Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 209 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 209 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 19/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Milano il 29/06/1956 avverso la sentenza del 28/11/2022 della Corte di appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore delle parti civili, Comune di Assago e Comune di Cantù, avvocato NOME COGNOME sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso riportandosi alle conclusioni scritte; udito per il ricorrente il difensore, avvocato NOME COGNOME che si è riportato al ricorso insistendo per l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Milano, su appello dell’imputato e della parte civile Comune di Assago, ha confermato la condanna di NOME COGNOME alla pena di anni quattro di reclusione, e, in riforma della sentenza di assoluzione, ai soli effetti
civili, lo ha condannato al risarcimento del danno, da determinare in separata sede, in favore del Comune di Assago.
NOME COGNOME in qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE” (RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 24 ottobre 2013, incaricata del pubblico servizio di riscossione delle imposte di numerosi Comuni lombardi, è stato ritenuto responsabile del reato di peculato (art. 314 cod. pen.), con condotte dal 2011 alla data del fallimento, per essersi appropriato, in tempi diversi, delle somme riscosse da riversare pro quota agli enti impositori e, in particolare, ai Comuni di Arena Po e Fontanigorda. E’ stato dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici ed è stata disposta la confisca per equivalente della somma di euro 224.827,08 di cui si era appropriato in danno dei predetti Comuni. Il Tribunaie di Milano aveva dichiarato prescritti i reati di appropriazione indebita (così riqualificato il delitto peculato sub capo a) e bancarotta semplice contestato al capo b), in relazione ad altri Comuni lombardi (fra i quali, in primo grado, il Comune di Assago, poi appellante), per i quali non si era ritenuto provato che la società avesse agito quale addetto alla riscossione (piuttosto che sub affidataria di attività delegate dalle concessionarie degli Enti, “Equitalia” e “Creset”).
2.Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi detart. 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione il ricorrente denuncia:
2.1. erronea applicazione della legge penale (art. 314 cod. pen.) con riferimento alla individuazione del momento consumativo del reato di peculato ed al momento di appropriazione delle somme che è stato fatto coincidere con il momento di riscossione delle somme e che, secondo le convenzioni con gli enti, sarebbe dovuto avvenire al più presto e al massimo entro il trimestre successivo. La Corte di appello ha individuato il momento consumativo del reato in contrasto con i principi affermati nella giurisprudenza che, invece, individuano, ai fini del perfezionamento del reato con l’appropriazione delle somme, il termine di rendicontazione che, nel caso in esame, costituiva il risultato di operazioni in contraddittorio tra le parti, come dichiarato dalla teste di parte civile Comune di Assago in dibattimento, rendicontazione che presupponeva il calcolo con l’aggio dovuto alla società “RAGIONE_SOCIALE” e con i crediti per altri servizi fatturati agli enti. Secondo la giurisprudenza di legittimità, il mero ritardo non è sufficiente ai fini dell integrazione degli elementi strutturali del reato e dell’elemento psicologico del reato, anche tenuto conto che le somme di spettanza dell’ente venivano regolarmente annotate nelle scritture contabili della società. Né è sufficiente, a questo fine, la confusione (necessitata) che si viene a determinare, in conseguenza della natura fungibile del denaro, con i beni della società.
Rileva, altresì, con riguardo al credito di spettanza del Comune di Fontanigorda (ascendente a euro 79.316,99) che il Comune, in sede di ammissione al passivo (cfr. verbale del 12 marzo 2014), non era stato in grado di determinare compiutamente il proprio credito, non essendo ancora conclusa l’attività di rendicontazione e che l’ammissione al chirografo nell’importo indicato era stata fatta “con riserva di procedere alla compensazione dell’aggio”.
