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Peculato medico intra-moenia: quando scatta il reato

Un medico svolge attività privata “intra-moenia” in un ospedale pubblico, incassa l’intero onorario dai pazienti ma non versa la quota spettante alla struttura. La Corte di Cassazione conferma la condanna per peculato, stabilendo che il medico, nell’atto di riscuotere il pagamento, agisce come pubblico ufficiale. L’appropriazione della quota pubblica integra il reato di peculato medico intra-moenia. Il ricorso del professionista è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 9 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato Medico Intra-Moenia: Quando l’Incasso Diretto Diventa Reato

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un tema delicato che tocca la professione medica e i suoi rapporti con il Servizio Sanitario Nazionale: il peculato medico intra-moenia. La decisione chiarisce in modo inequivocabile quando la condotta di un medico, che incassa direttamente dai pazienti l’onorario per le prestazioni svolte in regime di libera professione all’interno di una struttura pubblica, integra il grave reato di peculato. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di un professionista, confermando la sua responsabilità penale.

I Fatti: La Vicenda del Medico e le Parcelle non Versate

Il caso riguarda un medico dipendente di un’azienda ospedaliera condannato in primo e secondo grado per peculato. Secondo l’accusa, il professionista, durante lo svolgimento della sua attività libero-professionale autorizzata (la cosiddetta “intra-moenia”), aveva incassato direttamente dalle pazienti l’intero importo della parcella, omettendo però di versare la quota di spettanza dell’azienda sanitaria pubblica presso cui operava. Invece di indirizzare i pazienti agli sportelli di cassa dell’ente per il pagamento del ticket, il medico riceveva l’intera somma, trattenendola per sé e privando così la struttura pubblica della sua parte.

Le Ragioni del Ricorso: Vizi Procedurali e la Natura del Ruolo del Medico

La difesa del medico ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. In primo luogo, sono state sollevate eccezioni di nullità procedurale, sostenendo che le richieste di rinvio per legittimo impedimento del difensore fossero state ingiustamente respinte. Nel merito, il punto centrale della difesa era che il medico non avrebbe rivestito la qualifica di pubblico ufficiale in relazione alle somme percepite, trattandosi di un’attività di natura privata. Secondo questa tesi, il professionista si sarebbe limitato a incassare la propria quota di spettanza, pari a circa 70 euro per visita, e non l’intera somma. Di conseguenza, non si sarebbe appropriato di denaro pubblico, ma avrebbe al massimo commesso un inadempimento contrattuale nei confronti della sua datrice di lavoro.

L’Analisi della Corte sul Peculato Medico Intra-Moenia

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente la tesi difensiva, ribadendo un principio consolidato in giurisprudenza. La qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio non dipende dalla natura dell’atto (pubblico o privato), ma dalla funzione svolta. Nel contesto dell’attività intra-moenia, la fase di riscossione del compenso coinvolge necessariamente la sfera pubblicistica, poiché una parte della somma è destinata per legge alla struttura pubblica.

Quando il medico, anche se di fatto, si ingerisce nell’incasso dell’intera parcella, assume una funzione di rilievo pubblicistico. In quel preciso momento, egli acquisisce la disponibilità di una somma di denaro che non è interamente sua, ma che in parte appartiene all’ente pubblico. L’appropriazione di tale somma, omettendo di versarla all’azienda sanitaria, configura a tutti gli effetti il delitto di peculato previsto dall’art. 314 del codice penale.

La Reiezione degli Altri Motivi di Ricorso

La Corte ha ritenuto infondati anche gli altri motivi di appello. Le istanze di rinvio per legittimo impedimento sono state correttamente respinte perché, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, il difensore ha l’onere di dimostrare non solo l’impegno concomitante, ma anche l’impossibilità di farsi sostituire. Per quanto riguarda le doglianze sul risarcimento del danno alla parte civile (l’azienda sanitaria), la Corte ha accertato che la richiesta era stata ritualmente formulata e mai revocata.

Le Motivazioni

La motivazione centrale della sentenza si fonda sulla qualificazione giuridica della condotta del medico. La Corte ha stabilito che l’attività di riscossione delle somme dovute per prestazioni sanitarie in regime intra-moenia, anche se svolta da un medico, è un’attività funzionale all’interesse pubblico dell’azienda sanitaria. Il medico che riceve l’intero importo agisce in quel frangente come un agente della pubblica amministrazione, incaricato della riscossione. La successiva mancata devoluzione della quota spettante all’ente non è un mero inadempimento civile, ma un’appropriazione indebita di fondi pubblici di cui ha la disponibilità per ragione del suo ufficio. Non rileva, secondo i giudici, l’esatto ammontare del compenso ricevuto, poiché anche una parte di esso era destinata alla struttura pubblica. Avendo avuto la disponibilità di tali somme per ragioni inerenti allo svolgimento del suo ufficio, l’appropriazione integra il reato di peculato.

Le Conclusioni

La pronuncia della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Essa serve da monito per tutti i professionisti sanitari che operano in regime di intra-moenia, sottolineando la necessità di seguire scrupolosamente le procedure amministrative e contabili per la riscossione dei compensi. La sentenza conferma che la gestione del denaro del paziente in questo contesto non è un’attività puramente privata, ma assume una connotazione pubblica che comporta precise responsabilità penali. Per le aziende sanitarie, la decisione rafforza la loro posizione come parte lesa e il loro diritto a ottenere il risarcimento del danno derivante da tali condotte illecite, che minano non solo le finanze pubbliche ma anche la fiducia dei cittadini nel sistema sanitario.

Un medico che svolge attività privata “intra-moenia” in un ospedale pubblico è considerato un pubblico ufficiale quando incassa la parcella?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, nel momento in cui il medico incassa l’intera somma dovuta dal paziente per la prestazione, che include anche una quota spettante alla struttura sanitaria pubblica, assume la qualità di pubblico ufficiale per quella specifica fase di riscossione.

Commette peculato il medico che incassa l’intera parcella dal paziente e non versa la quota dovuta all’ospedale?
Sì. La sentenza stabilisce che tale condotta integra il delitto di peculato. Il medico, incassando l’intera somma, acquisisce la disponibilità di denaro che in parte appartiene alla pubblica amministrazione per ragioni del suo ufficio. Appropriarsene costituisce reato.

È sufficiente che il difensore abbia un altro impegno professionale per ottenere il rinvio di un’udienza?
No. La Corte ha ribadito che il legittimo impedimento del difensore deve essere provato rigorosamente. Non basta comunicare un impegno concomitante; il difensore deve dimostrare l’assoluta impossibilità a partecipare, l’essenzialità della sua presenza nell’altro processo e l’impossibilità di farsi sostituire da un collega.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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