Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 1270 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 1270 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Simala il 9/5/1947
avverso la sentenza del 10/11/2020 emessa dalla Corte di appello di Cagliari visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME e l’inammissibilità nel resto;
udito il Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento senza rinvio limitatamente al capo a) lettera n uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che concludono per l’accoglimento del ricorso in particolare alla prescrizione del capo a) lettere b, d, e, g, i, j, m, n, p, q, r, s e della parziale prescrizione del capo a) lettera k, I, nonché per l’accoglimento del ricorso per i reati non prescritti del capo a) lettera f.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Cagliari, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, confermava la condanna dell’imputato in ordine a plurimi episodi di peculato commessi mediante l’appropriazione di somme di denaro, di cui aveva la disponibilità in qualità di consigliere e capogruppo del PdL del Consiglio Regionale della Sardegna.
Avverso tale sentenza, il ricorrente ha proposto diciannove motivi di ricorso, formulati nei termini di seguito sintetizzati:
2.1. violazione di legge in relazione all’individuazione dell’ambito del legittimo utilizzo dei fondi assegnati ai gruppi consiliari, ritenendosi che – in base al dettato della I.n. 2 del 1966 del Regione Sardegna, nonché del regolamento di contabilità adottato con delibera n. 293 del 1993 dell’Ufficio di Presidenza – non vi era alcun vincolo di impiego per le somme erogate in favore dei gruppi, non potendosi sostenere che tali somme fossero esclusivamente destinate al funzionamento del gruppo; si sostiene che le erogazioni erano funzionali all’ampio spettro di attività istituzionale svolto dal gruppo anche, e soprattutto, mediante sovvenzioni rispetto ad attività convegnistica e di generica rappresentanza;
2.2. violazione di legge in relazione agli artt. 314 cod. pen., 6 e 7 CEDU, difettando il requisito della oggettiva individuabilità delle condotte punibili posto che, all’epoca dei fatti, le condotte oggetto di giudizio erano ritenute perfettamente lecite, né vi era stata l’elaborazione giurisprudenziale che, in seguito, ha portato a meglio delineare i margini di legittimità delle spese sostenute dai gruppi con i fondi consiliari; l’unico riferimento giurisprudenziale certo era, all’epoca, costituito dalla sentenza “COGNOME” che aveva riconosciuto una nozione particolarmente ampia di spese di rappresentanza;
2.3. vizio di motivazione in relazione al capo A – lett.b), sul presupposto che non era stato adeguatamente valorizzato il convincimento del Diana di aver diritto ad una indennità ulteriore, in qualità di capogruppo, sicchè egli, in perfetta buona fede e con conseguente esclusione del dolo, aveva impiegato i fondi per l’acquisto di libri;
2.4. violazione di legge in relazione al peculato di cui al capo A – lett.d), assumendosi che l’acquisto di 31 penne Montblanc destinate ai consiglieri dovesse ritenersi consentita, stante l’ampia previsione normativa che permetteva l’acquisto di beni o servizi destinati ai componenti dei gruppi; peraltro, trattandosi di penne realizzate nell’ambito di una campagna a favore dell’UNICEF (si assume che una quota del loro prezzo veniva devoluto a tale organizzazione) il loro acquisto
svolgeva anche una funzione di rappresentanza, intesa quale adesione ai valori di tale ente;
2.5. violazione di legge (quinto motivo) e vizio di motivazione (sesto motivo) in relazione alle appropriazioni contestate in forma concorsuale con i singoli componenti del gruppo, ipotizzandosi che all’imputato potesse al più addebitarsi una mera condotta colposa nella verifica delle spese richieste a rimborso da parte dei consiglieri, senza che sia emersa una condotta dolosa concretamente idonea a consentire la commissione dei reati contestati, tanto più che, quanto meno con riferimento al reato contestato alla lett.h), i giudici di merito avevano riconosciuto che NOME era stato tratto in inganno circa la destinazione della spesa ivi indicata; si assume che anche nelle restanti ipotesi, ove pure non individuabile un’attività decettiva a carico dei consiglieri, non poteva per ciò solo ritenersi il concorso di NOME nel reato di peculato;
