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Peculato gestore slot: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23612/2024, conferma la condanna per peculato a carico dei gestori di una società di raccolta giochi per l’omesso versamento del Prelievo Erariale Unico (PREU). La Corte chiarisce che il reato si configura nel momento stesso della riscossione delle somme, che appartengono alla pubblica amministrazione, e non quando il concessionario ne chiede formalmente la restituzione. Viene inoltre accolto parzialmente il ricorso di un’imputata, riducendo la pena per violazione del divieto di peggioramento della condanna in appello (reformatio in peius).

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato del Gestore Slot: La Cassazione Sancisce la Responsabilità Immediata

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 23612/2024) affronta un caso significativo di peculato nel settore dei giochi, fornendo chiarimenti cruciali sulla responsabilità dei gestori di apparecchi da gioco. La decisione analizza il momento esatto in cui si consuma il reato di appropriazione dei fondi destinati all’erario e si sofferma su un importante principio processuale: il divieto di reformatio in peius. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere gli obblighi e i rischi penali per chi opera nella filiera del gioco legale.

I Fatti di Causa: L’Omesso Versamento del PREU

Il caso riguarda gli amministratori, di diritto e di fatto, di una società incaricata della raccolta delle giocate per conto di due società concessionarie dello Stato. Agli imputati veniva contestato di non aver versato le somme dovute a titolo di Prelievo Erariale Unico (PREU), per un ammontare complessivo di quasi centomila euro.

In primo e secondo grado, i giudici avevano confermato la loro responsabilità per il reato di peculato, assolvendoli invece dall’accusa di appropriazione indebita aggravata. Secondo l’accusa, il denaro incassato dagli apparecchi, essendo destinato in parte allo Stato, appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione. Trattenerlo equivale a un’appropriazione indebita di fondi pubblici.

La Difesa degli Imputati e i Motivi del Ricorso

Gli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione basandosi su diverse argomentazioni. Uno dei ricorrenti sosteneva che la quantificazione del debito fosse incerta e basata su un semplice ‘foglio Excel’ di parte, e che le presunte condotte illecite delle società concessionarie giustificassero il mancato pagamento. L’altra imputata, amministratrice della società per un breve periodo, affermava che l’obbligazione di pagamento non fosse ancora sorta al momento della sua cessazione dalla carica, poiché non era stato ancora inviato alcun ‘report’ contabile da parte delle concessionarie.

Inoltre, quest’ultima lamentava una violazione del divieto di reformatio in peius, poiché la Corte d’Appello, pur assolvendola da un capo d’imputazione, le aveva inflitto una pena quasi identica a quella del primo grado, di fatto inasprendo la sanzione per il reato residuo di peculato.

L’Analisi della Cassazione sul Reato di Peculato

La Corte di Cassazione ha rigettato gran parte dei motivi di ricorso relativi alla configurabilità del reato. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il gestore di apparecchi da gioco riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio e di agente contabile. Di conseguenza, le somme incassate, inclusa la quota destinata al PREU, appartengono alla pubblica amministrazione fin dal momento della loro raccolta.

Il reato di peculato si perfeziona quando il gestore si appropria di tali somme, agendo uti dominus, cioè come se ne fosse il proprietario. La Corte ha chiarito che non è necessario attendere la richiesta formale di pagamento o l’invio di un estratto conto da parte del concessionario. L’obbligazione di versare i fondi sorge con l’incasso. Eventuali controversie di natura civilistica tra gestore e concessionario, come presunti crediti vantati dal primo, non possono giustificare la ritenzione di denaro pubblico, poiché nel nostro ordinamento non è ammessa l’autotutela privata in questi contesti.

La Violazione del Divieto di Reformatio in Peius

La Corte ha invece accolto i motivi relativi alla determinazione della pena per una degli imputati. I giudici hanno rilevato che la Corte d’Appello, dopo aver escluso la responsabilità per il reato di appropriazione indebita, aveva rideterminato la pena complessiva in misura quasi identica a quella di primo grado.

Questo, secondo la Cassazione, viola il divieto di reformatio in peius (art. 597 c.p.p.), il quale impedisce che la posizione dell’imputato appellante venga peggiorata. Il divieto non riguarda solo il risultato finale, ma anche i singoli elementi del calcolo della pena. Avendo eliminato un reato, la pena avrebbe dovuto essere ridotta in misura corrispondente all’aumento precedentemente applicato per la continuazione, e non quasi interamente assorbita da un inasprimento della pena base per il reato principale.

Le Motivazioni della Sentenza

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano sulla natura pubblica del denaro raccolto tramite gli apparecchi da gioco. La qualifica di agente contabile impone al gestore l’obbligo di non disporre liberamente di tali somme. La volontà di appropriarsene (dolo) è stata desunta dal comportamento degli imputati: non solo non hanno versato nulla, ma non hanno neppure chiesto chiarimenti sui conteggi e si sono ritirati dal contratto poco prima della scadenza dei termini di pagamento. Questo comportamento è stato ritenuto incompatibile con una semplice difficoltà o un ritardo, e indicativo della volontà di trattenere il denaro uti dominus. Per quanto riguarda l’aspetto processuale, la Corte ha riaffermato la portata ampia del divieto di reformatio in peius, annullando la sentenza limitatamente alla pena e rideterminandola direttamente in sede di legittimità, in quanto non residuavano spazi di discrezionalità per il giudice di merito.

Le Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento secondo cui il gestore di apparecchi da gioco ha una responsabilità penale diretta per l’omesso versamento del PREU, configurando il reato di peculato. La decisione sottolinea che le controversie contrattuali con i concessionari non costituiscono una scriminante. Al contempo, la pronuncia riafferma la rigorosa applicazione del principio del divieto di peggioramento della pena in appello, a garanzia dei diritti dell’imputato. Per gli operatori del settore, emerge la chiara indicazione della necessità di una gestione contabile trasparente e del puntuale versamento delle somme dovute all’erario, per non incorrere in gravi conseguenze penali.

Quando scatta il reato di peculato per un gestore di apparecchi da gioco?
Il reato si configura nel momento stesso in cui il gestore incassa le somme derivanti dalle giocate. Poiché tali fondi, per la parte destinata al PREU, appartengono alla pubblica amministrazione fin dall’origine, il loro mancato versamento e la loro ritenzione con l’intenzione di agire come proprietario (uti dominus) integrano il delitto di peculato, a prescindere da una formale richiesta di pagamento da parte del concessionario.

È possibile giustificare il mancato versamento del PREU con presunti crediti verso la società concessionaria?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che eventuali rapporti di credito/debito tra il gestore e la società concessionaria appartengono alla sfera civilistica e non possono scriminare la condotta penale. Il denaro del PREU è pubblico, e l’ordinamento non consente al privato di esercitare una forma di autotutela trattenendo tali somme a compensazione di presunti crediti.

Cosa significa ‘divieto di reformatio in peius’ e come è stato applicato in questo caso?
È un principio del diritto processuale penale secondo cui il giudice dell’appello non può peggiorare la condanna dell’imputato che ha presentato ricorso. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva assolto un’imputata da uno dei reati contestati ma aveva ridotto la pena finale in modo minimo. La Cassazione ha ritenuto che ciò costituisse un peggioramento mascherato della pena per il reato residuo e, applicando il principio, ha annullato la sentenza sul punto, riducendo la pena in modo corretto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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