Osserva, infine, che l’obbligo di versamento dei tributi riscossi direttamente su conti correnti dell’ente impositore è stato introdotto solo con la I. 160/2019 (in epoca successiva ai fatti per i quali si procede) e, quindi, ribadisce la legittimità della procedura di riscossione fino ad allora praticata con il versamento dei tributi sui conti dell’ente incaricato della riscossione;
2.2. cumulativi vizi di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento al Comune di Assago, il versamento delle somme è stato fatto coincidere con la riscossione, o, contraddittoriamente, con il termine trimestrale dalla riscossione, in mancanza della individuazione di un termine contrattuale e trascurando (cfr. dichiarazioni della teste COGNOME) che il riversamento era conseguente alla rendicontazione. Tanto la motivazione è contraddittoria che la sentenza impugnata ha rimesso in sede civile la determinazione delle somme di spettanza del Comune di Assago e, quindi, del danno;
2.3. erronea applicazione della legge penale (art. 322-ter cod. pen.) in relazione alla determinazione della somma oggetto di confisca (euro 224,827,08) derivante dalla somma algebrica degli importi non versati al Comune di Arena Po (euro 152.824,08) e Fontanigorda. La somma indicata, deriva dalla sommatoria dei crediti chirografari ammessi al passivo senza scomputare le competenze spettanti alla società “RAGIONE_SOCIALE“, maturate per effetto dell’attività svolta e che, tenuto conto della natura del reato per cui si procede, in cui l’illecito si inserisce nella esecuzione come elemento accidentale (e non costituisce la causa tipica del contratto), il “profitto confiscabile deve essere concretamente determinato, al netto dell’effettiva utilità conseguita eventualmente dal danneggiato e dalla cui omissione conseguirebbe un ingiustificato arricchimento”.
A tal riguardo, il ricorrente (cfr. pag. 16) sostiene che, scomputato l’aggio maturato e l’importo di fatture emesse e non pagate, la somma oggetto di profitto illecito ascende a euro 27.470,44, per il Comune di Fontanigorda e a importo nettamente inferiore, per quella determinata in sentenza come oggetto di profitto, per il Comune di Arena Po.
2.4. erronea applicazione della legge penale (art. 358 cod. pen.), con riguardo alla qualifica soggettiva del ricorrente quale incaricato di pubblico servizio con riferimento al Comune di Assago. La Corte non ha accertato se la società “RAGIONE_SOCIALE” fosse legata a detto Comune da rapporti diretti con l’Ente oppure con “RAGIONE_SOCIALE“
o con “RAGIONE_SOCIALE“. La dichiarazione resa dalla teste COGNOME all’udienza del 26 maggio 2021 riconduce l’attività della predetta società a quella di manutenzione del “software” e supporto nell’attività accertativa, come da fattLre emesse: attività che non ha comportato l’esercizio di attività pubblicistiche essendosi risolta in mera attività di consulenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sono fondati, per le ragioni di seguito esplicitate, il primo e terzo motivo di ricorso con immediata incidenza, non vedendosi in tema di ricorso inammissibile, sulla decorrenza del termine di prescrizione del reato di peculato che, rispetto a condotta iniziata a partire dal gennaio 2011, in assenza di cause di sospensione, comporta la declaratoria di prescrizione delle condotte consumate fino al 19 aprile 2011.
Il tema posto dal primo motivo di ricorso attiene alla individuazione del momento di perfezionamento e consumazione del reato con la individuazione della condotta appropriativa che la sentenza impugnata ha ritenuto coincidente con il momento della riscossione dei tributi, ritenendo irrilevanti le eventuali pattuizioni tra gli enti e la società “RAGIONE_SOCIALE” sul termine di versamento nonché, ai fini del computo del profitto confiscabile, la previsione del pagamento dell’aggio dovuto a “RAGIONE_SOCIALE“.
Deve rilevarsi, quale necessaria premessa della ricostruzione dei rapporti tra la società “RAGIONE_SOCIALE” e i Comuni di Arena Po, Fontanigorda e Assago, che la sentenza di primo grado e quella impugnata sottolineano le carenze degli elementi conoscitivi allegati a fondamento della imputazione, e, in particolare, degli atti di affidamento in concessione del servizio di riscossione dei tributi che non sono stati prodotti né dal Pubblico Ministero, né dalle persone offese né dall’imputato.
Da qui la difficoltà di individuare la tipoiogia dei rapporti della società “RAGIONE_SOCIALE” con gli enti comunali, il contenuto patrimoniale dei rapporti nonché i termini e le modalità del riversamento ai comuni delle somme riscosse, previa compensazione con le somme dovute alla società di riscossione stessa, tenuto conto, altresì, che, da un lato, la società “RAGIONE_SOCIALE” svolgeva, a favore dei Comuni, anche altri adempimenti non rientranti nella tipologia di riscossione dei tributi e, dall’altro lato, che la società “RAGIONE_SOCIALE” operava, sempre nel settore della riscossione dei tributi, come sub affidataria di attività delegate dalle concessionarie degli Enti, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, settore, questo, che il Tribunale aveva escluso potesse rientrare, anche in senso lato, in quello pubblicistico della riscossione tributi, implicante la veste di incaricato di pubblico servizio della società RAGIONE_SOCIALE
Dalla sentenza impugnata si rileva (pag. 7) che l’imputato è stato ritenuto responsabile del reato di peculato, per l’appropriazione delle somme riscosse quale incaricato della riscossione dei tributi, in relazione ai Comuni di Arena Po e Fontanigorda, sulla scorta delle convergenti dichiarazioni rese dal curatore fallimentare, NOME COGNOME; dalla teste NOME COGNOME, dipendente della società; dalle dichiarazioni rese dall’imputato e dalla documentazione versata agli atti del fallimento.