2.6. vizio di motivazione in relazione ai peculati di cui al capo A – lett.e), f), e g), concernenti l’acquisto di penne e di un portafogli, in relazione ai quali si ripropongono le questioni già sollevate in ordine all’assenza di vincoli stringenti in ordine alle spese rimborsabili;
2.7. vizio di motivazione in relazione al peculato di cui al capo A – lett.i), asseritamente commesso mediante il pagamento, con fondi del gruppo, di fatture per operazioni inesistenti emesse da due società di NOME COGNOME; sottolinea la difesa che lo stesso COGNOME aveva riferito di essersi relazionato esclusivamente con COGNOME (che materialmente gestiva la contabilità del gruppo) e di non aver mai avuto contatti con NOME;
2.8. vizio di motivazione in relazione al concorso nel reato di peculato di cui al capo A – lett.j) avente ad oggetto il pagamento, con fondi del gruppo, del rinfresco organizzato per le nozze del consigliere COGNOME; assume il ricorrente che, a fronte della apparente riconducibilità della spesa ad eventi convegnistici, non risultava in alcun modo la sua consapevolezza dell’indebito utilizzo dei fondi;
2.9. vizio di motivazione in ordine al peculato di cui al capo A – lett.k), il ricorrente eccepisce il difetto di prova della consapevolezza che le fatture pagate, emesse in relazione ad iniziative convegnistiche del consigliere COGNOME, fossero relative a prestazioni inesistenti, ribadendo che formalmente le attività descritte, in quanto relative a tematiche oggetto dell’operato del gruppo consiliare, erano suscettibili di rimborso;
2.10. omessa dichiarazione della nullità dell’imputazione di cui al capo A letti), formulata in maniera del tutto generica mediante il mero riferimento all’importo dell’appropriazione e senza indicazione delle condotte in concreto poste in essere, tant’è che pure nella ricostruzione del fatto compiuta in primo grado vi
era una assoluta discrasia in ordine agli importi in questione;
2.11. vizio di motivazione in relazione alla predetta imputazione sul presupposto che le spese oggetto di rimborso rientravano tra quelle contemplate dalla legislazione regionale;
2.12. violazione di legge in relazione al peculato di cui al capo A – lett.M), dato che l’acquisto di targhe e coppe era riconducibile alle spese di rappresentanza;
2.13. violazione di legge in ordine al calcolo del periodo di sospensione della prescrizione, con specifico riferimento al periodo ricompreso tra il 7 aprile e il 25 giugno 2020, dovendosi tenere conto della sentenza della costituzionale che ha dichiarato illegittimo l’art. 83, comma 9, d.l. n. 18 del 2020, dal che ne consegue che la ‘sospensione legata all’emergenza covid doveva essere limitata al periodo 7 aprile-11 maggio 2020, mentre il successivo periodo computato fino al 25 giugno 2020 non doveva ritenersi oggetto di sospensione della prescrizione;
2.14. violazione di legge in relazione al peculato di cui al capo A – lett.n), commesso nel periodo in cui NOME non svolgeva la funzione di capogruppo e, quindi, non aveva la diretta disponibilità del denaro asseritamente oggetto di appropriazione;
2.15. violazione di legge in ordine alla nullità della sentenza di primo grado per mancanza di motivazione in merito al capo A – lett.o), posto che la Corte di appello si sarebbe dovuta limitare a rilevanza la totale mancanza di motivazione disponendo l’annullamento della sentenza in parte qua, non potendo procedere a redigere ex novo la motivazione su tale punto, in tal modo privando di un grado di giudizio l’imputato;
2.16. violazione di legge in relazione al capo A – lett.p), q), r), sul presupposto che gli acquisti di beni di modico valore, quali omaggi natalizi non potevano ritenersi esclusi dalla normativa regionale;
2.17. vizio di motivazione in relazione al capo A-lett.$), concernenti l’appropriazione delle somme impiegate per l’acquisto di biglietti aerei, in relazione ai quali la Corte di appello avrebbe invertito l’onere della prova in ordine all’effettuazione dei viaggi per scopi non istituzionali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, con la sola eccezione del motivo relativo al computo della prescrizione. Non ricorrendo un’ipotesi di inammissibilità, deve preliminarmente rilevarsi l’intervenuta estinzione della quasi totalità dei reati per i quali la Corte di appello aveva confermato la condanna dell’imputato.
2.. È fondato il quattordicesimo motivo di ricorso, relativo al computo della sospensione derivante dalla disciplina emergenziale dettata a seguito della pandemia da Covid-19.
