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Peculato: la differenza con la truffa aggravata

La Corte di Cassazione interviene su un caso di appropriazione di fondi universitari da parte di una segretaria amministrativa. La sentenza chiarisce la distinzione tra peculato e truffa aggravata, sottolineando che si configura il peculato quando il pubblico ufficiale ha già la disponibilità del denaro per ragioni del suo ufficio. Gli artifici, come firme false, sono visti come meri strumenti per l’appropriazione, non per ottenere il possesso. Nonostante la correttezza della qualificazione del reato, la Corte ha annullato la sentenza per intervenuta prescrizione.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato vs. Truffa: La Cassazione Traccia la Linea di Confine

Introduzione al Caso: Peculato e Appropriazione di Fondi Pubblici

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sulla linea di demarcazione tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata. Il caso riguardava una segretaria amministrativa di un’università, accusata di essersi appropriata di ingenti somme di denaro pubblico. La decisione analizza in profondità la natura del possesso dei beni da parte del pubblico ufficiale, stabilendo un principio fondamentale per la corretta qualificazione del reato.

I Fatti del Processo

La vicenda vedeva come imputata una segretaria amministrativa di due Dipartimenti universitari. Tra il 2009 e il 2011, la donna si era appropriata di somme di denaro appartenenti all’ateneo. La sua strategia consisteva nell’emettere mandati di pagamento a proprio favore. Per farlo, utilizzava la sua firma e quella, a volte falsificata (apocrifa), a volte ottenuta con l’inganno, dei Direttori di Dipartimento, i quali riponevano in lei la massima fiducia e non esercitavano un controllo stringente.

Le appropriazioni venivano giustificate in vari modi fittizi:
* Come anticipi per spese economali mai sostenute.
* Come rimborsi per prestazioni personali mai effettuate, collegate a progetti di ricerca inesistenti o a cui lei non aveva mai partecipato.

In sostanza, l’imputata creava delle entrate fittizie nei sistemi contabili per poi poter incassare i mandati di pagamento.

La Questione Giuridica: Era Peculato o Truffa Aggravata?

La difesa dell’imputata ha sempre sostenuto che i fatti dovessero essere qualificati come truffa aggravata e non come peculato. La differenza non è solo nominale, ma ha conseguenze significative sul piano sanzionatorio. Secondo la tesi difensiva, il possesso del denaro non era preesistente, ma era stato ottenuto proprio attraverso gli artifici e raggiri (le firme false, le giustificazioni fittizie). Mancando il nesso funzionale tra il suo ufficio e il possesso del denaro, non si poteva parlare di peculato.

La Corte di Appello aveva respinto questa tesi, confermando la condanna per peculato. La questione è quindi giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La Distinzione secondo la Corte: Il Possesso per Ragioni d’Ufficio

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Ha ribadito il principio consolidato secondo cui l’elemento distintivo tra i due reati risiede nelle modalità di acquisizione del possesso del bene.
* Nel peculato, il pubblico ufficiale ha già il possesso o la disponibilità del denaro o della cosa mobile per ragione del suo ufficio o servizio. L’azione illecita consiste nell’appropriarsene.
* Nella truffa, il soggetto attivo non ha tale possesso e se lo procura fraudolentemente, inducendo altri in errore con artifici o raggiri.

Le Motivazioni

Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che l’imputata, in qualità di segretaria, aveva la gestione sia del fondo spese dei Dipartimenti sia dei conti correnti. Questo le conferiva la disponibilità giuridica e materiale del denaro pubblico. Le sue funzioni, quindi, le permettevano di concorrere alla formazione degli atti dispositivi del denaro stesso.

Gli artifici e i raggiri (le firme false e le causali fittizie) non sono stati utilizzati per ottenere la disponibilità del denaro, che lei già aveva in virtù del suo ruolo, ma sono stati il mezzo per portare a termine l’appropriazione. In altre parole, la frode era la modalità con cui si è concretizzata l’appropriazione di un bene già nella sua sfera di controllo. La Corte ha inoltre specificato che il reato di peculato è configurabile anche quando il possesso del denaro fa capo congiuntamente a più pubblici ufficiali, e uno di essi induce in errore gli altri per completare l’appropriazione.

Le Conclusioni

Pur ritenendo infondati i motivi del ricorso e corretta la qualificazione del reato come peculato, la Corte di Cassazione ha dovuto prendere atto di un altro fattore decisivo: il decorso del tempo. Al momento della decisione, il reato era ormai estinto per prescrizione. Di conseguenza, la Corte ha annullato la sentenza di condanna senza rinvio. La vicenda processuale si è quindi conclusa non con un’assoluzione nel merito, ma con una declaratoria di estinzione del reato, che ha di fatto cancellato gli effetti della condanna.

Qual è la differenza fondamentale tra il reato di peculato e quello di truffa aggravata per un pubblico ufficiale?
La differenza risiede nel possesso del bene. Si ha peculato quando il pubblico ufficiale ha già la disponibilità del denaro o del bene per ragioni del suo ufficio e se ne appropria. Si ha truffa, invece, quando il soggetto non ha tale possesso e se lo procura attraverso artifici e raggiri, inducendo altri in errore.

L’uso di artifici, come la falsificazione di firme, trasforma automaticamente il peculato in truffa?
No. Secondo la sentenza, se il pubblico ufficiale ha già la disponibilità dei fondi, gli artifici e i raggiri non servono a ottenere il possesso, ma sono semplicemente la modalità con cui si realizza l’appropriazione. Pertanto, il reato rimane peculato.

Cosa succede se un reato viene dichiarato estinto per prescrizione dalla Corte di Cassazione?
La Corte di Cassazione annulla la sentenza di condanna senza rinvio. Questo significa che il procedimento penale si conclude definitivamente e la condanna viene meno, non perché l’imputato sia stato ritenuto non colpevole, ma perché è trascorso il tempo massimo previsto dalla legge per perseguire quel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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