Quanto al Comune di Assago, per il quale, in primo grado, non si era ritenuto accertato il rapporto pubblicistico, la Corte di appello (cfr. pag. 16 e ss.), in accoglimento dell’appello proposto dalla parte civile, ha, viceversa, ritenuto riconducibile all’attività di riscossione tributi le attività svolte dalla società RAGIONE_SOCIALE e, a questo fine, ha richiamato le dichiarazioni della teste, NOME COGNOME responsabile dell’Ufficio Tributi del Comune di Assago e il contenuto delle determine comunali che, negli anni, avevano regolato il rapporto tra le parti, anche in mancanza della concessione che ne aveva disciplinato i rapporti.
3.Nonostante le descritte carenze documentali (cfr. pag. 6 della sentenza di appello che riporta quella di primo grado), i giudici di merito hanno ritenuto di poter ricostruire sia i termini del riversamento dei tributi riscossi agli enti d riferimento che, con riferimento ai Comuni di Arena Po e Fontanigorda, gli importi dei tributi riscossi e non riversati.
Sui tempi del riversamento, dalle prove dichiarative, rivenienti sia dall’imputato che dai collaboratori della società che si occupavano della contabilità, era risultato che le convenzioni con gli enti prevedevano tempi e modalità elastiche (una volta al mese o ogni due o addirittura trimestralmente) e variegate modalità di computo previa compensazione con le somme spettanti alla società a titolo di aggio o per altri servizi, a seconda che la società “RAGIONE_SOCIALE” si occupasse o meno anche della notifica dell’avviso di accertamento: in generale, le modalità di liquidazione prevedevano l’invio della documentazione al Comune con la rendicontazione di tutti gli avvisi inviati e, quindi, il via libera del Comune per la rendicontazione del compenso “T&T”, con termini di pagamento molto elastici.
Il curatore fallimentare riferiva, in particolare, di aver rilevato la esistenza di tre diverse tipologie contrattuali che disciplinavano i rapporti “T&T” ed enti comunali: una, che prevedeva che l’aggio maturasse in base alla definitività dell’accertamento; la seconda, che prevedeva che l’aggio maturasse al momento dell’incasso; la terza che prevedeva che l’aggio maturasse al momento del pagamento da parte contribuente.
4.La Corte di appello (pag. 12) ha dissentito dall’impostazione formalistica del Tribunale ai fini della qualificazione della società “RAGIONE_SOCIALE” come incaricata di pubblico servizio ai sensi dell’art. 358 cod. pen. in relazione a tutte le attività di riscossione (cfr. pag. 14) e per le attività svolte a favore di tutti i Comuni (di cu all’imputazione) e, sulla scorta delle pronunce di legittimità in materia, ha affermato che, anche in assenza di un atto di concessione relativo all’affidamento del servizio di riscossione, avrebbe dovuto essere privilegiato il dato sostanziale della avvenuta effettiva autorizzazione della società “RAGIONE_SOCIALE” a svolgere l’attività di riscossione o comunque gestione o maneggio di somme di denaro che ab origine debbono ritenersi spettanti alla pubblica amministrazione, con ciò integrandosi l’affidamento al privato di un’attività certamente pubblicistica.
5.La Corte di appello (cfr. pag. 18) ha ritenuto, altresì, pacificamente entrate nella disponibilità della P.A. le somme riscosse, indipendentemente dalle previsioni recate dalla concessione che regolavano i rapporti dell’agente con la pubblica amministrazione.
Ha richiamato, a tal riguardo, le dichiarazioni del curatore fallimentare e quelle della teste NOME.
Il curatore, in particolare, aveva riferito che le somme incassate da “T&T” sui conti dedicati alla percezione dei tributi destinati ai singoli comuni venivano indebitamente utilizzate dalla società per esigenze di cassa e di gestione dell’azienda oltre ad essere contabilizzate come poste attive e che erano impiegate secondo tali modalità le somme riscosse, tra gli altri comuni, quelle riscosse per conto del Comune di Assago.