Il ricorrente evidenzia che, nel calcolo della sospensione, la Corte di appello ha applicato l’art. 83, comma 9, d.l. n. 18/2020, successivamente dichiarato incostituzionale, con la conseguenza che il termine di sospensione (come analiticamente computato a pg.107 sentenza) deve essere ricalcolato, considerando il solo periodo pari a 34 giorni (intercorrente tra il 7 aprile e 1’11 maggio 2020), con la conseguenza che per la fase di appello la durata della sospensione del termine di prescrizione, tenuto conto degli ulteriori periodi correttamente computati, non è di mesi 4 e giorni 6, bensì di mesi 2 e giorni 22. Tenendo conto dell’ulteriore periodo di sospensione maturato in primo grado e dell’ordinario termine di prescrizione previsto in relazione alla pena per il reato di peculato applicabile ratione temporis, ne consegue che sono prescritti tutti i fatti commessi in epoca antecedente al 7/11/2011.
Premesso che la fondatezza del motivo concernente il calcolo della prescrizione determina di per sé l’esclusione della inammissibilità del ricorso, deve preliminarmente procedersi alla verifica dei reati rispetto ai quali è maturato l’effetto estintivo.
Alcun dubbio si pone con riferimento alle ipotesi di peculato contestate al capo A – lett.b), d), e), g), j), m), n), p), q), r) e s), trattandosi di condotte che, co specificato nelle singole imputazioni, risultano tutte commesse in un arco temporale che copre gli anni 2008 – 2010.
3.1. Maggiormente problematiche sono le restanti imputazioni nelle quali si contestano fatti che si pongono, quanto meno in parte, a cavallo rispetto all’individuazione del termine ultimo di esclusione della prescrizione.
A tal riguardo deve premettersi che, per consolidata giurisprudenza, il dubbio sulla data esatta del reato non può risolversi se non con l’applicazione del principio del favor rei, ritenendosi il reato consumato, fra più date compatibili con il Periodo indicato nel capo di imputazione, alla data più risalente (da ultimo Sez.6, n. 25927 del 13/5/2021, Rv. 281535).
3.2. Applicando tale principio deve in primo luogo dichiararsi l’intervenuta prescrizione del peculato contestato al capo A – lett.i), nel quale si indica quale data ultima di commissione del reato il 15 dicembre 2011.
La vicenda attiene all’appropriazioni di rilevanti somme, erogate in favore del gruppo consiliare, realizzate mediante il pagamento di prestazioni asseritannente
poste in essere da NOME COGNOME ma, in realtà, ritenute inesistenti.
Dalla lettura delle sentenze di appello (si veda in particolare pg.52-53), emerge che le fatture false oggetto di pagamento sarebbero state per la quasi totalità emesse tra il 2009 e il 2010 e solo due fatture risulterebbero emesse nell’ottobre 2011. Posto che dalle sentenze in questione non emerge in alcun modo se il pagamento delle fatture sia stato eseguito in epoca successiva rispetto alla data ultima in relazione alla quale i fatti devono ritenersi prescritti, applicando il principio del favor rei deve dichiararsi l’intervenuta estinzione dei fatti contestati al predetto capo di imputazione.
3.2. Le medesime considerazioni sopra svolte valgono anche in relazione al capo di imputazione A – lett.1), nel quale si contesta quale periodo di commissione del fatto l’arco temporale intercorrente tra marzo 2009 e giugno 2012, ipotizzandosi – peraltro in modo generico – l’appropriazione di un importo complessivo di €90.000 mediante la presentazione di ricevute e fatture per prestazioni inesistenti. Anche in tal caso le fatture e, quindi, i pagamenti (per l’importo complessivo indicato nell’imputazione) si collocano tutti nel periodo coperto dalla prescrizione. Anche per le fatture potenzialmente successive al limite individuato per l’estinzione dei reati, deve rilevarsi l’assoluta mancanza di accertamento in ordine all’effettivo pagamento, sicchè anche in tal caso deve applicarsi il principio del favor rei.
L’intervenuta prescrizione determina l’assorbimento del motivo concernente l’eccepita nullità del capo di imputazione.
Una volta espunte le ipotesi coperte da prescrizione, restano da valutare le ipotesi di peculato contestate alle lett. f), k) e o), aventi ad oggetto fatti che quanto meno in parte, non risultano estinti.
Nell’esaminare i motivi di ricorso è necessario partire dalla ricostruzione della normativa regionale, avendo il ricorrente sostenuto che non vi erano previsioni che espressamente escludevano le spese sostenute dal novero di quelle rimborsabili, in quanto la normativa regionale all’epoca vigente riconosceva l’utilizzo del contributo come libero nei fini.
