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Peculato: la differenza con l’indebita destinazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per peculato a carico di un’assistente amministrativa che, svolgendo funzioni superiori, si era appropriata di fondi pubblici. La sentenza chiarisce due principi fondamentali: primo, nel giudizio di rinvio, il giudice può esaminare solo i punti annullati dalla Cassazione, formandosi una preclusione sugli altri. Secondo, il nuovo reato di indebita destinazione (art. 314-bis c.p.) non si applica ai casi di appropriazione diretta di denaro per fini privati, che restano qualificati come peculato, ma solo alle condotte di distrazione di fondi verso un fine pubblico diverso da quello previsto.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato: Appropriazione Privata non è Indebita Destinazione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 10377/2025) offre un’analisi cruciale sul delitto di peculato e sulla sua distinzione con la nuova fattispecie di indebita destinazione, chiarendo anche importanti aspetti procedurali legati al giudizio di rinvio. La Corte ha confermato la condanna per peculato nei confronti di una dipendente pubblica che si era appropriata di fondi, stabilendo che tale condotta non può essere confusa con un semplice uso diverso del denaro pubblico.

I fatti del caso: l’appropriazione di fondi scolastici

Il caso riguarda un’assistente amministrativa di un istituto scolastico che, svolgendo temporaneamente le funzioni di Direttore dei servizi generali e amministrativi (DSGA), si appropriava della somma di 3.800,00 euro. L’appropriazione avveniva tramite l’emissione di quattro mandati di pagamento a proprio favore, giustificati con causali fittizie e non corrispondenti ad alcuna attività effettivamente svolta. La difesa sosteneva che tali somme rappresentassero un’anticipazione di un premio di produttività a cui la dipendente avrebbe avuto diritto in un momento successivo, cercando di configurare l’azione come un errore in buona fede.

L’iter processuale e i motivi del ricorso

Il percorso giudiziario è stato particolarmente complesso, caratterizzato da annullamenti e rinvii. La Corte di appello, in una prima fase, aveva assolto l’imputata escludendo l’elemento soggettivo del reato (il dolo). Tuttavia, a seguito del ricorso del Procuratore Generale, la Cassazione annullava tale assoluzione, rinviando il caso per una nuova valutazione proprio su questo punto. La Corte di appello, nel successivo giudizio di rinvio, confermava la condanna, ritenendo provata la piena consapevolezza dell’illegittimità della condotta.

L’imputata ricorreva nuovamente in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui:
1. Violazione delle regole del giudizio di rinvio: secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto riesaminare l’intero caso e non solo l’elemento soggettivo.
2. Mancanza di dolo: si ribadiva la tesi dell’errore e della buona fede.
3. Richiesta di derubricazione: si chiedeva di riqualificare il fatto nel nuovo e meno grave reato di “indebita destinazione di denaro” (art. 314-bis c.p.), introdotto nel 2024.

La decisione della Cassazione sul peculato e il giudizio di rinvio

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna per peculato. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi di grande rilevanza.

La preclusione processuale sui punti non impugnati

Innanzitutto, la Corte ha chiarito l’ambito del giudizio di rinvio. Quando la Cassazione annulla una sentenza limitatamente a uno specifico punto (in questo caso, l’elemento soggettivo), su tutte le altre questioni già decise e non oggetto di impugnazione (come l’elemento oggettivo del reato) si forma una “preclusione processuale”. Ciò significa che tali punti sono da considerarsi definitivi e non possono essere nuovamente messi in discussione. Il giudice del rinvio, pertanto, era correttamente vincolato a riesaminare solo la sussistenza del dolo, senza poter riaprire l’intero processo.

Peculato: la distinzione con la nuova indebita destinazione

Il punto più innovativo della sentenza riguarda la distinzione tra peculato e il nuovo reato di indebita destinazione. La difesa sperava in una riqualificazione più favorevole, ma la Cassazione ha tracciato un confine netto.

La natura della condotta: appropriazione vs. distrazione

La Corte ha spiegato che l’art. 314-bis c.p. è stato introdotto per punire le condotte di “abuso distrattivo”, precedentemente inquadrate nell’abrogato abuso d’ufficio. Tale reato si configura quando un pubblico ufficiale destina fondi pubblici a un fine diverso da quello previsto dalla legge, ma pur sempre compatibile con le finalità istituzionali dell’ente. Un esempio potrebbe essere l’uso di fondi destinati alla manutenzione stradale per finanziare un evento culturale pubblico.

Il peculato, invece, riguarda una condotta puramente “appropriativa”, in cui il pubblico ufficiale sottrae il denaro alla sua destinazione pubblica per soddisfare interessi meramente privatistici. Nel caso di specie, l’imputata non ha destinato i fondi a un diverso scopo pubblico, ma se ne è impossessata per un vantaggio personale, utilizzando causali fittizie per mascherare l’operazione. Questa è la condotta tipica del peculato.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso affermando che l’utilizzo di causali false sui mandati di pagamento era una prova inconfutabile della piena consapevolezza dell’imputata di agire illecitamente. Tale stratagemma dimostra il dolo generico richiesto per il reato di peculato, ovvero la coscienza e volontà di appropriarsi di un bene della pubblica amministrazione. La tesi dell’errore o della buona fede è stata ritenuta incompatibile con una condotta così chiaramente finalizzata a occultare la vera natura del prelievo. Inoltre, la Corte ha stabilito che la richiesta di derubricazione al nuovo art. 314-bis c.p. era infondata, poiché la norma si applica a condotte “distrattive” e non “appropriative” come quella in esame. La distinzione, secondo la Corte, è netta: l’indebita destinazione sanziona un mutamento del fine pubblico, mentre il peculato punisce l’impossessamento privato.

Le conclusioni

La sentenza consolida un importante principio di procedura penale sull’effetto preclusivo del giudicato parziale nel giudizio di rinvio. Soprattutto, fornisce la prima interpretazione autorevole del nuovo art. 314-bis c.p., tracciando una linea di demarcazione chiara con il delitto di peculato. L’appropriazione di denaro pubblico per fini privati rimane saldamente configurata come peculato, un reato ben più grave, mentre la nuova fattispecie è riservata ai casi in cui i fondi, pur deviati, rimangono all’interno di un perimetro di finalità pubblicistiche.

Qual è la differenza tra peculato e il nuovo reato di indebita destinazione?
Il peculato (art. 314 c.p.) è un’appropriazione di denaro o beni pubblici per un fine privato. L’indebita destinazione (art. 314-bis c.p.), invece, consiste nel destinare fondi pubblici a uno scopo pubblico diverso da quello previsto, senza un’appropriazione personale.

Dopo un annullamento della Cassazione su un punto specifico, il giudice del rinvio può riesaminare l’intero caso?
No. Secondo la Corte, il giudice del rinvio deve limitare il suo esame esclusivamente ai punti della sentenza che sono stati annullati dalla Cassazione. Sugli altri punti, non oggetto di annullamento, si forma una ‘preclusione processuale’ che li rende definitivi.

Come ha fatto la Corte a dimostrare l’intenzione criminale (dolo) nel caso di peculato esaminato?
La Corte ha ritenuto che il dolo fosse pienamente dimostrato dal fatto che l’imputata avesse utilizzato causali fittizie sui mandati di pagamento. Questo stratagemma, volto a mascherare la reale natura del prelievo di denaro, è stato considerato una prova chiara della consapevolezza di compiere un atto illecito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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