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Peculato e truffa: la Cassazione chiarisce i confini

Un ufficiale giudiziario si appropriava di somme destinate a notifiche postali, falsificando le distinte di accompagnamento. La difesa sosteneva si trattasse di truffa, ma la Cassazione ha confermato la condanna per peculato. La sentenza chiarisce la distinzione tra peculato e truffa, sottolineando che il reato di peculato si configura quando il pubblico ufficiale ha già il possesso del denaro per ragioni del suo ufficio. La successiva falsificazione dei documenti costituisce solo un’attività per occultare l’appropriazione già avvenuta.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato e Truffa: La Cassazione Traccia la Linea di Confine

La distinzione tra peculato e truffa rappresenta un tema giuridico di grande rilevanza, specialmente quando coinvolge pubblici ufficiali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 31600/2024) offre un’analisi chiara e decisiva su questo confine, stabilendo che il criterio fondamentale risiede nel momento in cui il soggetto acquisisce la disponibilità del bene. Il caso esaminato riguarda un ufficiale giudiziario che si è appropriato di somme di denaro destinate alle notifiche postali, generando un dibattito sulla corretta qualificazione del reato.

I Fatti: L’Ufficiale Giudiziario e le Somme per le Notifiche

Un ufficiale giudiziario, addetto alle notifiche a mezzo posta, è stato accusato di aver falsificato le distinte di accompagnamento degli atti giudiziari. In pratica, riceveva dai legali le somme necessarie per le spese di notifica ma, invece di versarle interamente all’ente postale, annotava falsamente che molti atti erano ‘esenti da spesa’. In questo modo, tratteneva per sé la differenza tra quanto incassato e quanto effettivamente versato, per un ammontare complessivo di diverse migliaia di euro in un arco temporale di alcuni anni.
La Corte di Appello, pur dichiarando prescritti i reati di falso, lo aveva condannato per il reato di peculato, riducendo la pena inflitta in primo grado. L’imputato ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Tesi Difensiva: Non Peculato, ma Truffa

La difesa dell’imputato ha sostenuto che la condotta non dovesse essere qualificata come peculato (art. 314 c.p.), bensì come truffa (art. 640 c.p.). Secondo questa linea argomentativa, la falsificazione delle distinte non era un’azione successiva per nascondere l’appropriazione, ma lo strumento fraudolento (l’artificio o raggiro) necessario per indurre in errore l’ufficiale postale e ottenere così un ingiusto profitto. In altre parole, l’imputato non avrebbe avuto il pieno possesso del denaro, ma solo una mera detenzione, e se ne sarebbe impossessato solo attraverso il meccanismo fraudolento.

La Distinzione tra Peculato e Truffa secondo la Cassazione

La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva e dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna per peculato. I giudici hanno chiarito in modo netto i criteri per distinguere i due reati in casi come questo.

Il Momento del Possesso è Decisivo

L’elemento chiave, secondo la Corte, è che l’ufficiale giudiziario aveva già il possesso o, comunque, la piena disponibilità giuridica del denaro per ragione del suo ufficio. Nel momento stesso in cui i legali gli consegnavano le somme per le notifiche, quel denaro entrava nella sua sfera di disponibilità in qualità di pubblico ufficiale. Non si trattava di una mera detenzione materiale, ma di un possesso qualificato dalla funzione pubblica.
Il delitto di peculato si consuma, quindi, con l’appropriazione del bene di cui si ha già la disponibilità. Ricorre invece la truffa quando il pubblico ufficiale, non avendo il possesso del bene, se lo procura fraudolentemente tramite artifici o raggiri.

La Falsificazione come Mero Occultamento

Di conseguenza, la falsificazione delle distinte non è stata l’azione che ha permesso l’impossessamento, ma un’attività successiva posta in essere al solo fine di occultare l’appropriazione già avvenuta. Era una mera opera di occultamento della illecita locupletazione già perpetrata, e non il mezzo per realizzarla.

Altri Motivi di Ricorso Respinti

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi di ricorso.

La Procedura “Cartolare”

La difesa aveva lamentato lo svolgimento dell’udienza d’appello con rito ‘cartolare’ (cioè solo sugli atti scritti), nonostante la convocazione iniziale fosse per un’udienza in presenza. La Cassazione ha ritenuto il motivo infondato, poiché la normativa emergenziale, all’epoca ancora in vigore, prevedeva il rito cartolare come regola, a meno di una richiesta esplicita di trattazione orale che, nel caso di specie, non era stata presentata da nessuna delle parti.

Il Mancato Riconoscimento del Ravvedimento Operoso

L’imputato aveva restituito parte delle somme, ma la Corte ha stabilito che tale gesto non integrava l’attenuante del ravvedimento operoso. Questo perché la restituzione non era stata spontanea e determinata da motivi interni di resipiscenza, ma era avvenuta solo dopo che gli ammanchi erano stati scoperti dai suoi superiori. La spontaneità è un requisito essenziale per l’applicazione di tale attenuante.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale. Il principio di diritto affermato è che l’elemento distintivo tra il delitto di peculato e quello di truffa aggravata va individuato nelle modalità di acquisizione del possesso del bene. Si ha peculato quando il pubblico ufficiale si appropria di un bene di cui ha già la disponibilità per ragioni del suo ufficio. Si ha truffa, invece, quando il soggetto attivo, non avendo tale possesso, se lo procura fraudolentemente. Nel caso di specie, le somme versate dai privati all’ufficiale giudiziario diventavano di proprietà dell’amministrazione nel momento stesso della consegna, con un preciso vincolo di destinazione. L’appropriazione di tali somme da parte dell’ufficiale integra, pertanto, pienamente il reato di peculato.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale per i reati contro la Pubblica Amministrazione. Per gli operatori del diritto e per i pubblici ufficiali, la pronuncia serve da monito: la disponibilità di denaro o beni altrui in virtù della propria funzione pubblica comporta un dovere di gestione e custodia che, se violato con un atto di appropriazione, configura il grave delitto di peculato, a prescindere da eventuali artifizi successivi per mascherare la condotta. La decisione chiarisce che il confine tra le due fattispecie di reato è netto e dipende dalla preesistenza del possesso qualificato in capo all’agente pubblico.

Qual è la differenza fondamentale tra peculato e truffa per un pubblico ufficiale?
La differenza risiede nel possesso del bene. Si ha peculato quando il pubblico ufficiale si appropria di denaro o beni di cui ha già la disponibilità per ragioni del suo ufficio. Si ha truffa, invece, quando il pubblico ufficiale non ha il possesso del bene e se lo procura utilizzando artifici o raggiri per ingannare qualcuno.

Quando la restituzione del denaro sottratto può essere considerata un’attenuante (ravvedimento operoso)?
Secondo la Corte, la restituzione integra l’attenuante del ravvedimento operoso solo se è spontanea e determinata da motivi interiori di pentimento. Non è considerata tale se avviene a seguito di pressioni esterne, come l’essere stati scoperti o arrestati.

Un’udienza d’appello può svolgersi solo “su carta” (rito cartolare) anche se inizialmente era prevista la presenza delle parti?
Sì, può svolgersi con rito cartolare se la legge lo consente. Nel caso specifico, la normativa emergenziale in vigore al tempo dei fatti prevedeva il rito cartolare come modalità ordinaria, a meno che una delle parti non avesse fatto esplicita richiesta di trattazione orale, cosa che non era avvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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