La questione va affrontata partendo dal dato normativo e considerando, altresì, l’elaborazione giurisprudenziale che ha riguardato la complessa tematica dei rimborsi spettanti agli appartenenti ai gruppi consiliari regionali, tenendo presente che la disciplina relativa alla Regione Sardegna è stata oggetto di preg resse pronunce di questa Corte (in particolare Sez.6, n.45003 del 6/7/2018, COGNOME; Sez.6, n. 20348 del 9/3/2021, Amadu; Sez.6, n. 10779 del 20/10/2020 – dep.2021, Sanjust).
4.1. La legge Regione Sardegna 7 aprile 1996 n.2, prevedeva un contributo mensile in favore di ciascun gruppo consiliare, stabilendo le modalità di determinazione dell’ammontare spettante (in base alla composizione al numero dei componenti), demandando all’Ufficio di Presidenza l’individuazione delle modalità per il rendiconto.
L’Ufficio di Presidenza, con delibera n. 293 del 5 ottobre 1993, aveva previsto l’obbligo di rendicontazione gravante sul Presidente di ciascun gruppo consiliare e, pur non avendo espressamente individuato le categorie di spese rimborsabili, all’art. 3 – disciplinando il contenuto della relazione illustrativa del rendiconto faceva direttamente riferimento alle spese per le quali era possibile utilizzare i fondi dei gruppi consiliari.
A .fronte di tali indicazioni, la Corte di appello ha individuato le categorie di spese ammesse a rimborso e quelle escluse, includendo in queste ultime le spese per finalità meramente personale, quelle per l’attività politica del singolo consigliere, le spese costituenti finanziamento ai partiti politici e, più in generale, tutte quelle spese non legate da un nesso funzionale con l’attività istituzionale dei gruppi consiliari.
4.2. Le conclusioni cui è giunta la Corte di appello sono immuni da censure, non potendosi recepire la diversa prospettazione difensiva secondo cui i rimborsi in favore degli appartenenti ai gruppi non erano ancorati a predeterminate finalità istituzionali, né che all’epoca dei fatti, non vi fosse non solo una precisa previsione normativa, ma neppure una consolidata giurisprudenza che potesse orientare le condotte dei consiglieri regionali.
Invero, questa Corte ha già avuto modo di precisare che, in tema di peculato commesso mediante appropriazione dei fondi destinati ai gruppi consiliari regionali, sussiste un intrinseco dovere di rendicontazione dell’uso del danaro attribuito dalla Regione, in conformità alle regole di gestione di tali fondi ed alle funzioni istituzionali svolte dai gruppi, a prescindere da una specifica previsione normativa in tal senso, così come stabilito dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 39 del 2014 (Sez. 6, n. 16765 del 18/11/2019 – dep. 2020, COGNOME, Rv. 279418-03).
La ratio del menzionato principio è chiaramente da ravvisare nel fatto che i fondi attribuiti ai gruppi consiliari, a prescindere dalla specificità della normativa di riferimento, sono necessariamente finalizzati al perseguimento di finalità istituzionali e non certo di interessi personalistici, ovvero legati all’attività politi (intesa come accrescimento del consenso personale, finanziamento indiretto dei partiti politici di appartenenza, perseguimento di campagne di sensibilizzazione non direttamente collegate all’ambito delle competenze consiliari).
Tale dato, univocamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, deriva dalla mera circostanza che i fondi in questione hanno natura pubblicistica e che, conseguentemente, non possono che essere impiegati nell’ambito di quella che è l’attività propria dei gruppi consiliari.
Questione diversa – e non rilevante in riferimento al caso di specie – è se i singoli Consiglieri, nell’utilizzare i fondi pubblici, debbano agire su mandato del Gruppo o, comunque, previo avallo di quest’ultimo.
Nel caso in esame, infatti, l’imputato rivestiva la qualifica di Presidente del Gruppo e, in tale veste, aveva la diretta ed esclusiva disponibilità dei fondi e la connessa responsabilità circa il rispetto della destinazione pubblicistica del loro impiego.
