Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 296 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 296 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato a Palermo DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/6/2023 della Corte di appello di Palermo
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria depositata dal ricorrente, con cui sono state ribadite le deduzioni formulate nel ricorso;
letta la memoria della parte civile, che ha chiesto di non accogliere il ricorso e di confermare la condanna del ricorrente al risarcimento del danno, oltre alla refusione delle spese del grado.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 giugno 2023 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia emessa il 17 marzo 2021 dal Tribunale di Sciacca, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine al reato di cui all’art. 314, comma secondo, cod. pen., perché estinto per intervenuta prescrizione, e ha ridotto la pena ad anni uno e mesi otto di reclusione per il reato di cui all’art. 314 cod. pen.; ha condannato l’appellante alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e ha confermato nel resto.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Con il primo motivo ha eccepito la nullità della sentenza, perché resa nell’ambito di un procedimento introdotto con decreto di rinvio a giudizio dinanzi al Tribunale di Sciacca nullo. In particolare, il ricorrente ha affermato che, in previsione dell’udienza del 25 ottobre 2018 dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare di Sciacca, egli aveva inviato a mezzo posta elettronica certificata un’istanza nella quale aveva segnalato il proprio legittimo impedimento a comparire a quella udienza, perché impegnato dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE in difesa di un imputato processato per gravi delitti contro la persona. A questa istanza era allegato il verbale dell’udienza del 27 settembre 2018 del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, in cui il Presidente del collegio giudicante aveva rilevato l’assoluta necessità che l’AVV_NOTAIO, non presente a quell’udienza per concomitante impegno professionale in altra sede giudiziaria, comparisse alla successiva udienza del 25 ottobre 2018, medesima data in cui era fissato il processo a carico dell’odierno ricorrente dinanzi al Giudice dell’udienza preliminare di Sciacca. Quest’ultimo non aveva dato alcun conto nel verbale di udienza dell’istanza di rinvio e l’eccezione di nullità era stata riproposta anche dinanzi al Tribunale, che l’ha disattesa, avendo rilevato che l’udienza presso la quale l’AVV_NOTAIO era impegnato presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che aveva disposto il rinvio al 25 ottobre 2018, era stata tenuta il giorno successivo alla notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare nel presente procedimento. All’udienza celebrata dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE il 27 settembre 2018, però, l’AVV_NOTAIO non era presente ed era stato sostituito da un difensore di ufficio che non poteva essere a conoscenza degli impegni professionali del collega. Il ricorrente ha eccepito, inoltre, la nullità dell’ordinanza del Tribunale del 17 aprile 2019, con cui è stata rigettata una
ulteriore istanza di rinvio per legittimo impedimento, e di tutte le successive udienze di primo grado fino alla sentenza di appello impugnata.
2.2. Con il secondo motivo ha dedotto l’erronea sussunzione della condotta dell’imputato nello schema tipico dell’art. 314 cod. pen. Premesso che i Giudici di merito hanno ritenuto che l’imputato aveva detenuto somme di denaro nella sua qualità di pubblico ufficiale, il ricorrente ha dedotto che egli, dipendente dell’ospedale RAGIONE_SOCIALE Sciacca, avrebbe rivestito la qualifica di pubblico ufficiale con riferimento agli atti della sua funzione di medico, ma non con riguardo alle somme percepite per le visite svolte in esecuzione di un contratto di diritto privato, previsto dal RAGIONE_SOCIALE. Egli avrebbe incassato direttamente la propria quota di spettanza per le anzidette visite, pari a circa 70 euro, e non avrebbe indirizzato le utenti visitate all’ufficio RAGIONE_SOCIALEle preposto per il versamento del ticket di spettanza dell’RAGIONE_SOCIALE, sua datrice di lavoro, con la conseguenza che non si sarebbe appropriato di somme della Pubblica amministrazione, ma, al più, avrebbe omesso un’attività funzionale a consentire che anche l’amministrazione incassasse la propria quota della remunerazione della prestazione RAGIONE_SOCIALE, resa intra-moenia dallo stesso sanitario. In altri termini, poiché il ricorrente non si sarebbe appropriato dell’intero costo della prestazione, ma solo della parte a lui spettante, al più potrebbe essergli mosso un rimprovero sotto il profilo dell’inadempimento contrattuale e del conseguente danno arrecato alla Pubblica amministrazione, consistito nella mancata percezione della propria quota di compenso su ciascuna visita eseguita, ma non certamente quello di essersi appropriato di somme dell’RAGIONE_SOCIALE, dato che di dette somme egli non avrebbe mai avuto il possesso o la detenzione.
