Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 31600 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 31600 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Crotone il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2023 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria di replica depositata dall’AVV_NOTAIO, che ha insistito nei motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impegnata, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della sentenza emessa il 17 febbraio 2020 dal Tribunale di Crotone, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di COGNOME NOME in ordine ai reati di cui
all’art. 479 cod. pen. a lui ascritti per maturata prescrizione e, per l’effetto, h ridotto la pena inflittagli ad anni tre, mesi cinque e giorni venti di reclusione i relazione ai reati di peculato.
Nella prima parte dell’imputazione, si contesta all’imputato, ufficiale giudiziario addetto alla notifica a mezzo del servizio postale, di avere falsamente compilato delle distinte di accompagnamento degli atti giudiziari, comprese nel periodo dal 12 settembre 2014 al 31 aprile 2015, nelle quali erano annotati, ai fini del rimborso da parte dello Stato all’Ente posta, per la notifica degli att esenti da spese, atti giudiziari che non erano suscettibili di esenzione, in quanto non afferenti alle materie esenti da spese a carico delle parti, così trattenendo per sé le somme versate dai richiedenti per la spesa di notifica complessivamente pari a euro 3.943,00 (capo A).
Analoga condotta è contestata, nella seconda parte dell’imputazione, in relazione al periodo dal 2012 all’il settembre 2014 per spese di notifica complessivamente pari ad euro 13.723,65.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi.
2.1. Nullità della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., per essersi svolto il dibattimento con rito camerale non partecipato sebbene la prima udienza del 4 ottobre 2022 fosse stata fissata “in presenza” e senza che si fosse provveduto ad una comunicazione della differente trattazione “cartolare” per l’udienza differita al 28 febbraio 2023.
Il 15 settembre 2022, il Presidente del Tribunale, in coincidenza con gli adempimenti elettorali, disponeva la sospensione delle udienze penali dal 26 settembre al 10 ottobre 2022 e, conseguentemente, rinviava l’udienza del 4 ottobre 2022 al 28 febbraio 2023 per gli stessi incombenti (poi ulteriormente rinviata all’udienza del 27 giugno 2023 per impedimento di un membro del Collegio).
Qualche giorno prima dell’udienza, il AVV_NOTAIO Generale depositava le conclusioni di udienza non partecipata, facendo riferimento all’art. 23-bis d l. 137/2020. L’imputato depositava, quindi, una memoria con la quale eccepiva che il decreto di citazione aveva disposto la fissazione di udienza partecipata, e chiedeva, conseguentemente un rinvio.
La proroga applicativa del regime ennergenziale sino al 31 dicembre 2022 è riferibile all’art. 94 del D.Igs. 150/22.
Con riguardo ai giudizi penali di appello, infatti, l’art. 23-bis del d.l. 137/2020, che, solo fino al 31 luglio 2021, consentiva la decisione d’appello sulla scorta di un giudizio cartolare in camera di consiglio non partecipata, ha subito
una proroga applicativa in forza dell’art. 94 cit. La riforma gartah . ca, pur prevedendo l’applicazione immediata del novellato art. 599 cod. proc. pen. ai giudizi pendenti non può incidere sulle modalità di trattazione già decise e comunicate dalla Corte d’appello con il decreto di citazione, salva ovviamente l’ipotesi di una nuova citazione dal differente tenore che non c’è stata.
2.2. GLYPH Violazione di legge in relazione all’art. 314 cod. pen.
La condotta contestata a COGNOME è riconducibile nell’alveo del reato di truffa. La falsificazione delle distinte non era lo strumento di occultamento del reato di peculato ma quello di realizzazione del delitto di truffa. Le distinte costituiscono l’unico elemento di qualificazione di esenzione delle raccomandate e venivano redatte prima delle spedizioni. Le distinte modificate servivano non certo all’occultamento del reato di peculato – nessun reato si era ancora perfezionatoma erano lo strumento necessario a produrre l’ingiusto profitto traendo in inganno l’ufficiale postale. Solo dopo tale raggiro il denaro ottenuto mediante l’artificio della falsificazione delle distinte diveniva prodotto del reato di truf che, intanto, si era già perfezionato.
