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Peculato e natura pubblica: Cassazione annulla

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per peculato a carico di un dirigente e di un avvocato. La questione centrale era se la società per cui lavorava il dirigente avesse una natura pubblica, presupposto essenziale per il reato. Data la grande incertezza giuridica sulla qualifica dell’ente all’epoca dei fatti, la Corte ha ritenuto non sufficientemente provato il dolo (la consapevolezza di commettere il reato), rinviando il caso per un nuovo esame. La sentenza sottolinea come l’incertezza sulla norma extrapenale che definisce la natura pubblica di un soggetto possa tradursi in un dubbio insuperabile sull’elemento psicologico del reato.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato e Natura Pubblica: Quando l’Incertezza Giuridica Annulla la Condanna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaperto il dibattito su un tema cruciale del diritto penale: il reato di peculato e la natura pubblica dell’ente danneggiato. Con la pronuncia in esame, i giudici hanno annullato con rinvio la condanna di un dirigente e di un avvocato, sottolineando come l’oggettiva incertezza sulla qualifica giuridica di una società possa far venir meno la prova del dolo, ovvero la consapevolezza di commettere un illecito. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i requisiti del reato di peculato e l’impatto dell’errore sulla legge extrapenale.

I Fatti del Processo

Il caso riguardava un direttore amministrativo e un avvocato esterno di un gruppo societario, accusati di peculato per una serie di bonifici effettuati tra il 2008 e il 2013. Secondo l’accusa, tali somme, formalmente destinate a pagare onorari professionali, costituivano in realtà un’appropriazione indebita, in quanto non corrispondenti a prestazioni realmente eseguite. Dopo una condanna in primo grado e una parziale riforma in appello (con un’assoluzione e la prescrizione per alcuni episodi), la vicenda è giunta dinanzi alla Suprema Corte.

La Questione Giuridica: Il Nesso tra Peculato e Natura Pubblica dell’Ente

Il fulcro della difesa e, successivamente, della decisione della Cassazione, ruotava attorno a un presupposto fondamentale del reato di peculato (art. 314 c.p.): la qualifica soggettiva dell’autore del reato. Perché si configuri il peculato, è necessario che chi si appropria del denaro sia un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio.

Nel caso specifico, la qualifica del dirigente dipendeva strettamente dalla natura giuridica della società per cui operava. I giudici di merito avevano affermato la natura pubblica della società, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite Civili del 2019 che l’aveva definita ‘organismo di diritto pubblico’. Tuttavia, questa qualificazione era tutt’altro che pacifica all’epoca dei fatti contestati.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i ricorsi degli imputati, smontando l’impianto accusatorio basato su una qualifica giuridica controversa. I giudici hanno evidenziato che la sentenza delle Sezioni Unite del 2019, pur importante, era intervenuta anni dopo i fatti e per risolvere un contrasto giurisprudenziale in materia di appalti pubblici, non per definire in modo assoluto la natura dell’ente ai fini penali. Prima di tale decisione, la natura privata della società era stata a lungo data per assodata, anche a causa di prassi gestionali (assunzioni, ripartizione utili) tipiche del settore privato.

Questa oggettiva incertezza normativa, secondo la Corte, ha un impatto diretto sull’elemento psicologico del reato. Non si poteva pretendere che gli imputati, all’epoca dei fatti, fossero consapevoli della natura pubblicistica del loro ruolo, un presupposto che neanche la giurisprudenza aveva chiarito. La Corte ha affermato che l’errore sulla qualifica soggettiva, derivante da una complessa e dibattuta norma extrapenale, non può essere superato con leggerezza. In particolare, per l’avvocato (soggetto extraneus al reato), era necessario dimostrare che avesse l’effettiva consapevolezza della qualifica pubblica del dirigente (intraneus), un onere probatorio che l’accusa non ha soddisfatto.

Le Conclusioni

La Corte ha quindi annullato la sentenza di condanna e rinviato il processo ad un’altra sezione della Corte d’Appello. Il nuovo giudice dovrà riesaminare il caso alla luce di due principi fondamentali: primo, verificare se l’attività concreta svolta dal dirigente fosse tale da qualificarlo come incaricato di pubblico servizio; secondo, e più importante, accertare se tale qualifica fosse ‘conoscibile’ all’epoca, o se l’incertezza giuridica rendesse l’errore sulla propria posizione ‘inevitabile’. La sentenza ribadisce un principio di garanzia fondamentale: la responsabilità penale deve essere accertata ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’, e tale dubbio può riguardare non solo i fatti, ma anche la conoscibilità delle complesse norme che definiscono i presupposti di un reato.

Quando si configura il reato di peculato?
Il reato di peculato si configura quando un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio si appropria di denaro o di un altro bene mobile di cui ha la disponibilità a causa del suo ufficio o servizio.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo caso?
La condanna è stata annullata perché, all’epoca dei fatti, esisteva una forte e oggettiva incertezza giuridica sulla natura pubblica della società coinvolta. Secondo la Corte, questa incertezza rendeva difficile provare che gli imputati fossero consapevoli (avessero il dolo) di agire in un contesto pubblicistico, un presupposto necessario per il reato di peculato.

Un professionista esterno può essere condannato per peculato in concorso con un dirigente?
Sì, un professionista esterno (extraneus) può concorrere nel reato di peculato commesso dal dirigente (intraneus). Tuttavia, la sentenza specifica che è necessario dimostrare che l’extraneus fosse concretamente a conoscenza della qualifica pubblica dell’intraneus e, quindi, della natura illecita dei fatti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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