2.3. Con il terzo motivo ha dedotto l’insussistenza dell’ipotesi di cui all’art. 314, comma secondo, cod. pen., poiché, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, la convenzione stipulata lo avrebbe autorizzato a svolgere attività libero professionale e intra-moenia e, quindi, all’utilizzo di beni o strumenti dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, utili per l’esercizio della sua attività professionale privatistica e in convenzione.
2.4. Con il quarto motivo ha eccepito che la prescrizione del delitto di cui all’art. 314, comma secondo, cod. pen., si sarebbe verificata prima della sentenza di primo grado. La prescrizione dovrebbe decorrere dalle date di effettuazione delle visite e, quindi, al più tardi dal 2012.
2.5. Con il quinto motivo ha dedotto l’erronea statuizione della sentenza in ordine alle disposizioni della parte civile. Quest’ultima, come indicato nelle conclusioni della sentenza del Tribunale, avrebbe limitato il proprio petitum alla condanna dell’imputato alle spese processuali. Avrebbero errato, dunque, il
Tribunale e la Corte di appello nel riconoscere un danno all’RAGIONE_SOCIALE, che nelle conclusioni non aveva chiesto che le venisse riconosciuto.
È pervenuta memoria della parte civile che si è associata alle conclusioni formulate nella requisitoria del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO e ha insistito nella conferma della condanna del ricorrente al risarcimento del danno e alla refusione delle spese del grado, come da nota depositata.
È pervenuta anche memoria depositata nell’interesse del ricorrente, con cui si è evidenziato che il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO nella requisitoria depositata sarebbe incorso in errore laddove ha ritenuto che il rinvio per legittimo impedimento, richiesto all’udienza dinanzi al Tribunale, fosse dovuto a un concomitante impegno professionale in difesa di una parte civile anziché di un imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo, relativo ai mancati rinvii di due udienze svolte dinanzi, l’una, al Giudice dell’udienza preliminare e, l’altra, al Tribunale di Sciacca, è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha condiviso le argomentazioni formulate dal Giudice di primo grado, che, innanzitutto, aveva richiamato la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che dà luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell’art. 420 ter, comma cinque, cod. proc. pen., a condizione che il difensore: a) prospetti l’impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni; b) indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l’espletamento della sua funzione nel diverso processo; c) rappresenti l’assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l’imputato; d) rappresenti l’impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell’art. 102 cod. proc. pen. sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio (Sez. U, n. 4909 del 18/12/2014, dep. 2015, Rv. 262912 – 01).
Il menzionato Giudice aveva aggiunto che nella nota, depositata il 22 ottobre 2018 del difensore di fiducia dell’imputato, volta a rappresentare l’impossibilità dello stesso a presenziare all’udienza del 25 ottobre 2018, «non risultavano esplicitati i punti sub c) e sub d), prima indicati, con la conseguenza
che la richiesta, senza opinare sull’esistenza di un arbitrio da parte dello stesso difensore in ordine al procedimento da privilegiare, non poteva essere considerata come valida da parte del Giudice dell’udienza preliminare, non essendosi il difensore attenuto ai parametri di cui sopra».
Per di più, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Sciacca aveva correttamente ritenuto prevalente l’impegno professionale del difensore del ricorrente innanzi a tale Tribunale non solo perché preesistente rispetto a quello dinanzi al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE / ma altresì in considerazione del risalente tempus commissi delicti (5 maggio 2014) e del conseguente avanzamento del termine prescrizionale per il peculato d’uso contestato all’imputato.
Trattasi di argomentazioni che, in quanto in linea con il richiamato orientamento di legittimità, sfuggono a ogni rilievo censorio.