Del tutto incompatibile con la pacifica giurisprudenza di legittimità è, quindi, la tesi difensiva, oggetto del primo motivo di ricorso, secondo cui l’impiego dei fondi era slegato dal qualsivoglia vincolo di destinazione, proprio perché tale impostazione elide irragionevolmente la finalità pubblicistica insita nella provenienza stessa dei fondi e non considera l’incompatibilità, oltre che con il precetto penale anche con i più generali principi dell’ordinamento amministrativo, in virtù dei quali non è consentito un impiego di risorse pubbliche al di fuori di qualsivoglia attività strumentale rispetto al perseguimento dei fini cui l’ente erogatore è preposto.
4.3. Il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, ha espressamente contestato la violazione degli artt. 6 e 7 della CEDU, sul presupposto che all’epoca di commissione dei fatti (2004-2012) la normativa e la giurisprudenza non consentivano di cogliere l’antigiuridicità della condotta, dal che se ne fa conseguire che solo in base alla successiva elaborazione giurisprudenziale le condotte in esame sarebbero state ricondotte nell’alveo del penalmente rilevante.
Si tratta di una questione più volte affrontata da questa Corte, essendosi ritenuto che sul piano strutturale, l’incriminazione di peculato in relazione all’impiego distrattivo dei fondi vincolati dei gruppi consiliari si realizza allorchè dette risorse siano finalizzate a sostenere, remunerare, attività slegate da nesso funzionale con la vita e le esigenze del Gruppo, traducendosi in un’appropriazione delle somme. In questo caso, infatti, la cesura della connessione funzionale determina lo stravolgimento del sistema organizzativo-istituzionale che priva di ogni legittimazione la concreta spendita della somma di cui si ha la disponibilità, materiale o giuridica. Tale principio, peraltro, era stato già riconosciuto proprio nella sentenza “Tretter” del 2003 che, invece, secondo l’impostazione difensiva dovrebbe dimostrare l’assoluta liceità di qualsivoglia impiego dei fondi assegnati ai gruppi (così in motivazione Sez.6, n. 20348 del 9/3/2021, Annadu, concernente
proprio la normativa della Regione Sardegna).
A ben vedere, la citata pronuncia non aveva affatto statuito l’assenza di qualsivoglia vincolo di destinazione, bensì si era limitata a recepire una nozione di “spese di rappresentanza” particolarmente ampia e, successivamente, oggetto di rimeditazione.
A .ciò deve aggiungersi che, come affermato da questa Corte, l’esistenza di un vincolo di destinazione e la conseguente impossibilità di sostenere che i gruppi potessero utilizzare liberamente i fondi, discende direttamente dai principi costituzionali, rispetto ai quali non può in alcun modo invocarsi l’innovatività delle interpretazioni giurisprudenziali intervenute in materia.
Si è chiarito, infatti, che nella materia della spesa pubblica rilevano gli artt. 3, 81, 97, 100 e 103 Cost da cui derivano molteplici convergenti principi:
ogni tipo di spesa deve avere una propria autonoma previsione normativa, che non può essere la mera indicazione nella legge di bilancio;
la gestione delle spese pubbliche è sempre soggetta a controllo, anche giurisdizionale;
l’impiego delle somme deve concretizzarsi in modo conforme alle corrispondenti finalità istituzionali, come indicate dalla propria previsione normativa;
tale impiego deve in ogni caso rispettare i principi di uguaglianza, imparzialità, efficienza (che a sua volta comprende quelli di efficacia, economicità e trasparenza) (così testualmente, in motivazione, Sez.6, n. 16765 del 18/11/2019 – dep. 2020, Giovine).
La sintesi di tali considerazioni è, pertanto, che sussiste un generale, intrinseco, ineliminabile vincolo di utilizzo per finalità pubbliche della spesa ricadente sulle casse regionali, mediante il sistema del rimborso per il tramite dei fondi assegnati ai gruppi consiliari.
Rispetto a tale principio, immanente nel concetto stesso di impiego di risorse economiche di matrice pubblica, non è ravvisabile alcun overtuming giurisprudenziale e, quindi, alcuna lesione delle garanzie convenzionali richiamate dal ricorrente.
Chiariti i principi di riferimento applicabili, è possibile procedere all’esame dei motivi di ricorso relativi alle residue imputazioni non attinte dall’intervenuta prescrizione, premettendosi che le residue imputazioni oggetto di valutazione concernono spese prive del carattere di ambivalenza che, in astratto, potrebbe indurre il dubbio circa la loro riconducibilità ai fini istituzionali del gruppo.
