Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 17910 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 17910 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 04/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Cuglieri il 16 maggio 1956
avverso la sentenza del 23/5/2024 della Corte di appello di Cagliari
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto di accogliere il ricorso;
letta la memoria del 4 febbraio 2025, con cui la ricorrente ha reiterato le deduzioni formulate in ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 maggio 2024 la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza emessa il 27 aprile 2023 dal Tribunale della stessa città, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME in ordine ai reati ascrittile limitatamente agli episodi commessi fino a ottobre 2011, in quanto
estinti per prescrizione, e ha ridotto la pena ad anni tre e mesi due di reclusione; ha revocato la confisca e confermato nel resto.
L’imputata è stata ritenuta responsabile del delitto di peculato, per essersi, nella qualità di incaricata di pubblico servizio, ovvero segretaria amministrativa del Dipartimento Ricerche Economiche e Sociali e del Dipartimento Storico Politico Internazionale dell’Università di Cagliari, appropriata, tra giugno 2009 e il 22 dicembre 2011, di somme di denaro appartenenti all’Università, delle quali aveva la disponibilità per ragioni del suo ufficio. Ciò era avvenuto attraverso l’emissione di mandati di pagamento a firma sua e del Direttore del Dipartimento, che ella aveva formato inserendo una sottoscrizione apocrifa Direttore del Dipartimento o, in alcuni casi, genuina, ma carpita con l’inganno, sfruttando la fiducia in lei riposta dai diversi Direttori di Dipartimento e l’assenza di controllo da parte di questi ultimi. L’imputata aveva giustificato le appropriazioni, imputando le relative somme, in taluni casi, a spese economali anticipate quale segretaria amministrativa dei Dipartimenti (spese in realtà mai effettuate e mai documentate) e, in altri casi, a rimborsi relativi ad asserite prestazioni da lei personalmente anticipate (prestazioni in realtà mai effettuate), che ricollegava a progetti di ricerca finanziati da enti esterni, ai quali non aveva mai partecipato personalmente, o addirittura a progetti inesistenti, iscrivendo a bilancio nei sistemi informatici dei due Dipartimenti poste fittizie, per creare così delle entrate relative a tali progetti di ricerca che le consentivano di poter incassare i mandati.
Avverso la sentenza di appello il difensore dell’imputata ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito indicati.
3.1. Mancanza di motivazione in ordine alla colpevolezza della ricorrente. Non si comprenderebbe il ragionamento seguito dalla Corte territoriale, né quali elementi avessero fondato la responsabilità dell’imputata al di là di ogni ragionevole dubbio.
3.2. Violazione di legge, avendo i Giudici del merito erroneamente qualificato i fatti come peculato anziché come truffa, non essendo ravvisabile un nesso funzionale tra l’ufficio esercitato dall’imputata e il possesso del denaro, in quanto quest’ultimo era pervenuto nella disponibilità in seguito a condotte illecite, quali la contraffazione dei mandati di pagamento o la fraudolentemente conseguita loro sottoscrizione da parte dei Direttori del Dipartimento.
3.3. Mancanza di motivazione in merito al diniego delle attenuanti generiche, nonostante lo specifico motivo di appello, con cui l’imputata aveva rappresentato che, dopo la sentenza di primo grado, aveva provveduto al pagamento rateale delle somme, sottratte all’Università.
Con memoria del 4 febbraio 2025 la ricorrente ha reiterato le deduzioni formulate in ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e, quindi, l’instaurazione del rapporto processuale impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per essere il reato di peculato, ascritto all’imputata, estinto per prescrizione.
Il primo motivo, con cui la ricorrente ha censurato l’affermazione della sua responsabilità per il delitto di peculato, è privo di specificità.
La Corte territoriale ha sottolineato che l’appellante non aveva contestato di avere contraffatto i mandati di pagamento e tale risultanza, valutata alla luce sia delle testimonianze rese dai Direttori dei Dipartimenti, i quali avevano disconosciuto le loro firme apposte in originale sui mandati, sia dell’emissione di tutti i mandati in favore dell’imputata, che aveva, dunque, incassato le somme ivi indicate, consentiva di attribuire a quest’ultima la responsabilità degli episodi contestati.
