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Peculato e truffa: la disponibilità giuridica del denaro

La Corte di Cassazione affronta il confine tra peculato e truffa, annullando una sentenza di condanna ai fini civili contro un dirigente pubblico. Al centro della decisione la nozione di “disponibilità giuridica” del denaro: per configurare il peculato, non basta predisporre atti falsi, ma è necessario che il funzionario abbia l’effettivo potere di ordinare il pagamento. In assenza di tale prova, il fatto potrebbe essere riqualificato come truffa, con importanti conseguenze sulla prescrizione e sul risarcimento del danno.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato e Truffa: Quando il Pubblico Ufficiale Risponde di Appropriazione?

La distinzione tra peculato e truffa è una delle questioni più complesse nell’ambito dei reati contro la Pubblica Amministrazione. Non si tratta di una mera disquisizione accademica: la corretta qualificazione del fatto ha implicazioni enormi sulla prescrizione del reato e, di conseguenza, sulle possibilità per l’ente pubblico danneggiato di ottenere il risarcimento. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 10062/2025) torna su questo tema cruciale, chiarendo quale sia l’elemento decisivo per distinguere le due fattispecie: la disponibilità giuridica del denaro.

I Fatti del Caso: un Direttore Amministrativo sotto accusa

Il caso riguardava il Direttore Amministrativo di un’azienda sanitaria locale (ASL), accusato di essersi appropriato di somme di denaro pubblico. Secondo l’accusa, il dirigente, in concorso con altri soggetti, avrebbe ottenuto pagamenti non dovuti attraverso la falsa prospettazione e liquidazione di servizi che sarebbero stati svolti da società esterne in favore dell’ente sanitario.

Nei primi due gradi di giudizio, il fatto era stato qualificato come peculato. Tuttavia, in appello, il reato era stato dichiarato estinto per prescrizione, ma erano state confermate le statuizioni civili, ovvero l’obbligo di risarcire il danno alla Regione e all’ASL.

La difesa del dirigente ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un punto fondamentale: il suo assistito non aveva mai avuto la disponibilità, materiale o giuridica, delle somme. Il suo compito, a suo dire, si limitava a trasmettere dei prospetti di liquidazione ad altri uffici (la Regione e l’azienda ospedaliera), i quali erano i veri soggetti titolari del potere di disporre il pagamento. Di conseguenza, la sua condotta non configurava un’appropriazione (peculato), ma un’induzione in errore (truffa). Se così fosse, la prescrizione sarebbe maturata molto prima, travolgendo anche le richieste di risarcimento.

La Questione Giuridica: il delicato confine tra Peculato e Truffa

Per comprendere la decisione della Corte, è essenziale chiarire la differenza tra i due reati:

* Peculato (art. 314 c.p.): Si configura quando il pubblico ufficiale si appropria di denaro o beni di cui ha già il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio. L’agente, in pratica, abusa di un potere che già ha.
* Truffa aggravata (art. 640 c.p.): Si verifica quando il funzionario, non avendo la disponibilità del bene, induce in errore con artifizi e raggiri un altro soggetto (che ha il potere di disporre del bene) per ottenere un ingiusto profitto. Qui, l’agente inganna chi ha il potere.

L’elemento discriminante è, quindi, la disponibilità del bene. Se il funzionario ha il potere autonomo di disporre del denaro, e se ne appropria, è peculato. Se invece deve ingannare un altro funzionario per farsi autorizzare un pagamento, è truffa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della difesa, annullando la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili e rinviando la causa a un giudice civile.

Il Concetto di “Disponibilità Giuridica” del Denaro Pubblico

La Cassazione ribadisce un principio consolidato: la disponibilità del denaro non è solo quella materiale (avere i soldi in mano), ma anche e soprattutto quella giuridica. Questa si identifica con il potere, conferito al pubblico agente, di emettere mandati di pagamento e impartire al tesoriere l’ordine di pagare. Questo soggetto è definito “ordinatore della spesa”.

L’Analisi del Ruolo dell'”Ordinatore della Spesa”

Il mero atto di “liquidazione” di una spesa (cioè la determinazione della somma da pagare) non coincide necessariamente con l'”ordinazione” del pagamento. La procedura di spesa pubblica, infatti, si articola in diverse fasi: impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento. È colui che ordina il pagamento ad avere la disponibilità giuridica dei fondi.

Le Motivazioni: la Carenza di Prova sulla Disponibilità del Denaro

La Corte ha ritenuto che le sentenze di merito (primo grado e appello) fossero carenti proprio su questo punto cruciale. I giudici avevano dato per scontato che il Direttore Amministrativo avesse la disponibilità delle somme solo perché predisponeva i “prospetti di pagamento” e perché i controlli successivi erano meramente formali. Questo ragionamento, secondo la Cassazione, è insufficiente.

Non è stato chiarito in modo inequivocabile chi fosse il soggetto che, all’interno della complessa procedura amministrativa, avesse il potere ultimo di emettere il mandato di pagamento. La sola pertinenza della spesa all’ufficio del dirigente o la natura formale dei controlli successivi non bastano a dimostrare la sua disponibilità giuridica. Era necessario accertare se egli avesse emesso “atti dispositivi” sulle somme o se la sua azione si fosse limitata a una fase istruttoria, per quanto fraudolenta, volta a ingannare il vero “ordinatore della spesa”.

Le Conclusioni: l’Annullamento con Rinvio e le Implicazioni Pratiche

La Suprema Corte ha concluso che, in assenza di una motivazione adeguata su chi detenesse l’effettivo potere dispositivo, non è possibile confermare la qualificazione del fatto come peculato. Di conseguenza, ha annullato la sentenza per quanto riguarda la responsabilità civile.

Ora la palla passa al giudice civile competente, che dovrà riesaminare l’intera vicenda per stabilire l’esatta qualificazione giuridica dei fatti. Se dovesse concludere che si trattò di truffa, dovrà verificare se la prescrizione, più breve, fosse già maturata prima della sentenza di primo grado. In tal caso, verrebbe meno anche l’obbligo di risarcimento del danno per l’imputato, con un esito radicalmente diverso per le parti civili coinvolte.

Qual è la differenza fondamentale tra peculato e truffa per un pubblico ufficiale secondo questa sentenza?
La differenza risiede nella “disponibilità giuridica” del denaro. Si ha peculato se il funzionario ha già il potere autonomo di ordinare un pagamento e se ne appropria. Si ha truffa, invece, se il funzionario non ha tale potere e deve ingannare un altro soggetto, che è il vero titolare del potere di spesa, per ottenere il pagamento.

La sola preparazione di documenti di pagamento falsi è sufficiente per configurare il reato di peculato?
No. Secondo la Corte, la sola predisposizione di prospetti di liquidazione, anche se falsi, non è di per sé sufficiente. È necessario dimostrare che il funzionario che li ha redatti avesse anche il potere giuridico di emettere un ordine di pagamento vincolante, cioè di essere l'”ordinatore della spesa”. Se la sua azione si limita a una fase istruttoria per indurre in errore chi poi effettivamente paga, il reato configurabile è la truffa.

Cosa succede alle richieste di risarcimento danni (statuizioni civili) in un caso come questo?
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza riguardo alle statuizioni civili e ha rinviato il caso a un giudice civile. Questo giudice dovrà riqualificare il fatto. Se lo qualificherà come truffa, dovrà verificare se la prescrizione del reato era già intervenuta prima della sentenza di primo grado. In caso affermativo, anche l’obbligo di risarcire il danno verrebbe meno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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