una adeguata dosimetria della pena a fronte della variegata modalità di estrinsecazione delle condotte caratterizzate da minima lesività.
2.2. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione della legge penale e il vizio della motivazione con riguardo all’affermazione della responsabilità perchØ, sulla premessa che nessuno ha visto il militare sottrarre la stecca di sigarette, Ł rimasta incerta la condotta che, sulla base della ricostruzione operata dai giudici di merito, sarebbe stata commessa all’interno della nave, allorquando nel locale si trovavano soltanto l’imputato e il comandante della nave.
I giudici di merito non hanno verificato quante fossero le stecche di sigarette in possesso del comandante della nave, apparendo plausibile: un errore ‘a monte’ nel conteggio della merce che
era stata posta sotto suggello dai militari che avevano preceduto l’imputato in tale attività; che la stecca rinvenuta provenisse dalla scorta personale del comandante della nave; che la stessa fosse una regalia da parte del comandante.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che la questione di legittimità costituzionale Ł manifestamente infondata, il ricorso, che presenta censure inammissibili, Ł nel complesso infondato.
¨ utile riportare un breve inquadramento delle disposizioni di legge che intervengono nel caso in esame.
2.1. L’art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, comunemente denominata ‘collusione del militare della Guardia di finanza’ stabilisce:
«Il militare della guardia di finanza che commette una violazione delle leggi finanziarie, costituente delitto, o collude con estranei per frodare la finanza, oppure si appropria o comunque distrae, a profitto proprio o di altri, valori o generi di cui egli, per ragioni del suo ufficio o servizio, abbia l’amministrazione o la custodia o su cui eserciti la sorveglianza, soggiace alle pene stabilite dagli articoli 215 e 219 del Codice penale militare di pace, ferme le sanzioni pecuniarie delle leggi speciali.
La cognizione dei suddetti reati appartiene ai Tribunali militari.
Nel caso di condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni si applica il disposto dell’articolo 32-quinquies del codice penale.
Non si applica l’articolo 131-bis del codice penale.»
Premesso che la previsione dell’ultimo comma Ł stata inserita dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (art. 77, comma 1), Ł doveroso evidenziare che la Corte Costituzionale con sentenza 9-18 luglio 2008, n. 286, ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 della legge 9 dicembre 1941, n. 1383, nella parte in cui si riferisce al militare della Guardia di finanza che abbia agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa e, dopo l’uso momentaneo, l’abbia immediatamente restituita».
2.2. L’apparato sanzionatorio della fattispecie prevista dal citato art. 3 l. n. 1383 del 1941 Ł stabilito dall’art. 215 cod. pen. mil. pace che, sotto la rubrica «peculato militare», prevede:
«Il militare incaricato di funzioni amministrative o di comando, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso di denaro o di altra cosa mobile, appartenente all’amministrazione militare, se l’appropria, ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri, Ł punito con la reclusione da due a dieci anni.
Non si applica l’articolo 131-bis del codice penale.»
Premesso che il secondo comma Ł stato inserito dal già citato d.lgs. n. 150 del 2022 e che la già citata sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 2008 riguarda parimenti la fattispecie dell’art. 215 cod. pen. mil. pace, la Corte Costituzionale con sentenza 4 – 13 dicembre 1991, n. 448 ha dichiarato «l’illegittimità costituzionale dell’art. 215 del codice penale militare di pace, limitatamente alle parole: “ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri”».
2.3. Tanto premesso, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 473 del 1990, ha già ritenuto non essere conforme a razionalità che le modifiche introdotte per il peculato comune con la legge n. 86 del 1990 non siano state estese al peculato militare.
E ciò, nella considerazione – già espressa, proprio a proposito del peculato per distrazione, nella sentenza n. 4 del 1974 – della «sostanziale identità della fattispecie di cui all’art. 314 c. p. (vecchio testo) con quella di cui all’art. 215 c. p. m. p.».
I due reati, infatti, «hanno in comune l’elemento materiale e l’elemento psicologico. Identico Ł, infatti, il loro contenuto, in entrambi offensivo dello stesso bene che si Ł voluto proteggere: denaro e cose mobili appartenenti allo Stato;» identica altresì, la condotta tipica delle due fattispecie criminose, «concretantesi nell’appropriazione o distrazione di beni da parte di soggetti attivi aventi
una specifica qualifica (pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio e militare incaricato di funzioni amministrative o di comando)»; recentemente l’approccio ermeneutico Ł stato ribadito da Corte cost. n. 244 del 2022, in particolare par. 3.2.3 del ‘considerato in diritto’.
Con la richiamata sentenza si Ł precisato che nØ una valutazione diversa delle due fattispecie può essere desunta da «particolari ragioni inerenti all’amministrazione militare»: anzi, quella del peculato militare Ł stata dal legislatore considerata meno grave, dato che Ł per esso comminata una sanzione che, in tutti i casi, Ł minore di quella prevista per il peculato comune (attualmente, da quattro anni di reclusione a dieci anni e sei mesi di reclusione).
2.4. Orbene, la condotta di appropriazione non Ł stata interessata dagli interventi normativi e del giudice delle leggi, essendo tutt’oggi sanzionata penalmente, sia nella ipotesi del reato comune, che in quella del reato militare.
Neppure Ł rilevante a chi spetti la proprietà del bene oggetto di appropriazione, posto che, sia nel reato comune, che in quello militare, Ł sufficiente che si tratti di denaro o di una cosa mobile altrui della quale il reo se ne appropri, avendone per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità (l’art. 3 l. n. 1383 del 1941, con formula esemplificativa, enumera l’amministrazione o la custodia o la sorveglianza).