2.3. GLYPH Vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del reato di truffa al posto di quello di peculato.
Il reato può così riassumersi nella sua sequenza cronologica: COGNOME 1) ritirava dallo sportello di ricezione gli atti da notificare insieme alle somme versate dagli avvocati; 2) redigeva specifica di spedizione indicando a margine il tipo di atto: esente ovvero a pagamento; 3) si recava allo sportello postale dove provvedeva a versare solo le somme dovute per le spedizioni che venivano accettate a pagamento; 4) mediante la accettazione di numerosi atti esenti che dovevano essere, invece, spediti a pagamento, produceva il residuo del quale si appropriava.
2.4. Violazione di legge per avere la sentenza erroneamente ritenuto la fattispecie appropriativa contestata nell’ipotesi di peculato mentre la condotta relativa al primo periodo in contestazione – in conseguenza delle restituzioni già avvenute – non è stata per nulla valutata ai fini della assoluzione, ovvero del riconoscimento del peculato d’uso ovvero della riduzione della pena.
2.5. GLYPH Vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio.
L’assenza di precedenti penali, la condotta posta in essere dall’imputato nell’esecuzione del reato – avendo egli stesso collaborato, rendendo immediate dichiarazioni e adoperandosi ai fini delle restituzioni le condizioni di vita individuale familiare sociale non sono state prese in considerazione ai fini della determinazione della pena e della concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato e incentrato nell’evidenziare come la proroga applicativa del regime ennergenziale stabilita dall’art. 94 del d.lgs. 150/22 per tutti i giudizi di impugnazioni pendenti sino al 30 giugno 2023 non sarebbe applicabile al caso di specie in virtù del primigenio decreto di citazione del 21 aprile 2022 (per l’udienza del 4 ottobre 2022), che nulla avrebbe disposto in merito ad un processo da svolgersi solo in via cartolare, trascurando come a quell’epoca la disciplina emergenziale ai sensi dell’art. 23-bis I. 176/2020 (in virtù della quale la trattazione orale doveva essere oggetto di esplicita richiesta di una delle parti) fosse ancora pienamente in vigore, in quanto prorogata dall’art. 16 d.l. 30 dicembre 2021, n. 228 sino al 31 dicembre 2022, onde non era dovuta l’ ulteriore esplicitazione sul punto nel citato decreto, come evidenziato, puntualmente, dalla Corte territoriale.
Peraltro, occorre evidenziare che nel verbale di udienza si dà atto che nessuna delle parti aveva chiesto la trattazione orale.
3. Il secondo motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato.
Il profilo di diritto, rapportato alla vicenda storica ricostruita in virtù de elementi riportati essenzialmente dal giudice di primo grado, è stato correttamente scrutinato e valutato dal Giudice d’appello in conformità ai principi ermeneutici stabiliti ai fini della distinzione tra il reato di truffa (prospettato difensore) e quello di peculato (per il quale vi è condanna). L’attività appropriativa del denaro, che era già entrato nella disponibilità del ricorrente (quale ufficiale giudiziario dell’UNEP di Crotone addetto alla notifica degli atti giudiziari), era posta in essere al momento del versamento da parte dei privati dell’importo utile per la spedizione degli atti, là dove, poi, l’attività falsificazione dei registri è stata coerentemente ricondotta ad una mera opera di occultamento della illecita locupletazione già perpetrata.
I Giudici di merito si sono correttamente conformati al principio di diritto secondo il quale l’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truff aggravata, ai sensi dell’art. 61 n. 9, cod. pen., va individuato con riferimento alle modalità del possesso del denaro o di altra cosa mobile altrui oggetto di appropriazione, ricorrendo la prima figura quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio se ne appropri avendone già il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio, e ravvisandosi invece la seconda ipotesi quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se
lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri per appropriarsi del bene (Sez. 6 n. 46799 del 20/06/2018, COGNOME, Rv.).