Prendendo le mosse dalla contestazione formulata al capo A – lett.f),
all’imputato si addebita di aver acquistato delle penne “RAGIONE_SOCIALE” utilizzando i fondi consiliari, per l’importo complessivo di €4.055,00.
Sulla base della concorde ricostruzione in punto di fatto risultante dalle sentenze di merito, si tratta di acquisti fatti dal capogruppo di penne destinate ai consiglieri e, quindi, necessariamente non qualificabili come “spese di rappresentanza” posto che i beni in questione erano destinati a componenti dello stesso gruppo e, non avevano alcuna attinenza con le funzioni di rappresentanza del gruppo verso l’esterno.
Questa GLYPH Corte GLYPH ha GLYPH già GLYPH chiarito GLYPH che GLYPH attengono GLYPH alla GLYPH funzione di rappresentanza dell’ente quelle spese che, per consuetudine o per motivi di reciprocità, sono sostenute in occasione di rapporti di carattere ufficiale tra soggetti aventi veste rappresentativa del gruppo e soggetti esterni, appartenenti ad altri enti o rappresentativi della società civile, nonché le spese connesse ad eventi ed iniziative di carattere istituzionale, sempre che tali esborsi siano rivolti a beneficio di soggetti esterni all’ente (Sez.6, n. 16765 del 18/11/2019 – dep. 2020, Giovine, Rv. 279418-06).
Il dato ineludibile per potere ricondurre una determinata spesa nella “funzione di rappresentanza” è che l’esborso sia collegato ad un’attività rivolta all’esterno, al fine di accrescere il prestigio della sua immagine e la diffusione delle relative attività istituzionali nell’ambito territoriale di operatività (Sez.6, n. 16529 del 23/2/2017, Ardigò, Rv.270794) e non certo a soddisfare mere esigenze personali dei consiglieri.
La Corte di appello ha chiarito che l’acquisto di penne di valore era stato deciso e condiviso dall’imputato con la finalità di fare un regalo natalizio a tutti consiglieri, tant’è che sia l’acquisto di cui alla lett.f), che quelli riferiti a periodi coperti da prescrizione, si collocano tutti a cavallo delle festività natalizie e di fine anno (si veda pg. 110).
I giudici di merito, pertanto, hanno correttamente ritenuto che l’acquisto in esame altro non era che una modalità per omaggiare i consiglieri di un bene di valore, facendone ricadere il costo sui fondi regionali e in palese carenza non solo di una qualsivoglia finalità pubblicistica, ma anche di una ipotetica attività di rappresentanza.
La dichiarata finalità dell’acquisto esclude anche qualsivoglia dubbio in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, dovendosi ritenere che l’imputato avesse la piena consapevolezza che la spesa era destinata ad un vero e proprio regalo natalizio in favore dei componenti del gruppo, da ritenersi incompatibile con qualsivoglia legittima ipotesi di lecito utilizzo dei fondi regionali.
6.. In relazione al peculato contestato al capo A – lett.k), deve premettersi che i fatti sono solo parzialmente prescritti, residuando due condotte per le quali l’evento estintivo non si è verificato in quanto commesse in epoca successiva al novembre 2011 (fatture del 15/11/2011 e del 2/12/2011, indicate a pg. 60 della sentenza di primo grado), tenendo conto per le condotte del luglio 2012 l’imputato è stato già assolto, in quanto a quella data non era più Presidente del gruppo consil ia re.
I fatti in esame concernono l’indebito rimborso di spese asseritamente sostenute dal consigliere NOME COGNOME e riferite a iniziative politiche svolte dall’associazione “RAGIONE_SOCIALE“.
Le concordi sentenze di merito hanno accertato, con motivazione immune da censure di manifesta illogicità o contraddittorietà, che le spese asseritamente sostenute da RAGIONE_SOCIALE e il cui rimborso era stato avallato dall’imputato erano relative a prestazioni inesistenti, non essendovi alcuna prova dell’effettivo svolgimento di attività convegnistica ed essendo, al contempo, emerso che l’emisgione delle fatture costituiva l’escamotage cui RAGIONE_SOCIALE ricorreva per coprire le spese di mantenimento di un proprio ufficio privato.
La tesi difensiva è che non sarebbe stato provato l’apporto concorsuale reso da NOME e che l’imputato sarebbe stato sostanzialmente tratto in inganno.