A fronte di siffatte argomentazioni deve rilevarsi che l’impugnata pronunzia ha offerto una congrua ed esaustiva giustificazione del giudizio di colpevolezza formulato nei confronti della ricorrente, avendo esposto linearmente le conclusioni tratte dalla valutazione delle emergenze probatorie e puntualmente replicato alle deduzioni della difesa.
È orientamento costante di questa Corte quello secondo cui deve ritenersi inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione delle censure già dedotte in appello e puntualmente disattese dal Giudice di appello, dovendo gli stessi considerarsi non specifici, ma solo apparenti, in quanto omettono, in modo del tutto disancorato dal correlativo apparato motivazionale, di assolvere alla tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01; Sez. 6, n. 20377 dell’11/3/2009, COGNOME e altri, Rv. 243838 – 01).
Il secondo motivo del ricorso è infondato.
La Corte di appello ha ricordato che, se è vero che nel peculato l’agente ha già il possesso del denaro pubblico mentre nella truffa aggravata tale possesso è conseguito mediante artifizi e raggiri, è altresì vero che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che, nonostante la presenza di condotte decettive, il peculato è ugualmente configurabile quando il pubblico ufficiale esercita in
maniera non occasionale funzioni che gli permettono di concorrere alla formazione di atti dispositivi del denaro medesimo, esattamente come, nella specie, l’odierna imputata, la quale, nella sua qualità di segretaria, gestiva sia il fondo spese di entrambi i Dipartimenti, da cui poteva attingere per le spese pagabili in contanti, sia i rispettivi conti correnti, alimentati dai finanziamenti ricevuti e movimentat per il pagamento delle spese occorrenti.
La soluzione esegetica privilegiata, dalla Corte di appello di Cagliari, risulta in linea con il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità circa la differenza tra il delitto di peculato e quello di truffa, aggravato dall’abuso dell funzioni o violazione dei doveri inerenti a pubblico servizio. Si è reiteratamente evidenziato, infatti, che l’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello truffa aggravata, ai sensi dell’art. 61 n. 9 cod. pen., va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui, oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri, avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi, invece, la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (così, tra le molte, Sez. 6, n. 46799 del 20/06/2018, COGNOME Rv. 274282 – 01).
Nella sentenza impugnata è spiegato chiaramente che l’imputata aveva la gestione del denaro dei due Dipartimenti dell’Università di Cagliari ed emetteva i mandati, che riportavano la sua firma, oltre quella del Direttore del Dipartimento, carpita con inganno o falsificata. Gli artifici, quindi, sono stati posti in essere dal ricorrente non per conseguire la disponibilità del denaro ma per appropriarsene.
D’altro canto, le conclusioni cui è approdata la Corte distrettuale sono conformi all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito che è configurabile il delitto di peculato in relazione al denaro pubblico il cui possesso, per effetto delle norme interne dell’ente pubblico, che prevedono il concorso di più organi ai fini dell’adozione dell’atto dispositivo, fa capo congiuntamente a più pubblici ufficiali, anche se, di essi, quelli che emettono l’atto finale d procedimento non concorrono nel reato per essere stati indotti in errore da coloro che si sono occupati della fase istruttoria (così, in particolare, Sez. 6 n. 30637 del 22/10/2020, COGNOME, Rv. 279884 – 01; Sez. 6, n. 39039 del 15/04/2013, COGNOME, Rv. 257096 – 01; Sez. 6, n. 37030 del 10/06/2003, COGNOME, Rv. 227007 – 01).
Alla luce di quanto precede va rilevato che l’infondatezza del ricorso consente di dichiarare l’intervenuta estinzione del reato.
All’imputata è stato contestato di avere commesso il reato continuato di peculato da giugno 2009 al 22 dicembre 2011. Il Giudice di primo grado ha
dichiarato l’estinzione per prescrizione delle condotte commesse sino al 27 ottobre
2010 e la Corte di appello ha ritenuto maturata la prescrizione per le condotte poste in essere fino ad ottobre 2011.
Considerato che il reato di peculato era punito all’epoca dei fatti con la pena edittale massima di dieci anni, è abbondantemente decorso il termine di 12 anni
e 6 mesi, così che va dichiarata l’estinzione per prescrizione anche delle residue condotte.
5. L’ultimo motivo perde rilievo a fronte della declaratoria di estinzione del reato per prescrizione.
6. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, perché il reato è estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso il 4 aprile 2025.