3.1. Per contro, la difesa, al fine di sostenere la sussistenza degli estremi della truffa, ipotizza che, nella fase dell’impossessamento, il ricorrente avesse conseguito la mera “detenzione” del denaro, per poi attuare il meccanismo frodatorio delle falsificazioni del registro per trarre in inganno la Pubblica Amministrazione e ottenere il possesso del bene, trascurando, pur tuttavia, la ricostruzione fattuale accreditata, che porta ad affermare la coincidenza tra la predetta “detenzione fiduciaria” e la interversio possessionis, posto che, conseguita la disponibilità del denaro, non vi è traccia di una sua destinazione di fatto alla Pubblica Amministrazione e di un suo impossessamento solo successivo da parte di COGNOME.
Il terzo motivo è generico perché non si confronta con la esaustiva motivazione della Corte di appello sul punto.
La sentenza impugnata ha ben spiegato le ragioni che portano inequivocabilmente a ritenere sussistenti gli estremi del reato di peculato richiamando la giurisprudenza di questa Corte che sottolinea come le somme versate dal privato all’ufficiale giudiziario, ausiliario di giustizia, nel moment stesso in cui esse escono dalla sfera di disponibilità del privato per finalità di giustizia, diventano di proprietà dell’amministrazione, con quel preciso vincolo di destinazione che è dato dalla causale genetica della consegna della somma stessa all’Ufficiale giudiziario (Sez. 6, n. 18177 del 03/03/2016, COGNOME, Rv. 266985 – 01).
5. Il quarto motivo è anch’esso generico.
Appare corretta la mancata differenziazione tra le condotte contestate nel primo periodo (dal 20 settembre 2014 al 31 aprile 2015) – in relazione al quale sarebbe avvenuta una restituzione all’UNEP delle somme sottratte – e quelle successive; ciò sulla base di una interpretazione del materiale probatorio che ha condotto il Collegio giudicante a ritenere tali restituzioni affatto spontanee, ma indotte dall’essere stati scoperti gli ammanchi dal dirigente dell’ufficio e da questi denunciati al Presidente del Tribunale; solo a quel punto l’imputato, vistosi scoperto, si è autodenunciato.
La Corte di appello si è correttamente adeguata alla regula iuris secondo la quale la circostanza attenuante del ravvedimento operoso, di natura soggettiva, richiede che la condotta resipiscente, posta in essere dopo la consumazione del reato, ma prima del giudizio, per elidere o attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato, sia spontanea e determinata da motivi interni, senza
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pressioni o costrizioni e non influenzata da fattori quali l’arresto e lo stato d detenzione (ex multis Sez. 5 n. 17226 del 09/12/2019, Pronesti, Rv. 279167).
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Il quinto motivo è riproduttivo di censura già adeguatamente vagliata e disattesa con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.
La difesa censura unicamente la pena, come non adeguatamente determinata, favorendo il ricorso ad ulteriori criteri ex art. 133 cod. pen., come maggiormente persuasivi, nonostante un percorso motivazionale della sentenza impugnata completo nel valorizzare quelli considerati prevalenti, attinenti sia alla gravità del fatto (per la durata delle condotte, che si sono protratte per circa tre anni), che per l’intensità del dolo.
Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione, erra la difesa nel calcolo della pena poiché i giudici sono partiti dalla pena base di anni cinque di reclusione (pari a mesi sessanta) e hanno effettuato la riduzione ex art. 62-bis, cod. pen. esattamente di 1/3 (mesi quaranta), e quindi nella massima estensione richiesta, per poi effettuare l’aumento ex art. 81, secondo comma, cod. pen. di mesi uno e giorni venti, così giungendo alla pena di anni tre, mesi cinque e giorni venti di reclusione.
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa dell ammende.
Così deciso il 15 maggio 2024