2.5. Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale Ł inammissibile perchØ si limita a richiamare i parametri costituzionali degli artt. 3 e 27 Cost., senza illustrarne le ricadute.
Non Ł, infatti, neppure indicato in cosa consisterebbe la violazione dell’art. 3 Cost., posto che, semmai, Ł la fattispecie del peculato comune a essere punita piø gravemente di quella militare.
Anche il profilo dell’art. 27 Cost., così seccamente richiamato, Ł privo di capacità critica poichØ non viene illustrato sotto quale profilo il parametro dovrebbe essere violato quanto alla forbice edittale, tenendo conto che, nel caso in esame, la pena Ł stata irrogata in soli mesi dieci di reclusione, applicate le circostanze attenuanti dell’art. 62 n. 4 e dell’art. 62-bis cod. pen.
2.6. Non va sottaciutoche la Corte costituzionale, con ordinanza n. 402 del 2000, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 della legge 26 aprile 1990, n. 86 (Modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, volta a consentire l’applicazione, al delitto di peculato militare, dell’art. 323-bis cod. pen., che ha introdotto una circostanza attenuante per i fatti di peculato comune (e altri reati) di particolare tenuità.
Si Ł precisato che « a dispetto dell’accennata assonanza di struttura il peculato militare, a parità di pena massima, risulta punito con pena minima inferiore esattamente di un terzo (due anni di reclusione, anzichØ tre ) rispetto a quella comminata per il peculato comune (la previsione di tale minimo inferiore risulta invero giustificata, nei lavori preparatori del codice penale militare di pace, con l’opportunità di adeguare la risposta punitiva alla qualità del soggetto attivo del reato, il quale spesso si identifica in un militare di grado assai modesto, non rivestito di funzioni amministrative permanenti: laddove peraltro Ł evidente che – anche a ritenere valida tale giustificazione – ipotesi omologhe di ridotto disvalore del fatto siano suscettive di verificarsi pure in rapporto al peculato comune)».
Si Ł ritenuto «che a fronte di ciò, l’introduzione, per il peculato comune, di una circostanza attenuante speciale (ma ad effetto comune: tale, cioØ, da consentire la diminuzione della pena fino a un terzo), quale quella di cui all’art. 323-bis cod. pen. – la cui ratio Ł generalmente identificata nell’intento di mitigare il trattamento sanzionatorio della fattispecie, nei casi in cui la carica offensiva del singolo episodio si riveli modesta – non fa altro, alla resa dei conti, che allineare in modo piø pieno il trattamento delle ipotesi criminose (comune e militare), permettendo che anche per la prima la pena possa scendere, nei congrui casi, al medesimo livello minimo previsto per la seconda; che, in sostanza, se Ł vero che le due fattispecie poste a confronto sono “speculari”, anche la relativa
pena minima deve esserlo: e ciò Ł assicurato oggi, di fatto – sia pure con il tratto differenziale che nell’un caso (peculato militare) ci si muove entro la cornice edittale, nell’altro (peculato comune) al di sotto di essa, sulla base del riconoscimento di un elemento circostanziale (espresso, peraltro, da una formula indefinita che implica una valutazione globale del singolo episodio criminoso, in tutti i suoi elementi e modalità) – proprio dall’applicabilità al peculato comune di una circostanza attenuante non prevista per il peculato militare».
In conclusione, si Ł sottolineato «che, in tale prospettiva, la pronuncia additiva che il rimettente richiede, lungi dal correre sul filo logico dell’allineamento del trattamento sanzionatorio delle due fattispecie, ripristinerebbe l’originario sbilanciamento in melius a favore del peculato militare».
2.7. Del resto, il ricorso non solleva questioni sulla esclusione della causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen. che, pur non essendo applicabile al reato in discorso (fino al 7 agosto 2023, in ragione della cornice sanzionatoria; in seguito, per espressa esclusione normativa ex d.lgs. n. 150 del 2022), Ł stata anche ritenuta insussistente dai giudici di merito, sicchØ, anche sotto tale profilo non Ł idoneo a supportare la denunciata illegittimità costituzionale.
Risulta evidente, infatti, la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in considerazione della possibilità di graduare la pena, per le circostanze attenuanti, fino a sanzioni assai contenute, comunque inferiori a quelle del peculato comune.
Il secondo motivo di ricorso, sulla responsabilità, Ł nel complesso infondato.
Esso, anzitutto, introduce una ricostruzione alternativa e ipotetica che non si confronta con gli elementi di prova posti a fondamento della decisione, tra i quali spicca il sequestro della stecca di sigarette, operato in danno dell’imputato, che l’aveva occultata a bordo del veicolo di un civile immediatamente dopo essere sceso dalla nave e avere effettuato le operazioni di riscontro del materiale preventivamente suggellato da altri militari.
3.1. Del resto, anche in considerazione del costante silenzio osservato dall’imputato, l’ipotesi che la stecca di sigarette fosse il dono del comandante della nave Ł rimasta una mera illazione.
3.2. ¨ stato motivatamente escluso che la suggellazione di 95 stecche di sigarette, operata dai militari che hanno preceduto l’azione dell’imputato, sia conseguenza di un errore materiale anche perchØ il numero delle stecche di sigarette residue (93), assommando quella rinvenuta nelle mani dell’imputato e l’altra verosimilmente sottratta dal civile nel medesimo contesto (egli si dava alla fuga), ammonta effettiva a quello oggetto della precedente verbalizzazione.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 10/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME