Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 28872 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 28872 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME NOME nato a Clusone il 27/03/1941
avverso la sentenza emessa il 25 ottobre 2024 dalla Corte d’appello di Potenza
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto dei ricorsi; uditi i difensori del ricorrente, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME quale sostituto processuale dell ‘Avv. NOME COGNOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Potenza, per quanto rileva in questa Sede, ha assolto NOME COGNOME dagli addebiti relativi ai punti 1), 4), 5), 6), 7), 8), 9), 10), 11), 12), 13), 14), 15), 16), 17), 18), 21), 22), 23) e 24) del capo 66) perché il fatto non costituisce reato; ha revocato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici; ha confermato la condanna di COGNOME per le condotte relative ai rimborsi residui indicati ai punti 19), 20), 25), 26), 27), 28), 30), 31) e 32) del medesimo capo 66), nonché per i rimborsi di cui ai
punti 1) e 2) del capo 18) e rideterminato la pena in anni due e mesi quattro di reclusione; ha confermato nel resto la sentenza di primo grado che ha ordinato la confisca delle somme sequestrate e condannato COGNOME in solido con i coimputati indicati in dispositivo, al risarcimento dei danni in favore della parte civile Regione Basilicata, da liquidarsi in separata sede.
La condanna attiene alle condotte commesse dall’imputato, nella qualità di Assessore e consigliere regionale della Regionale Basilicata, nonché di capogruppo consiliare del Partito Democratico, nel periodo compreso tra gennaio e maggio 2010 e da maggio 2010 a dicembre 2011. COGNOME è stato ritenuto responsabile dell’appropriazione delle somme oggetto di anticipo me nsile per spese di segreteria e di rappresentanza, rimborsabili ai consiglieri ai sensi dell ‘art. 11 legge regionale n. 8/1998 (capo 66), nonché dei contributi per il funzionamento dei gruppi consiliari previsti dall’art. 6 della medesima legge regionale (capo 18), attraverso la trasmissione ai competenti uffici regionali di documentazione fiscalecontabile relativa a spese non sostenute o non ammissibili al rimborso.
La medesima sentenza ha inoltre assolto NOME COGNOME (cugino di COGNOME, nonché suo consulente-commercialista), al quale erano state contestate le medesime condotte di peculato, quale concorrente extraneus di COGNOME, per non aver commesso il fatto, avendo costui svolto compiti meramente esecutivi, quali il pagamento di talune spese o il ritiro delle merci, in assenza, tuttavia, di prova di un suo contributo consapevole rispetto alla determinazione di COGNOME.
NOME COGNOME propone due separati ricorsi per cassazione a firma degli Avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME con i quali vengono dedotti i motivi di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione di legge e vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione relativa alla conferma del giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo 66), limitatamente alle spese di cui ai punti 19), 20), 25), 26), 27), 28), 30), 31) e 32), ed al reato di cui al capo 18), limitatamente alle spese indicate ai punti 1) e 2) . Violazione della regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
Si afferma, infatti, che la motivazione sulla responsabilità di COGNOME, cui la Corte è pervenuta sulla base dell’inversione dell’onere probatorio tra accusa e difesa, si snoda lungo due direttrici: 1) l’alterazione dei giustificativi di spesa; 2) l’attribuibilità delle condotte decettive a COGNOME, risultando buona parte dei costi portati al rimborso riferibili al COGNOME, ossia ad un soggetto formalmente estraneo alla segreteria organizzativa e/o istituzionale dell’imputato
Nel censurare le conclusioni cui sono pervenuti i Giudici di merito, si rileva che: come risulta dalla delibera n. 38 del 2012, la delibera n. 257/2000 non conteneva una specifica individuazione delle spese rimborsabili; la sola mancanza
di giustificazione dell’impiego della somma erogata non comporta automaticamente l’illiceità della spese; nel caso di specie, non è stata offerta prova certa dell’appropriazione, in quanto il rendiconto delle spese si risolveva nella presentazione di documenti contabili ontologicamente generici; il giudizio di responsabilità si fonda solo sulla mancanza di adeguata documentazione giustificativa, senza alcuna valutazione: a) del rapporto tra spese lecite e spese e risultate illecite; b) della loro non inerenza; c) della obiettiva saltuarietà dell’agire illecito; d) della sussistenza del dolo del ricorrente; e) degli omessi controlli amministrativi di competenza dell’Ufficio di Presidenza Sulla configurabilità del peculato.
In particolare, con riferimento alle singole spese, si deduce:
a) quanto alla spesa di cui al punto 19), che COGNOME ha utilizzato per il pagamento una carta di credito, e, a fronte di tale dato, il giudizio di responsabilità, incontestata l’inerenza della spes a, si fonda sulla sola alterazione del numero di pasti, da quattro a quattordici, indicato nella ricevuta fiscale;
b) quanto alla spesa di cui al punto 20), per la sua sovrapponibilità rispetto alle spese di cui ai punti da 21) a 24), deve ritenersi che la Corte sia incorsa in un mero errore nel non includerla nella pronuncia di assoluzione: si eccepisce inoltre, l’intervenuta prescrizione , trattandosi di una spesa sostenuta il 27/12/2010;
c) quanto alle spese di cui ai punti 25), 26), 27) e 28), oltre a trattarsi di spese pacificamente rimborsabili, si rileva la contraddittorietà della motivazione, fondata esclusivamente sul fatto che tali spese sono state sostenute da COGNOME. Si segnala al riguardo che: il fatto è stato commesso con modalità identiche a quelle di cui alla spesa indicata al punto 1); COGNOME era il commercialista di COGNOME ed aveva la delega ad operare sul suo conto corrente; gli estratti conto indicavano l’indirizzo del commercialista COGNOME
d) quanto alle spese di cui ai punti 30), 31) e 32), si rileva che è irrilevante il «tragitto» degli assegni (emessi da COGNOME all’ordine di s é medesimo, girati per l’incasso e versati sul conto di COGNOME su cui aveva la delega ad operare). In particolare, la tesi secondo cui COGNOME non ha effettuato alcun pagamento è priva di pregio in quanto non è rilevante chi abbia provveduto alla provvista, ma solo ed esclusivamente che le forniture fossero destinate a COGNOME, cosa realmente accaduta. Inoltre, non può escludersi che attraverso gli assegni tratti a favore di sé stesso sul conto corrente di COGNOME, COGNOME abbia inteso dare formale copertura contabile ad anticipazioni fatte dal medesimo, in contanti, nell’interesse del consigliere regionale. È, inoltre, indimostrata la riferibilità a COGNOME dell’alterazione dei documenti contabili originali custoditi dalle ditte emittenti;
e) quanto alle spese di cui al punto 1) e 2) del capo 18) , si rileva l’insufficienza degli accertamenti svolti dal teste COGNOME. Le spese, infatti, sono state pagate con
denaro contante e non può fondatamente ipotizzarsi alcun comportamento fraudolento del ricorrente, potendo, anzi, ascriversi la difficoltà di accertamento al disordine contabile dei ristoratori.
2.2. Violazione di legge e vizio della motivazione relativa alla qualificazione giuridica della condotta ai sensi dell’art. 314 cod. pen., anziché ai sensi degli artt. 314bis o 316te r cod. pen. Tale motivo è stato ulteriormente illustrato con i motivi aggiunti.
In particolare, si rileva la riconducibilità delle condotte ascritte a Viti a mere distrazioni di danaro, oggetto degli indebiti rimborsi, destinate a finalità solo parzialmente personali e, comunque, sottratte alla finalità pubblica in termini non definitivi, ma meramente transeunti. Infatti, ai sensi dell’art. 8, comma 4, legge regionale n. 8 del 1998, nel caso in cui le irregolarità emerse in sede di rendicontazione, e, quindi, di verifica dell’inerenza delle spese portate al rimborso a fini istituzionali non siano sanate nel termine di trenta giorni dal rilievo, l’Ufficio di Presidenza può trattenere dai contributi relativi all’anno successivo una somma pari all’importo dei contributi non regolarmente spesi dal gruppo.
Ciò comporta, dunque, la qualificabilità di siffatte condotte ai sensi dell’articolo 314bis cod. pen., avendo, peraltro, la Corte territoriale omesso di valutare che l’evento da cui dipende l’esistenza di tale reato non è dovuto alla condotta dell’odierno ricorrente, ma è stato favorito dagli omessi controlli dell’Ufficio regionale preposto.
In alternativa, quanto alla possibile qualificazione ai sensi dell’art. 316 -ter cod. pen., si rileva che nel caso in esame non è configurabile il delitto di peculato in quanto manca il presupposto del possesso o della disponibilità giuridica del danaro da parte del ricorrente, che si è limitato a conseguire il rimborso delle spese sostenute sulla base di specifiche istanze corredate da documentazione contabile, talvolta ritenuta inadeguata a giustificare l’inerenza della spesa, giovandosi dei controlli a maglie larghe dell’Ufficio di Presidenza.
2.3. Violazione di legge, mancanza ed illogicità della motivazione in relazione al diniego dell’attenuante di cui all’art. 323 -bis cod. pen., stante la significativa riduzione dei rimborsi, in relazione ai quali è stato ravvisato il reato di peculato e l’ammontare complessivo delle somme indebitamente percepite, che si attesta sotto la soglia dei 10.000 euro. Tale motivo è stato ulteriormente illustrato con i motivi aggiunti in cui si è sollecitata una valutazione dell’entità del fatto in relazione ad ogni singola condotta di peculato.
2.4. Violazione di legge, mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione relativa al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 , cod. pen. stante la tenuità del danno patrimoniale cagionato sulla base dei rimborsi qualificati come indebiti.
2.5. Violazione di legge in relazione alla prescrizione del reato e alla sospensione del suo corso. Mancanza di motivazione sulla intervenuta prescrizione del reato nel giudizio di appello. Il motivo è stato ulteriormente illustrato con i motivi aggiunti.
Si deduce, in particolare, l’incertezza sull’individuazione della decorrenza della prescrizione, nonché l’erroneo calcolo della sospensione del termine di prescrizione, non potendosi considerare i giorni trascorsi dal 21 ottobre 2022 al 7 luglio 2023, trattandosi di un rinvio disposto per la sola indisponibilità dei difensori degli imputati a concludere alla data del 21/10/22 e, dunque, per l’esercizio del diritto di difesa. Ciò in ragione del fatto che, alla stregua dell’ avviso di udienza, fissata a seguito di rinvio di ufficio disposto con il decreto del 10/3/22 per la compresenza di più processi complessi da trattare all’udienza del 18/3/22, doveva ritenersi imprevedibile per le parti la destinazione alla discussione dell’ udienza del 21/10/22.
Si lamenta, inoltre, la violazione dell’art. 159 c od. pen. che indica in sessanta giorni il termine massimo di sospensione della prescrizione.
Infine, con i motivi aggiunti si è dedotto che, nel caso di specie, il reato deve considerarsi consumato nel momento in cui il numerario, già nella disponibilità del soggetto agente, è stato illecitamente distratto verso finalità diverse, incompatibili con la destinazione pubblicistico istituzionale. Ne consegue, pertanto, che il termine di prescrizione deve computarsi dalla giorno della spesa, ovvero dal giorno in cui è cessata la continuazione. Si è, inoltre, rilevato il carattere apparente della motivazione attraverso la quale la Corte territoriale ha ritenuto di calcolare la sospensione del termine di prescrizione in un anno, un mese e ventisette giorni, senza peraltro individuare il cd. atto interruttivo intermedio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Preliminarmente, rileva il Collegio che, come dedotto dal ricorrente, la Corte territoriale è incorsa in un evidente errore materiale là dove ha omesso di inserire in dispositivo la spesa di cui al punto 20) tra le spese in relazione alle quali ha assolto il ricorrente. Risulta, infatti, dalla motivazione della sentenza che la spesa in questione è stata valutata unitamente a quelle di cui ai punti 21) e 24) quale spesa in relazione alla quale si è ritenuta carente la prova della sua insussistenza, non potendosene escludere la riferibilità ai collaboratori di COGNOME con la conseguente configurabilità di una mera irregolarità contabile.
Dovendosi, in tal caso, accordare prevalenza alla motivazione, in quanto chiaramente espressiva della volontà del Collegio, va, dunque, disposta la
correzione del dispositivo della sentenza impugnata nel senso dell’inserimento, nel punto 7, del numero ’20’ tra i numer i ’18’ e ’21’.
Ciò premesso, prima di esaminare i singoli motivi di ricorso, occorre ricostruire la disciplina applicabile al caso in esame con riferimento ai contributi spettanti ai consiglieri regionali sia per le spese di segreteria e rappresentanza che per il per il funzionamento dei gruppi consiliari.
Si tratta degli artt. 6 e 11 della legge regionale della Basilicata n. 8 del 2 febbraio 1998, intitolata ‘Nuova disciplina delle strutture di assistenza agli organi di direzione politica ed ai gruppi consiliari della Regione Basilicata’.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 11, a ciascun consigliere spetta una somma a titolo di rimborso delle spese di segreteria e di rappresentanza finalizzata a rendere possibile l’esercizio del mandato, restando escluso ogni vincolo di mandato (art. 11).
L’art. 6 prevede, inoltre, l’assegnazione a ciascun gruppo consiliare di un contributo annuo a carico dei fondi a disposizione del Consiglio regionale sulla base di un importo definito, per ciascun gruppo, annualmente dall’ufficio di presidenza sentito il parere della conferenza dei capi gruppo, da corrispondersi in rate mensili. Tale contributo può essere utilizzato per le spese organizzative, di rappresentanza, di funzionamento, di aggiornamento, studio e documentazione, comprese le acquisizioni di consulenze qualificate di esperti, nonché’ la stipula di convenzione con agenzie, società o cooperative di servizi per l’acquisizione di servizi ed assistenza amministrativa, per far conoscere l’attività dei gruppi consiliari e quale contributo per spese postali, di cancelleria e telefoniche (comma 2).
Il successivo art. 7 prevede, inoltre, un obbligo di rendicontazione annuale delle spese sostenute dal gruppo consiliare.
Il rendiconto , relativo alle spese sostenute nell’anno precedente, va redatto dal presidente del gruppo consiliare, entro il 31 marzo di ogni anno, va approvato del relativo gruppo e, infine, va depositato presso l’ufficio di presidenza del Consiglio regionale.
Quindi, ai sensi del successivo art. 8, entro il 30 giugno di ogni anno, l’ufficio di presidenza procede alle verifiche dei rendiconti presentati da ciascun gruppo consiliare e, ove riscontri delle irregolarità, assegna un termine per la regolarizzazione che, ove non rispettato, consente il trattenimento dai contributi relativi all’anno successivo di una somma pari agli importi ritenuti non regolarmente spesi dal gruppo.
Risulta, inoltre, dalle sentenze di merito che, ai sensi dell’art. 5 della deliberazione n. 357 del 25/9/2000 dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio della
Regione Basilicata, tali contributi venivano corrisposti con rate mensili anticipate ai gruppi consiliari e ai singoli consiglieri, i quali erano successivamente tenuti a presentare con cadenza periodica il rendiconto dell’utilizzazione dei contributi ricevuti nell’esercizio precedente, corredato dalla documentazione giustificativa delle spese.
Passando all’esame del primo motivo di ricorso, rileva il Collegio che, in disparte il dedotto errore materiale, le censure formulate dal ricorrente non superano il vaglio di ammissibilità in quanto interamente versate in fatto, di contenuto meramente confutativo e generiche.
Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la sua responsabilità non si fonda su mere irregolarità contabili, ma sulla allegazione di documenti contraffatti ovvero di ricevute di spese sostenute da NOME COGNOME soggetto con il quale, in disparte il dedotto rapporto di contenuto privatistico, COGNOME non aveva alcun rapporto di collaborazione correlato al suo ruolo istituzionale e rilevante ai sensi della citata disciplina regionale.
La Corte territoriale, infatti, con motivazione persuasiva ed immune da vizi logici o giuridici, completamente trascurata dal ricorrente, ha posto a fondamento della conferma del giudizio di responsabilità i seguenti elementi, desunti dalle risultanze probatorie di cui si è dato conto in sentenza:
quanto alla spesa di cui al punto 19), la prova della falsificazione della fattura presentata da COGNOME, sia nel numero di pasti (da 4 a 14 ) che nell’ importo (da 80,00 euro a 280,00 euro, è stata desunta dall’accertamento svolto presso il ristoratore dal quale è emerso che lo scontrino del pagamento di COGNOME ammontava a 80 euro mentre l’intero importo incassato nella giornata era pari a 140 euro. L’elemento psicologico del reato è stato, infine, desunto dalla valutazione de ll’interesse esclusivo di COGNOME ad alterare la fattura al fine di consolidare la spesa per un importo superiore di 200 euro a quello sostenuto;
quanto alle spese di cui ai punti 25), 26), 27) e 28), la Corte territoriale, con motivazione adeguata e ancorata alle risultanze probatorie, in particolare, alla deposizione resa dal ristoratore, ha ritenuto dirimenti, ai fini della responsabilità di COGNOME, le circostanze relative alla loro inerenza a spese sostenute da COGNOME, come detto estraneo alla cerchia di collaboratori di COGNOME, per occasioni, quali cene di famiglia o con amici, completamente estranee alle finalità istituzionali. Tali circostanze rendono le spese in esame non assimilabili a quelle di cui al punto 1), relative, invece, ad un collaboratore di COGNOME;
quanto alle spese di cui ai punti 30), 31) e 32), gli argomenti spesi dal ricorrente, oltre a risolversi in mere censure di merito, hanno anche un contenuto congetturale ed esplorativo nella parte in cui ipotizzano una loro giustificabilità
sulla base di asseriti rapporti interni tra COGNOME e COGNOME. In ogni caso, tali censure omettono di confrontarsi criticamente con l’argomento centrale del giudizio di responsabilità, ovvero gli accertamenti svolti sia presso le ditte che avevano fornito apparentemente il materiale di cancelleria sia presso gli istituti bancari interessati, dai quali è emerso che COGNOME non aveva effettuato alcun pagamento delle fatture in questione. Tali fatture, inoltre, sono risultate alterate rispetto ai documenti originali custoditi presso le ditte emittenti, che risultavano averle emesse nei confronti di altri soggetti non riconducibili a Viti;
d) quanto alle spese di cui al punto 1) e 2) del capo 18), la sentenza impugnata ha adeguatamente argomentato in merito alla responsabilità di COGNOME in considerazione della dirimente circostanza relativa alla oggettiva inesistenza della spesa e alla accertata falsificazione delle fatture presentate da COGNOME, in un caso, nella data e nell’importo (si tratta di quella relativa a spesa di ristorazione per euro 323, che dagli accertamenti contabili presso il ristorante è risultata frutto della alterazione della fattura originale dell’importo di euro 23 e relativa ad un pasto apparentemente sostenuto in una data in cui il ristorante era chiuso) o solo nell’importo, el evato da 70 a 270 euro.
4. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
L’elemento dirimente ai fini della qualificazione giuridica , ai sensi dell’art. 314 cod. pen., delle condotte appropriative ascritte al ricorrente è stato correttamente individuato dalla sentenza impugnata nella diretta disponibilità del denaro erogato ai singoli consiglieri a titolo di contributo per il funzionamento del gruppo consiliare di appartenenza o per le spese di segreteria e rappresentanza. Ciò in del meccanismo di erogazione anticipata dei contributi spettanti ai consiglieri regionali, descritto al punto 2.
Invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, dal quale il Collegio non intende discostarsi, la nozione di possesso assunta dall’art. 314 cod. pen. ha un significato più ampio di quello civilistico. Si ritiene, infatti, non necessario che il pubblico ufficiale abbia la materiale detenzione o la diretta disponibilità del denaro, essendo sufficiente la disponibilità giuridica, ossia la possibilità di disporne, mediante un atto di sua competenza o connesso a prassi e consuetudini invalse nell’ufficio, e di conseguire quanto poi costituisca oggetto di appropriazione (tra le tante, Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 257385; Sez. 6, n. 7492 del 18/10/2012, COGNOME, Rv. 255529; Sez. 6, n. 11633 del 22/01/2007, Guida, Rv. 236146). Tale nozione di possesso è stata declinata dalla più recente giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, sottolineandosi la necessità, affinché possa configurarsi una disponibilità giuridica del bene, che il rapporto tra il pubblico ufficiale e la ‘cosa’ sia connotato, da un lato, dal dovere
di custodia del bene, e, dall’altro, dal potere, esercitabile in autonomia, di attribuire alla stessa una diversa destinazione (Sez. 6, n. 11341 del 17/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284577 -03; Sez. 6, n. 29678 del 7/7/2022, COGNOME; Sez. 6, n.40595 del 2/3/2021, COGNOME, in motivazione).
Sulla base di tale condivisibile premessa ermeneutica, si è, dunque, ritenuto che la disponibilità giuridica del denaro spetta soltanto a chi ha un ‘potere di firma’, circostanza, quest’ultima, che, come anticipato, risulta sussi stente nel caso in esame proprio in ragione della specifica disciplina regionale.
Ulteriore tassello idoneo a confermare la correttezza della qualificazione giuridica delle condotte ascritte a COGNOME attiene, infine, alla natura delle spese per cui ne è stata confermata la penale responsabilità.
Contrariamente a quanto assume il ricorrente, peraltro in termini meramente apodittici, la condanna attiene a spese che, con riferimento ad entrambi i contributi erogati, sono risultate non sostenute da Viti o, comunque, assolutamente incompatibili con le finalità pubblicistiche e, in particolare con la legittima destinazione dei contributi ricevuti, trattandosi di spese documentate da fatture false, evidentemente utilizzate per consolidare definitivamente il possesso del denaro ricevuto (cfr. Sez. 6, n. 46799 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274282) o riferibili a soggetti estranei al ruolo pubblico di Viti.
Sulla base di tali ineccepibili considerazioni, completamente trascurate dal ricorrente, che continua ad insistere, in termini meramente apodittici, sulla provvisorietà della destinazione dei contributi ricevuti a finalità solo parzialmente personali, la Corte territoriale, valorizzando le modalità delle condotte appropriative sopra descritte, di fatto incompatibili con la tesi difensiva, ha legittimamente escluso la configurabilità nel caso di specie del reato di cui all’art. 314bis cod. pen.
Così facendo, si è fatta corretta applicazione de ll’indirizzo ermeneutico , dal Collegio condiviso e ribadito, secondo il quale il delitto di indebita destinazione di denaro o cose mobili, di cui all’art. 314bis cod. pen., introdotto dall’art. 9, comma 1, d.l. 4 luglio 2024, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 2024, n. 112, sanziona le condotte distrattive che non comportano una perdita definitiva dei beni per la pubblica amministrazione e che, nella disciplina previgente, la giurisprudenza di legittimità inquadrava nella fattispecie abrogata dell’abuso di ufficio, sicché l’ambito applicativo del delitto di peculato, già in precedenza limitato alle sole appropriazioni distrattive, ossia effettuate per finalità esclusivamente private, non risulta modificato dall’introduzione della nuova fattispecie incriminatrice (Sez. 6, n. 18587 del 12/02/2025, COGNOME, Rv. 288058; Sez. 5, n. 10398 del 14/02/2025, Duca, Rv. 287780 – 03; Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287453 – 02).
Le considerazioni sopra esposte in merito alla anticipata erogazione dei contributi spettanti ai consiglieri regionali e alla disponibilità diretta del denaro erogato a tale titolo da parte di COGNOME, rivelano, infine, la manifesta infondatezza della invocata ri qualificazione della condotta ai sensi dell’art. 316 -ter cod. pen., per la cui configurabilità è necessaria la mancanza di disponibilità del bene oggetto di indebita percezione (cfr. Sez. 6, n. 40595 del 02/03/2021, COGNOME, Rv. 282742).
5. Il terzo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Va, innanzitutto, ribadito che in tema di delitti contro la Pubblica Amministrazione, la circostanza attenuante speciale prevista per i fatti di particolare tenuità si riferisce al fatto nella sua globalità e ricorre quando il reato, valutato in tutti i suoi elementi, presenti una gravità contenuta, dovendosi a tal fine considerare, a differenza dell ‘ attenuante di cui all ‘ art. 62, n. 4, cod. pen., non soltanto l’entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ogni caratteristica della condotta, dell’atteggiamento soggettivo dell’agente e dell’evento da questi determinato (Sez. 6, n. 30178 del 23/05/2019, COGNOME, Rv. 276280; Sez. 6, n. 14825 del 26/02/2014, Di, Rv. 259501 ).
Dal complessivo tessuto argomentativo della sentenza impugnata emerge che la Corte territoriale ha correttamente applicato tale regula iuris ed ha considerato, quale elemento ostativo alla concessione della invocata attenuante, la gravità complessiva del fatto, desumibile dalla ricostruzione delle modalità delle singole condotte appropriative ascritte, e l’entità del rimborso conseguito . A tal fine la Corte territoriale ha indicato, come esempio, proprio quello relativo alle spese di cancelleria, risultate inesistenti e aventi un valore complessivo di 7.300 euro.
Anche il quarto motivo non supera il vaglio di ammissibilità in ragione della sua manifesta infondatezza. La sentenza impugnata, con motivazione sintetica, ma immune da vizi logici o giuridici, ha, infatti legittimamente valorizzato l’entità , non esigua, del lucro conseguito da COGNOME attraverso le richieste di rimborso per spese inesistenti.
Il quinto motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
7.1. In primo luogo, diversamente da quanto afferma il ricorrente, dall’esame delle sentenze di merito non emerge alcuna incertezza sulla individuazione del dies a quo del termine di prescrizione. Dalla sentenza di primo grado risulta, infatti, che, sulla base della deposizione del teste COGNOME, il Tribunale ha considerato la data di approvazione del rendiconto ed ha, quindi, fatto
riferimento, in base alle annualità delle spese di cui COGNOME ha chiesto il rimborso, alle date del 31/3/2011 e del 31/3/2012.
Si tratta di una valutazione che, oltre a non essere stata oggetto di specifiche censure con l’atto di appello, appare pienamente coerente con la disciplina analizzata al punto 2., individuando il tempus della interversio possessionis nel momento in cui, con l’approvazione del rendiconto , si consolida definitivamente il possesso del denaro, anticipatamente erogato a titolo di contributo. Tale fase rappresenta, infatti, il momento finale in cui, in mancanza di rilievi in merito all’entità delle spese sostenute, da cui possono ancora scaturire eventuali conguagli con i contributi dovuti per l’anno su ccessivo, si consolida definitivamente il possesso del denaro.
A tale riguardo, a nulla rileva l ‘ omessa formulazione di rilievi da parte dell ‘ Ufficio di Presidenza nel corso del controllo sulle spese rendicontate, in quanto si tratta di circostanze meramente accidentali, che non risultano in alcun modo correlate a condivise strategie con l ‘ organo di controllo e, comunque, non incidenti sulla condotta del ricorrente volta, in ogni caso, ad appropriarsi definitivamente del denaro ricevuto imputandolo a spese mai sostenute da Viti o, in taluni casi, sostenute da NOME
7.2. È, inoltre, manifestamente infondata la doglianza relativa alla non computabilità, quale causa di sospensione della prescrizione, del rinvio dell’udienza dal 20 /10/2022 al 7/7/203, rinvio determinato dalla indisponibilità dei difensori a concludere, una volta terminata la requisitoria del Procuratore Generale. In particolare, è priva di pregio l’argo mentazione relativa alla asserita imprevedibilità della dest inazione alla discussione dell’udienza del 20/10/22 . Tale argomento, infatti, appare palesemente distonico rispetto al modello processuale proprio del giudizio di appello nel quale, in di sparte l’eventualità , del tutto eccezionale, della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale , in ragione della presunzione di completezza dell’istruttoria dibattimentale di primo grado (cfr. Sez. 3, n. 13888 del 27/01/2017, Rv. 269334), la prima udienza, una volta verificata la regolarità del contraddittorio, è di regola destinata alla discussione.
In occasione del rinvio in questione, disposto su richiesta dei difensori, è stata, dunque, legittimamente disposta la sospensione della prescrizione, dovendosi, a tal fine, ribadire che il rinvio del processo disposto su richiesta del difensore dell’imputato comporta, ex art. 159, comma primo, n. 3), cod. pen., la sospensione del termine di prescrizione per l’intera durata del differimento, a prescindere dalle ragioni fondanti la richiesta e indipendentemente dall’accordo o dall’opposizione del Pubblico ministero o della parte civile (Sez. 2, n. 6798 del 30/01/2025, COGNOME, Rv. 287552 – 02).
Erra, ancora, il ricorrente là dove lamenta la violazione dell’art. 159, n. 3, cod. pen. in relazione all’omesso computo di soli sessanta giorni, quale periodo di sospensione della prescrizione . Tale limitazione, infatti, riguarda soli l’ipotesi, non ricorrente nel caso in esame, di rinvio del processo per impedimento delle parti o dei difensori.
Sulla base delle considerazioni sopra esposte, nonché del complessivo periodo di sospensione della prescrizione risultante dal fascicolo processuale (la scheda ex art. 165 disp. att. cod. proc. pen. indica 452 giorni, omettendo, tuttavia, di considerare anche l’ulteriore sospensione della prescrizione disposta in occasione del rinvio dell’udienza dall’1/3/24 al 13/9/24) , deve escludersi che alla data della sentenza impugnata fossero già maturati i termini di prescrizione delle condotte ascritte al ricorrente.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Dispone la correzione del dispositivo della sentenza impugnata nel senso dell’inserimento, nel punto 7, del numero “20” tra i numeri “18” e “21”. Così deciso il 17 giugno 2025