2.1 Del tutto generica è poi la censura relativa alla reiezione dell’istanza di rinvio dell’udienza del 17 aprile 2019.
Il ricorrente, anche in tal caso, non si è attenuto ai parametri sopra indicati e ciò comporta che la doglianza è priva di specificità.
Peraltro, la Corte di appello ha sottolineato che emergeva ex actis come il concomitante impegno professionale fosse sopravvenuto e, quindi, postumo rispetto alla celebrazione dell’udienza del 17 aprile 2019 innanzi al Tribunale di Sciacca.
Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione della legge penale in relazione all’avvenuto inquadramento dei fatti contestati nel delitto di peculato. Ciò in quanto egli non avrebbe rivestito la qualifica di pubblico ufficiale rispetto alle somme incassate nell’ambito delle prestazioni professionali svolte privatamente in regime di intra-moenia all’interno della struttura RAGIONE_SOCIALE (da cui era stato autorizzato), posto che egli avrebbe percepito direttamente dalle pazienti soltanto la propria quota di spettanza professionale (pari ad C 70,00) e non avrebbe indirizzato le stesse pazienti all’ufficio RAGIONE_SOCIALEle preposto alla ricezione del ticket di spettanza dell’RAGIONE_SOCIALE (pari alla differenza rispetto all’importo complessivo di ogni visita di C 100,00 120,00).
Il motivo è reiterativo della medesima doglianza già proposta dinanzi alla Corte di appello, che vi ha dato adeguata e corretta risposta, avendo ritenuto che era risultato accertato che l’imputato aveva percepito nelle sue mani l’intera somma omnicomprensiva della tariffa della prestazione, a prescindere dall’impossibilità, in ogni caso, di escludere la qualifica pubblicistica in capo al
medico per il solo fatto della deliberata riduzione dell’ammontare del denaro ricevuto a quanto di sola sua spettanza.
Così argomentando, il Collegio territoriale ha fatto corretta applicazione dell’insegnamento di questa Corte secondo cui integra il delitto di peculato la condotta del medico il quale, nello svolgimento dell’attività libero professionale, consentita dal d.P.R. 20 maggio 1987 n. 270 (cosiddetta “intra moenia”), riceva personalmente dai pazienti le somme dovute per la sua prestazione, anziché indirizzarli presso gli sportelli di cassa dell’ente, omettendo il successivo versamento all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (tra le altre: Sez. 6, n. 15945 del 18/2/2021, COGNOME, Rv. 280967 – 01).
In tale arresto si è rimarcato, infatti, che «l’attività resa intra-moenia, per quanto di natura libero-professionale, implica una parziale destinazione della somma, dovuta dal paziente, alla struttura pubblica e che, solo a seguito del versamento dell’intero importo, verrà riversata al medico la quota a lui spettante. Ne consegue che il pagamento da parte del paziente immediatamente al medico comporta il necessario coinvolgimento della sfera pubblicistica nella fase della riscossione, in quanto in tutti i casi il versamento viene fatto anche a vantaggio della struttura pubblica. Parimenti, non è dubbio che il soggetto, specificamente incaricato della riscossione, assume una qualità di rilievo pubblicistico, pur a margine di attività professionale. E ciò vale anche nel caso in cui il medico, che svolge l’attività libero professionale, in via di fatto si ingerisca direttamente nell’incasso dell’intera somma, giacché in quello specifico frangente egli acquisisce una somma a lui non definitivamente e per l’intero destinata, svolgendo nei confronti del paziente un’attività di incasso strutturalmente corrispondente a quella di rilievo pubblicistico, altrimenti svolta dai soggetti competenti nell’interesse dell’RAGIONE_SOCIALE».
Alla luce di tali coordinate ermeneutiche è evidente che, nel caso in esame, è stata l’attività di incasso, svolta nel quadro di attività liberoprofessionale intra-moenia, ad assumere rilievo pubblicistico e a determinare la connessa qualifica dell’imputato.
E’ evidente, inoltre, che, contrariamente a quanto opinato dal ricorrente, non rileva l’esatto ammontare del compenso ricevuto, dovendo, in ogni caso, una parte di esso essere destinata alla struttura pubblica, così che l’imputato, dopo averla incassata per conto della struttura, non avendola riversata, se ne è appropriato nella veste di pubblico ufficiale e si è reso responsabile di peculato, avendo avuto la disponibilità delle somme per ragioni inerenti al concreto svolgimento del suo ufficio.
