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Peculato intramoenia: la Cassazione fa chiarezza

Un dirigente medico, operante in regime di intramoenia, è stato accusato di peculato per non aver versato all’Azienda Sanitaria Locale le quote dovute per le visite private. La Corte di Cassazione ha rigettato il suo ricorso contro la misura interdittiva del divieto di esercitare la professione medica in regime di intramoenia. La Corte ha ritenuto inammissibili e infondati i motivi del ricorso, confermando la solidità degli indizi di colpevolezza basati su testimonianze, agende sequestrate e dichiarazioni del CUP manager, e respingendo le eccezioni procedurali sollevate dalla difesa.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato Intramoenia: Quando il Medico non Versa le Quote all’ASL

Il reato di peculato intramoenia rappresenta una specifica e delicata fattispecie che coinvolge i professionisti della sanità pubblica. Si configura quando un medico, autorizzato a svolgere attività libero-professionale, omette di versare all’Azienda Sanitaria Locale le somme di sua spettanza. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui profili di colpevolezza e sugli aspetti procedurali legati a questo illecito, confermando una misura interdittiva a carico di un medico.

I Fatti del Caso: Un Medico e le Visite Private

Il caso riguarda un dirigente medico di un’unità operativa, assunto con rapporto di lavoro esclusivo presso un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) e autorizzato a svolgere la libera professione in regime di intramoenia. Secondo l’accusa, il medico avrebbe effettuato numerose visite specialistiche presso il proprio studio privato o altri studi, omettendo di versare all’ASL le quote dovute, quantificate in una fase iniziale in 800 euro.

In seguito all’istanza di riesame, il Tribunale aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari con quella del divieto di esercitare la professione medica, limitatamente all’attività intramoenia, per la durata di dodici mesi. Il medico ha quindi proposto ricorso per cassazione avverso tale ordinanza.

Le Doglianze del Ricorrente

La difesa del medico ha basato il ricorso su quattro motivi principali:

1. Inefficacia dell’ordinanza: Si lamentava l’omessa trasmissione del verbale stenotipico completo dell’interrogatorio di garanzia, dal quale sarebbe emersa una versione alternativa dei fatti.
2. Utilizzo illegittimo di prove: Si contestava l’utilizzo di uno stralcio di un interrogatorio reso in un altro procedimento, ritenuto decontestualizzato e acquisito senza un formale provvedimento.
3. Insussistenza del reato: La difesa sosteneva che non vi fosse prova dell’ammontare dei compensi e del termine entro cui le somme avrebbero dovuto essere versate all’ASL.
4. Eccessività della durata della misura: Si criticava la durata di dodici mesi della misura interdittiva, ritenendo che il Tribunale non avesse considerato l’incensuratezza del ricorrente e il suo atteggiamento collaborativo.

L’Analisi della Cassazione sul Peculato Intramoenia

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, giudicandolo in parte inammissibile e in parte infondato. I giudici hanno chiarito diversi punti cruciali sia in materia procedurale che sostanziale.

In primo luogo, è stato ribadito che la mancata trasmissione della trascrizione integrale dell’interrogatorio non rende automaticamente inefficace la misura cautelare. Spetta al ricorrente indicare specificamente quali elementi decisivi e a suo favore sarebbero emersi dalla trascrizione e non dal verbale riassuntivo. Una doglianza generica, come quella presentata, è stata ritenuta inammissibile.

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha precisato che lo stralcio dell’altro verbale era stato usato non per fondare la gravità indiziaria, ma solo per supportare l’entità delle somme sottratte, un elemento marginale rispetto al quadro probatorio principale, costituito dalle dichiarazioni dei pazienti, del CUP manager e dalle agende sequestrate.

La Configurazione del Reato di Peculato Intramoenia

Sul punto centrale, ovvero la sussistenza del reato, la Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile per genericità. Il ricorrente non si era confrontato con la motivazione del Tribunale, che aveva sottolineato come, a prescindere dall’esatto ammontare dei compensi, fosse provato che il medico avesse omesso di fatturare le prestazioni e avesse ricevuto pagamenti in contanti. Le dichiarazioni di un dipendente ASL avevano inoltre chiarito le modalità di contabilizzazione e versamento delle somme, rendendo evidente l’inadempimento del medico.

Infine, anche il motivo sulla durata della misura è stato giudicato inammissibile, in quanto privo di specificità e meramente confutativo delle valutazioni del Tribunale del riesame.

le motivazioni

La decisione della Corte si fonda su un rigoroso ancoraggio ai principi procedurali e sostanziali. Le motivazioni principali del rigetto possono essere così sintetizzate: il quadro indiziario a carico del medico era solido e basato su una pluralità di fonti di prova convergenti (dichiarazioni, certificazioni, agende). La difesa non è riuscita a scalfire tale quadro con contestazioni specifiche, limitandosi a riproporre in modo generico le doglianze già presentate in sede di riesame. La Corte ha sottolineato che l’omissione della fatturazione e la ricezione di pagamenti in contanti, come emerso dalle indagini, sono elementi chiave che supportano l’accusa di peculato intramoenia. Inoltre, le eccezioni procedurali sollevate, come quella sulla mancata trasmissione del verbale stenotipico, sono state respinte perché non supportate dall’indicazione di un concreto pregiudizio difensivo. La Corte ha quindi ritenuto che la valutazione del Tribunale del riesame fosse logica, coerente e corretta in diritto.

le conclusioni

La sentenza in esame consolida l’orientamento giurisprudenziale sul reato di peculato intramoenia, chiarendo che l’omesso versamento delle quote dovute all’ente pubblico da parte del medico in regime di libera professione autorizzata integra tale grave delitto contro la Pubblica Amministrazione. Dal punto di vista processuale, la decisione ribadisce l’onere per la difesa di formulare ricorsi specifici e non meramente ripetitivi, che si confrontino criticamente con le motivazioni del provvedimento impugnato. Per i professionisti sanitari, questa pronuncia funge da monito sull’importanza di una gestione trasparente e fiscalmente corretta dell’attività intramuraria, le cui irregolarità possono avere conseguenze penali molto serie, inclusa l’applicazione di misure interdittive che possono compromettere l’esercizio della professione.

Cosa succede se la trascrizione completa di un interrogatorio non viene inviata al Tribunale del Riesame?
La misura cautelare non diventa automaticamente inefficace. Secondo la Corte, il ricorrente ha l’onere di specificare quali contenuti decisivi a suo favore sarebbero emersi esclusivamente dalla trascrizione completa e che non erano presenti nel verbale riassuntivo. Una contestazione generica non è sufficiente.

Un medico che svolge attività intramoenia commette peculato se non versa le quote dovute all’ASL?
Sì. La sentenza conferma che l’omissione da parte del medico di versare all’Azienda Sanitaria Locale le quote di sua spettanza, derivanti dalle prestazioni rese in regime di intramoenia, integra il reato di peculato, in quanto si appropria di denaro di cui ha la disponibilità per ragioni del suo ufficio.

È sufficiente contestare genericamente le accuse per ottenere l’annullamento di una misura cautelare?
No. Il ricorso deve essere specifico e confrontarsi criticamente con la motivazione del provvedimento impugnato. Un motivo di ricorso generico, che si limita a ripetere le stesse argomentazioni già respinte in una fase precedente senza contestare le ragioni della decisione, è considerato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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