Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1659 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1659 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 19/01/1989
avverso l’ordinanza del 14/05/2024 del Tribunale di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; letta la memoria del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Roma, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico ministero a norma dell’art. 310, cod. proc. pen., ha disposto la sospensione di NOME COGNOME dal pubblico ufficio ricoperto, per la durata di dodici mesi, ravvisando nei suoi confronti gravi indizi di colpevolezza per i delitti di peculato e di falso ideologico in atto pubblico.
v
A lui si addebita, nella sua qualità di carabiniere scelto, in concorso con altro collega, di essersi abusivamente appropriato di circa settecento euro in contanti, quale parte di una maggior somma, pari a quattro-cinquemila euro, rinvenuta nella disponibilità di tale NOME COGNOME in occasione di un controllo su strada alla guida di un’automobile, omettendo di redigere un verbale di perquisizione veicolare o personale nonché di indicare lo svolgimento di tale attività nell’ordine di servizio, così da risultare quest’ultimo ideologicamente falso.
Avverso tale decisione ricorre l’indagato, con atto del proprio difensore, sulla base di due motivi.
2.1. Il primo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di gravità indiziaria.
Il Tribunale avrebbe errato nel dar credito alle accuse del COGNOME, che, in realtà, avrebbe agito al solo scopo di giustificare con il proprio socio in affari COGNOME l’ammanco di detta cifra dalla somma da lui detenuta e da loro dovuta a terzi e che, per precostituirsi testimoni a sostegno, avrebbe riferito al proprio zio NOME COGNOME ed alla funzionaria di polizia NOME COGNOME della sottrazione subita per mano dei carabinieri, invece mai verificatasi. La situazione gli sarebbe poi sfuggita di mano quando, imprevedibilmente, suo zio si è recato di propria iniziativa presso il comando dei carabinieri competente e, denunciando quanto da lui raccontatogli, ha dato avvio al procedimento, non potendo a quel punto il COGNOME più tirarsi indietro.
La spia di questo comportamento mendace sarebbe rinvenibile nelle ultime dichiarazioni rese dal COGNOME il 10 dicembre 2023, allorché, presentatosi spontaneamente agli inquirenti, ha dichiarato – all’evidente scopo di neutralizzare l’ipotesi del suo interesse a mentire al proprio socio – di essersi accollato per intero l’ammanco, in contrasto, tuttavia, con quanto riferito dal COGNOME, secondo cui la relativa somma era stata ripianata da entrambi in parti eguali.
2.2. I medesimi vizi presenterebbe l’ordinanza anche con riferimento al ritenuto pericolo di reiterazione criminosa, avendolo il Tribunale assertivamente dedotto in via esclusiva dall’ipotetico fatto oggetto di addebito e trascurando, invece, l’irreprensibile vita anteatta dell’indagato, in questo modo valorizzando il solo profilo della gravità del danno, estraneo alla prognosi di recidiva.
Hanno depositato conclusioni scritte sia il procuratore generale che il difensore del ricorrente, chiedendo, rispettivamente, il rigetto e l’accoglimento del ricorso.
5
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i motivi d’impugnazione non possono essere ammessi.
Il primo, in punto di gravità indiziaria, si risolve nella rappresentazione di una diversa realtà di fatto, mediante un’interpretazione alternativa delle risultanze investigative, tuttavia del tutto personale, non sorretta da elementi di prova eventualmente trascurati o palesemente fraintesi dal Tribunale e, peraltro, tutt’altro che logicamente lineare.
Non trova spiegazione razionale, infatti, né la offre il ricorso, l’ipotesi per cu COGNOME dovesse andare a raccontare di sua iniziativa, non solo ad un parente ma anche ad una funzionaria di polizia, una vicenda completamente falsa, oltre che per lui particolarmente insidiosa (come può esserlo un’accusa tanto grave contro due carabinieri, per un fatto non documentabile e non dimostrabile neppure attraverso testimoni), per l’eventualità che il proprio socio potesse parlare, non si sa bene con chi, di tale ammanco: un’eventualità, questa, mai concretamente adombrata dallo stesso socio e, peraltro, del tutto improbabile, essendosi trattato di un ammanco di poche centinaia di euro, ma soprattutto ripianato da entrambi brevi manu pressoché immediatamente, e quindi tale da far ragionevolmente ritenere che, tra loro, la vicenda si fosse già esaurita.
Manifestamente infondato, oltre che di puro merito, è poi il motivo di ricorso in tema di esigenze cautelari.
Il Tribunale ha ritenuto di valorizzare il dato obiettivo della condotta, vale a dire le modalità e circostanze del fatto di cui parla l’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., da esse altresì desumendo tratti distintivi della personalità dell’indagato ed il conseguente pericolo concreto di reiterazione criminosa, con un percorso argomentativo legittimo ed immune da illogicità manifeste, che, pertanto, sfugge al sindacato del giudice di legittimità (pag. 10, ord.). A ciò il ricorso oppone un rilievo di puro fatto, sostanzialmente lamentando la mancata considerazione dell’incensuratezza di costui, la quale, tuttavia, non si presenta inconciliabile con quegli argomenti e che, perciò, non mina la tenuta logica complessiva della motivazione, alla quale si deve fermare l’esame di questa Corte.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equa in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 31 ottobre 2024.