Il terzo motivo, con cui è stata dedotta l’insussistenza del reato di peculato d’uso, è manifestamente infondato.
A fronte della declaratoria di estinzione per prescrizione di tale reato, il ricorrente avrebbe potuto lamentare solo la mancata adozione del proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
Al riguardo questa Corte ha già avuto modo di chiarire che «in presenza di una causa di estinzione del reato, non può il giudice d’appello, al fine di pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., compiere attività ulteriori rispetto alla mera constatazione di circostanze – emergenti ictu ocull dagli atti – idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell’imputato ovvero la sua rilevanza penale» (Sez. 6, n. 33030 del 24/05/2023, COGNOME, Rv. 285091 – 01; Sez. 6, n. 27725 del 22/03/2018, Princi, Rv. 273679 – 01). Pertanto, solo entro questi limiti è consentito l’esame della richiesta di assoluzione nel merito.
Nel caso in esame, il ricorrente si è limitato a censurare la mancata assoluzione, senza nulla dedurre sull’evidenza della prova, idonea ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte dello stesso ricorrente, ovvero la sua rilevanza penale; né tale prova emerge sulla base di un’attività di mera constatazione.
Con il quarto motivo di ricorso si è dedotto che la prescrizione del delitto di cui all’art. 314, comma 2, cod. pen. si sarebbe verificata sin dal primo grado.
A riguardo la Corte territoriale, nel dichiarare che la prescrizione del reato si era verificata il 7 dicembre 2021, ha considerato quale data del commesso reato il 5 maggio 2014 e ha tenuto conto, oltre che della durata massima di anni 7 e mesi 6 di prescrizione, di 32 giorni di sospensione del relativo termine.
Con il presente ricorso il ricorrente ha individuato altre date da cui dovrebbe decorrere il termine di prescrizione ma, così facendo, ha sollecitato degli accertamenti in fatto, preclusi a questa Corte.
Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto che il Tribunale e la Corte di appello avrebbero errato nel riconoscere un danno alla parte civile che, nelle conclusioni formulate dinanzi al Giudice di primo grado, non aveva chiesto che le venisse riconosciuto.
L’assunto è manifestamente infondato.
Nell’atto di costituzione la parte civile RAGIONE_SOCIALE ha chiesto anche il risarcimento dei danni subiti, oltre alla condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di costituzione. All’udienza di
precisazione delle conclusioni dinanzi al Tribunale la parte civile, oltre a chiedere la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese processuali, si è riportata alla memoria conclusionale depositata, in cui ha chiesto anche la condanna al risarcimento dei danni patiti.
Il motivo, quindi, non trova riscontro negli atti.
Ad ogni modo, la tesi dedotta dall’imputato sottende un’avvenuta rinuncia della parte civile al risarcimento dei danni chiesti nell’atto di costituzione, ma la giurisprudenza civile di questa Corte è costante nell’affermare che la mancata riproposizione, in sede di precisazione delle conclusioni, di una domanda, in precedenza formulata, non autorizza alcuna presunzione di rinuncia in capo a colui che ebbe originariamente a presentarla, essendo necessario, a tale fine, che dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte possa desumersi inequivocabilmente il venire meno del suo interesse a coltivare siffatta domanda (Sez. 3, ord. n. 12756 del 9/05/2024, Rv. 670916 – 01).
Nel caso in esame, il ricorrente neppure ha indicato sulla base di quali elementi potesse dirsi venuto meno l’interesse della parte civile a coltivare la domanda risarcitoria. Il che determina, già di per sé, la aspecificità della doglianza.
Peraltro, come già detto, la rinuncia a una domanda ritualmente introdotta nel giudizio richiede una volontà inequivoca in tal senso ma ciò è mancato nel i caso di specie, in cui, anzi, emerge una linea difensiva che appare incompatibile con la presunzione di abbandono della domanda risarcitoria.
In definitiva, il ricorso è inammissibile e ciò comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
7.1. L’esito del giudizio comporta la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di
rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE
di RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 18 settembre 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Presidente