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Peculato in concorso: la distinzione con la truffa

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19106/2024, ha confermato la condanna per peculato in concorso a carico di un funzionario pubblico e del titolare di un’agenzia privata. Il caso riguarda la sistematica appropriazione di fondi pubblici destinati al pagamento di tasse automobilistiche. La Corte chiarisce la distinzione tra peculato e truffa, sottolineando che si configura il peculato in concorso quando il pubblico ufficiale ha già la disponibilità del denaro per ragioni d’ufficio e lo appropria con l’aiuto di un privato, anche se vengono usati artifici per nascondere il reato. Parte del reato è stato dichiarato prescritto per il decorso del tempo.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato in Concorso: Quando il Pubblico Ufficiale e il Privato si Alleano

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 19106 del 2024 offre un’importante lezione sulla distinzione tra peculato e truffa, specialmente nei casi di peculato in concorso tra un funzionario pubblico e un soggetto privato. Questa decisione chiarisce come la disponibilità preesistente del denaro pubblico da parte del funzionario sia l’elemento chiave che definisce il reato di peculato, anche quando vengono utilizzati inganni per occultare l’appropriazione.

I Fatti: Una Lunga Scia di Omissioni e Falsi Documenti

Il caso esaminato riguarda un funzionario di un’azienda sanitaria locale (ASL) incaricato di gestire il pagamento delle tasse automobilistiche per l’intero parco veicoli dell’ente. Per circa un decennio, il funzionario ha sistematicamente versato le somme necessarie a un’agenzia di pratiche auto il cui titolare, un privato cittadino, era stato complice nel piano.

Il problema cruciale era che l’autorizzazione di questa agenzia a riscuotere le tasse era stata revocata da anni a causa di precedenti inadempienze. Nonostante ciò, il funzionario ha continuato a sceglierla per i pagamenti, e il titolare dell’agenzia, anziché versare le somme all’erario, le tratteneva per sé, fornendo al funzionario false attestazioni di pagamento per coprire l’illecito. Il danno per l’ente pubblico è stato quantificato in oltre 229.000 euro.

La Questione Giuridica sul Peculato in Concorso

Il cuore della controversia legale era la corretta qualificazione del reato. Le difese sostenevano che si trattasse di truffa aggravata, poiché il pagamento era avvenuto sulla base di un inganno (l’occultamento della revoca dell’autorizzazione e le false ricevute). Tuttavia, sia i giudici di merito che la Cassazione hanno rigettato questa tesi, confermando l’accusa di peculato in concorso.

La Corte ha stabilito che la linea di demarcazione tra i due reati risiede nel momento e nel modo in cui l’agente pubblico acquisisce il possesso del denaro.

Le Motivazioni della Sentenza

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su principi giuridici consolidati, articolando chiaramente il proprio ragionamento.

La Disponibilità del Denaro come Elemento Chiave

Il punto fondamentale, secondo i giudici, è che il peculato si configura quando il pubblico ufficiale si appropria di denaro o beni di cui ha già la disponibilità per ragioni del suo ufficio. Nel caso di specie, il funzionario ASL aveva il potere di gestire e disporre delle somme destinate al pagamento delle tasse. Non ha avuto bisogno di alcun inganno per ottenere quei fondi; li aveva già in gestione.

L’appropriazione è avvenuta successivamente, quando, in accordo con il complice privato, ha distratto quei fondi dalla loro finalità istituzionale. Gli artifici e i raggiri, come le false attestazioni, non sono serviti a indurre in errore l’amministrazione per farsi consegnare il denaro (come nella truffa), ma a mascherare un’appropriazione già avvenuta e a garantirsi l’impunità per continuare l’attività illecita.

Il Ruolo dell’Extraneus nel Reato Proprio

Il peculato è un ‘reato proprio’, cioè può essere commesso solo da chi riveste una specifica qualifica (in questo caso, un pubblico ufficiale). Tuttavia, il privato cittadino (extraneus), titolare dell’agenzia, è stato ritenuto pienamente responsabile in concorso ai sensi dell’art. 110 del codice penale.

La Corte ha evidenziato che il privato era perfettamente consapevole della qualifica pubblica del funzionario e del fatto che il denaro provenisse da un ente pubblico. Ha partecipato attivamente al reato, non solo ricevendo e trattenendo le somme, ma anche creando i documenti falsi necessari a perpetuare il sistema illecito. La sua condotta è stata quindi un contributo essenziale alla realizzazione del peculato.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: nel peculato, il tradimento della fiducia riposta nel funzionario è l’essenza del reato. La condotta fraudolenta che accompagna o segue l’appropriazione non cambia la natura del delitto, ma serve solo a nasconderlo. Per le pubbliche amministrazioni, questo caso sottolinea l’importanza di implementare solidi meccanismi di controllo e verifica, specialmente nei processi di spesa gestiti da singoli funzionari.

Per i privati che operano con la pubblica amministrazione, la decisione è un monito severo: la partecipazione consapevole a un’attività illecita di un pubblico ufficiale comporta la piena responsabilità per il medesimo reato, anche se non si possiede la qualifica richiesta dalla norma. La giustificazione di essere stati ‘solo’ un esecutore o di non aver tratto un vantaggio diretto non è sufficiente a escludere la colpevolezza.

Qual è la differenza fondamentale tra peculato e truffa commessa da un pubblico ufficiale?
Nel peculato, il pubblico ufficiale ha già la legittima disponibilità del denaro o del bene per via del suo incarico e se ne appropria. Nella truffa, invece, il pubblico ufficiale non ha la disponibilità del bene e se la procura inducendo in errore l’amministrazione con artifici e raggiri.

Un privato cittadino può essere condannato per peculato?
Sì, un privato cittadino (tecnicamente un extraneus) può essere condannato per peculato in concorso se contribuisce consapevolmente alla commissione del reato da parte di un pubblico ufficiale, essendo a conoscenza della sua qualifica e del piano criminale.

Perché le false ricevute di pagamento non hanno trasformato il reato in truffa?
Secondo la Corte, le false ricevute non sono state utilizzate per ottenere il denaro dall’ente pubblico, ma per nascondere l’appropriazione che era già avvenuta. Il funzionario aveva già il controllo dei fondi; i documenti falsi servivano solo a coprire l’illecito e a permetterne la continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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