Si tratta di una prospettazione alternativa in fatto che non si confronta con le adeguate motivazioni contenute nella sentenza di primo grado (pg.61) e in quella di appello (pg.116) che, pur valorizzando elementi indiziari, indicano le ragioni per le quali si è ritenuta l’inesistenza delle prestazioni fatturate e, in ogni caso, giungono alla conclusione che la presunta attività svolta da RAGIONE_SOCIALE aveva natura esclusivamente politica, svolta a livello meramente personale e al di fuori di qualsivoglia rapporto con le funzioni assorte dal gruppo consiliare. Al contempo, le sentenze di merito danno ampiamente conto delle ragioni per cui le modalità della condotta e la reiterazione dei fatti secondo uno schema collaudato dovessero escludere la tesi dell’inconsapevolezza, da parte del capogruppo, della fittizietà delle fatture portate a rimborso.
Ne consegue che i motivi di ricorso attinenti al suddetto capo di imputazione devono essere rigettati, ferma restando la parziale declaratoria di estinzione del reato.
In relazione al peculato di cui al capo A – lett.0), occorre premettere la parziale estinzione per prescrizione delle condotte ivi descritte, commesse in un arco temporale che va dal gennaio 2010 al gennaio 2012.
Il ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza di appello, eccependo che la
sentenza di primo grado aveva pacificamente omesso di motivare in ordine a tale imputazione e che, a fronte dello specifico motivo di gravame con il quale si deduceva la sola nullità della sentenza, il giudice di appello non avrebbe potuto redigere ex novo la motivazione, in tal modo sanando la dedotta nullità.
7.1. Il motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione del consolidato principio giurisprudenziale secondo cui la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc. pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (Sez.U, n. 3287 del 27/11/2008, dep.2009, Rv. 244118; più di recente, Sez.3, n. 37116 del 17/6/2021, Rv. 282387; Sez.5, n. 31997 del 6/3/2018, COGNOME, Rv. 273636; Sez., n. 58094 del 30/11/2017, COGNOME, Rv. 271735; in applicazione di tale principio si è anche costantemente affermato che in ipotesi di ricorso per saltum, all’annullamento della sentenza di primo grado per difetto assoluto di motivazione consegue il rinvio al giudice di appello, che, dovendo redigere “ex novo” la motivazione mancante, è investito di una devoluzione totale del merito, da ultimo, Sez. 5, n. 1076 del 21/10/2022 – dep.2023, COGNOME, Rv.283894).
Il principio è pienamente condivisibile, posto che la mancanza di motivazione, dà luogo ad una nullità relativa che, in quanto tale, non rientra tra quelle assolute o a regime intermedio in presenza delle quali l’art. 604, comma 4, cod. proc. pen., impone al giudice di appello di limitarsi all’annullamento della sentenza disponendo il rinvio degli atti al giudice di primo grado (Sez.5, n. 19051 del 1972/2010, Dicandia, Rv. 247252; Sez.5, n.11961 dell’8/02/2005, COGNOME, Rv.232058).
La soluzione da ultimo prospettata è fondata sulla corretta qualificazione del vizio di omessa motivazione in termini di nullità relativa, posto che tale vizio non rientra in alcuna delle categorie generali previste dall’art. 178 cod. proc. pen. disciplinanti le nullità di ordine generale, nel cui ambito si distinguono le nullità assolute e quelle a regime intermedio.
In particolare, l’omessa motivazione non determina alcuna lesione dei diritti difensivi dell’imputato, sotto il profilo dell’intervento, dell’assistenza e della rappresentanza, integranti ipotesi di nullità a regime intermedio.
Ne consegue che il vizio in esame, anche nell’ipotesi di totale assenza della motivazione della sentenza di condanna, non può che essere ricondotto nell’alveo delle nullità relative e, cioè, di quelle che ai sensi dell’art. 182 cod. proc. pen. devono essere previste da specifiche previsioni di legge (in virtù del principio di tassatività) e sono diverse dalle nullità previste dagli artt. 178 e 179, comma 2,
cod. proc. pen. (a supporto della qualificazione della mancanza della motivazione quale nullità relativa si veda Sez.3, n. 37116 del 17/6/2021, Rv. 282387; Sez.6, n. 5457 del 12/9/2018, COGNOME, Rv. 275029).
7.2. Sostiene la difesa che tale principio non si applichi nel caso in cui, con l’appello, si eccepisca la sola nullità della sentenza per omessa motivazione, senza entrare nel merito della difesa. Diversamente opinando ne conseguirebbe che l’imputato, per effetto della totale omessa motivazione, verrebbe privato di un grado di giudizio.
