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Peculato e incaricato di pubblico servizio: la Cassazione

Un dipendente comunale, delegato alla gestione dei fondi di una persona interdetta, si appropriava di una somma di denaro. Condannato per peculato, ricorreva in Cassazione sostenendo di non essere un incaricato di pubblico servizio. La Suprema Corte ha rigettato tale tesi, chiarendo che la qualifica dipende dalle funzioni concretamente svolte, che nel caso di specie implicavano autonomia e discrezionalità. Tuttavia, la sentenza è stata annullata per prescrizione del reato, pur confermando le statuizioni civili a carico dell’imputato.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato e Incaricato di Pubblico Servizio: Quando un Dipendente Pubblico Risponde del Reato?

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 26358/2025 offre un’importante analisi sulla figura dell’incaricato di pubblico servizio e sui presupposti del reato di peculato. Il caso riguarda un dipendente comunale che si è appropriato di fondi destinati a una persona sotto tutela, sollevando la questione fondamentale: quando un’attività meramente amministrativa travalica i confini dell’esecuzione per assumere rilevanza penale? Analizziamo la decisione della Suprema Corte.

I Fatti: La Gestione “Disinvolta” dei Fondi di un Soggetto Tutelato

Un dipendente dell’Ufficio Tutele di un Comune, incaricato di gestire il patrimonio di una persona interdetta, riceveva dal locatore di un immobile di proprietà di quest’ultima la somma di 1.920,48 euro a titolo di residuo dei canoni di affitto. Anziché versare tale importo sui conti della persona tutelata e registrarlo contabilmente, il dipendente se ne appropriava, trattenendolo per sé.

Condannato in primo grado e in appello per il reato di peculato, l’imputato presentava ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali.

L’Iter Giudiziario e i Motivi del Ricorso in Cassazione

L’imputato contestava la sua condanna sostenendo:

1. Errata qualificazione soggettiva: A suo dire, non poteva essere considerato un incaricato di pubblico servizio ai sensi dell’art. 358 c.p., in quanto le sue mansioni erano puramente esecutive e prive di qualsiasi autonomia decisionale. Egli si definiva un mero impiegato che svolgeva compiti amministrativi sotto la direzione altrui.
2. Insussistenza del reato di peculato: Contestava la mancanza di prove certe sull’appropriazione e sull’elemento soggettivo (il dolo), suggerendo che la somma potesse essere andata persa a causa della confusione gestionale dell’ufficio.
3. Vizio di motivazione: Lamentava che la Corte d’Appello, pur concedendogli la sospensione condizionale della pena, non aveva fornito alcuna spiegazione per la mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato dettagliatamente i motivi del ricorso, giungendo a conclusioni distinte per ciascuno di essi.

La Qualifica di Incaricato di Pubblico Servizio

La Corte ha respinto con fermezza il primo motivo, definendolo manifestamente infondato. Secondo i giudici, per stabilire se un soggetto sia o meno un incaricato di pubblico servizio, non bisogna guardare alla qualifica formale, ma alle funzioni concretamente svolte.

Nel caso specifico, l’imputato non si limitava a compiti seriali o meramente materiali. Dalle prove era emerso che egli aveva una specifica delega a maneggiare denaro e gestiva in autonomia numerose pratiche: dichiarazioni dei redditi, gestione di pensioni, predisposizione di modelli ISEE, transazioni bancarie, riscossione di crediti e persino l’assunzione e il pagamento delle badanti per le persone tutelate.

Queste attività, secondo la Cassazione, implicavano necessariamente “attività di scelta, valutazione, controllo e decisione”, caratterizzate da “profili di discrezionalità o autonomia decisionale”. Pertanto, la sua qualifica di incaricato di pubblico servizio era pienamente giustificata.

La Prova dell’Appropriazione e del Dolo

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha sottolineato come la materialità del fatto (la ricezione del denaro e il suo mancato versamento e contabilizzazione) fosse pacifica. L’elemento cruciale era l’intenzione di appropriarsene (dolo).

I giudici hanno escluso la tesi della mera disattenzione, considerandola inverosimile. L’imputato non aveva effettuato alcuna annotazione e, soprattutto, aveva mentito al suo superiore, affermando di aver accantonato la somma in attesa di un reclamo da parte dell’ex inquilino. Questo comportamento, secondo la Corte, denotava in modo inequivocabile la volontà di comportarsi uti dominus (come se fosse il proprietario) e di escludere la possibilità di un errore colposo.

Il Vizio di Motivazione sulla “Non Menzione”

Il terzo motivo è stato, invece, accolto. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: la sospensione condizionale della pena e la non menzione della condanna sono due benefici distinti, con finalità diverse. Se il giudice concede il primo ma nega il secondo, ha l’obbligo di fornire una motivazione specifica e puntuale, spiegando le ragioni della sua decisione discrezionale sulla base degli elementi dell’art. 133 c.p. (gravità del reato e capacità a delinquere del colpevole).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva omesso completamente di motivare il diniego della non menzione, incorrendo in un vizio che ha determinato l’annullamento della sentenza.

Le Conclusioni

Nonostante l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, la vicenda processuale si è conclusa in modo inaspettato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il reato estinto per intervenuta prescrizione, essendo trascorso il tempo massimo previsto dalla legge dalla data di commissione del fatto (1 ottobre 2012).

Di conseguenza, la sentenza penale è stata annullata senza rinvio. Tuttavia, la Corte ha confermato le statuizioni civili, condannando l’imputato al risarcimento dei danni in favore della parte civile (il Comune) e alla rifusione delle spese legali. Questa decisione evidenzia come, anche in caso di estinzione del reato per prescrizione, le conseguenze civili della condotta illecita possano rimanere valide.

Quando un dipendente comunale può essere considerato un incaricato di pubblico servizio?
Un dipendente comunale è considerato incaricato di pubblico servizio quando le sue funzioni, anche se prevalentemente amministrative, non sono meramente esecutive ma implicano profili di discrezionalità, autonomia decisionale, valutazione o controllo. La gestione di denaro per conto dell’ente o di terzi è un elemento particolarmente qualificante in tal senso.

Cosa succede se un reato si estingue per prescrizione dopo una condanna in appello?
La Corte di Cassazione annulla la sentenza di condanna senza rinvio. Ciò significa che, dal punto di vista penale, la condanna viene meno e non risulta nel casellario giudiziale. Tuttavia, la Corte può confermare le statuizioni civili, obbligando l’imputato a risarcire il danno alla parte civile.

Il giudice deve sempre motivare la mancata concessione della non menzione della condanna?
Sì. Se il giudice concede la sospensione condizionale della pena ma nega il beneficio della non menzione della condanna, ha l’obbligo specifico di motivare le ragioni di tale diniego. La mancanza di motivazione su questo punto costituisce un vizio della sentenza che può portarne all’annullamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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