La tesi sostenuta dal ricorrente è stata recepita da alcune isolate pronunce, secondo cui il giudice d’appello, a cui sia devoluta esclusivamente la cognizione della nullità della sentenza del giudice monocratico del tutto priva di motivazione, e composta soltanto del dispositivo letto in udienza, non può sostituirsi al primo giudice redigendo la motivazione del tutto omessa e deve trasmettere a quest’ultimo gli atti per non privare l’imputato di un grado del giudizio (Sez.3, n. 15/10/2020, n. 34943, Rv.280443; Sez.2, n. 28467 del 13/4/2011, COGNOME, Rv. 250905; Sez.2, n. 16829 del 9/4/2008, Rv. 239786).
7.3. La soluzione da ultimo prospettata non è condivisibile, posto che valorizza un dato di per sé non dirimente e relativo alla privazione dell’imputato di un grado del giudizio per effetto dell’omessa motivazione.
Invero, non è corretto l’assunto di partenza e, cioè, che la mancanza di motivazione sia equiparabile alla privazione di un grado del giudizio, posto che il processo si è celebrato ed è terminato con una statuizione.
Ciò che difetta è unicamente la motivazione che, tuttavia, è un vizio dell’atto e non una ipotesi di inesistenza dello stesso.
In buona sostanza, la tesi recepita dalla giurisprudenza minoritaria si fonda su una non consentita equiparazione tra atto inesistente e atto viziato.
Una volta chiarito che la sentenza priva di motivazione è pur sempre una statuizione idonea a definire un grado del processo e che l’omessa motivazione costituisce una mera ipotesi di nullità, peraltro relativa, della sentenza impugnata, ne consegue l’insussistenza dell’ipotizzata privazione dell’imputato di un grado del procedimento.
7.4. Sulla base di tali considerazioni, deve affermarsi il principio di diritt secondo cui la totale mancanza di motivazione dà luogo ad una nullità relativa che, in quanto tale, non rientra tra quelle assolute o a regime intermedio in presenza delle quali l’art. 604, comma 4, cod. proc. pen., impone al giudice di appello di limitarsi all’annullamento della sentenza disponendo il rinvio degli atti al giudice di primo grado. L’omessa motivazione non comporta la privazione per l’imputato di un grado del giudizio, integrando esclusivamente la nullità della sentenza, che può
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essere sanata dal giudice di appello in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, mediante la redazione, anche integralmente, della motivazione mancante.
7.5. Una volta ritenuta la correttezza della soluzione recepita dal giudice di appello, che ha redatto la motivazione in relazione all’imputazione di cui al capo A – lett.o), deve pervenirsi al rigetto del motivo di ricorso, posto che l’imputato non ha formulato alcuna doglianza in ordine alla motivazione della sentenza di appello.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio in relazione ai fatti del capo a), lettere b), d), e), g), i), j), I) m), n), p), q), r) e s), nonchè ai fatti di cui alle lettere k) e o) limitata al periodo antecedente al 07/11/2011, perchè tali reati sono estinti per prescrizione.
In relazione ai fatti non coperti da prescrizione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari affinchè provveda alla rideterminazione della pena, tenendo conto per il solo capo A – lett.f) vi è stata l’integrale conferma della sentenza di condanna, mentre in relazione alle condotte di cui alle lett.k) e o) dovrà tenersi conto, ai fini del computo della pena, della parziale estinzione dei fatti per effetto della prescrizione.
Per i reati in relazione ai quali è stata confermata la condanna, il rinvio ai fini della sola determinazione della pena comporta la definitività dell’accertamento della responsabilità dell’imputato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ai fatti del capo A), lettere b), d), e), g), i), j), I) m), n), p), q), r) e s), nonchè ai fatti di cui alle k) e o) limitatamente al periodo antecedente al 07/11/2011, perchè tali reati sono estinti per prescrizione i rigetta nel resto il ricorso con riferimento ai fatti del capo A), lettera f), lettere k) e o), limitatamente ai reati non dichiarati prescritti, pe quali dispone il rinvio degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Cagliari per la rideterminazione della pena.
4 GLYPH Visto l’art. 624 c.p.p. dichiara la irrevocabilità della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato con riferimento ai reati anzidetti per i quali non è stata dichiarata la prescrizione,
Così deciso il 20 novembre 2024
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