La teste NOMECOGNOME braccio destro di COGNOME, aveva riferito che nell’anno 2010 la società aveva dovuto sottoscrivere un mutuo con il Credito Valtellinese per far fronte al riversamento di somme dovute al Comune di Meda e c:he, per conseguire anticipi, la società aveva redatto false fatture, mai spedite ai Comuni e presentate per anticipi, poi stornati.
Tutto ciò, secondo la Corte di appello, dimostra come la società e l’imputato si comportassero uti dominus nei confronti del denaro maneggiato / con la conseguente consapevolezza della condotta in capo al RAGIONE_SOCIALE.
5.1.Sul momento consumativo del reato,, la Corte di appello ha ritenuto che il denaro riveniente dal pagamento dei tributi è di spettanza della P.A. sin dal momento del suo versamento da parte del contribuente, donde la sostanziale indifferenza di eventuali pattuizioni tra privato ed ente in ordine alle modalità di riversamento, nel caso in cui se ne accerti la mancanza, ed è pervenuta alla
conclusione che qualsivoglia caso di omesso riversamento o di diversa destinazione delle somme concreta il delitto di peculato.
La Corte di merito ha esaminato anche il tema della mancata prova della interversione del possesso, a cagione delle incertezze sulle date di scadenza del versamento delle somme esatte ai Comuni, ma ha ribadito la descritta impostazione.
Quanto al Comune di Assago, ha rilevato che il termine di riversamento era, al più, trimestrale e che la condotta illecita si era cristallizzata, comunque, alla dichiarazione di fallimento, essendo integrata dal maneggio del denaro pubblico annesso al patrimonio sociale, imputato a posta attiva e destinato a finalità estranee a quelle dell’ente destinatario.
6.Va immediatamente evidenziato che i motivi di ricorso, tranne che con riferimento ai rapporti intrattenuti con il Comune di Assago (motivo 4), non contestano la qualifica pubblicistica dell’imputato in relazicne alle attività di riscossione dei tributi.
Ritiene la Corte che tale motivo di ricorso è infondato, ai limiti della inammissibilità.
La Corte di appello di Milano ha fatto coerente applicazione delle regole che, secondo questa Corte, disciplinano l’attribuzione della qualifica di incaricato di pubblico servizio in capo all’amministratore e legale rappresentante di una società privata incaricata della gestione del servizio di riscossione di tributi comunali, in considerazione della connotazione prettamente pubblicistica del servizio predetto (Sez. 6, n. 46235 del 21/09/2016, Froio, Rv. 268127).
Correttamente, sulla base della documentazione costituita dalle determine comunali e delle dichiarazioni della teste COGNOME, convergenti con quelle del curatore e della teste COGNOME dipendente della “RAGIONE_SOCIALE“, la sentenza impugnata ha ricostruito le attività svolte a favore del Comune di Assago calla società “RAGIONE_SOCIALE“: attività che, per quel che qui rileva, vedevano la predetta società incaricata della riscossione dei tributi (ICI e tassa sui rifiuti) che la concessionaria riversava su due conti cd. dedicati del Comune.
E’ compiutamente descritta nella sentenza impugnata l’attività preliminare svolta dalla società (cioè la predisposizione degli avvisi di accertamento in forma cartacea, girati al Comune), ma, soprattutto, la sentenza dà atto che è stata accertato lo svolgimento di attività connesse alla riscossicne dei tributi che venivano versati alla concessionaria che poi avrebbero dovuto essere girati sui conti dedicati dell’ente, dopo la rendicontazione.
L’incarico, ancorché non regolato da convenzione, era stato oggetto di determine comunali (queste sì prodotte) e di un risalente contratto (del 2000), in
linea con il quale, nel corso degli anni, si erano sviluppati i rapporti tra Comune e società e, come si è detto, le modalità del rapporto tra il Comune e la società “RAGIONE_SOCIALE” sono confermate da un qualificato apporto dichiarativo.
Ciò non esclude che la società svolgesse anche altri compiti, per conto del Comune di Assago, ma si tratta di compiti che non rilevano ai fini del servizio pubblicistico, anche se, verosimilmente, rientravano nel complesso dei rapporti dell’ente con la società e venivano svolti, come per altri comuni milanesi, in chiave di supporto delle società “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” e, quindi, la società operava quale delegata di questi ultimi (e non come incaricata del servizio di riscossione): certamente, però – ed è quel che qui rileva- la società operava come concessionaria del Comune per la riscossione dei tributi locali (ICI e tassa sui rifiuti) e le difficoltà di ricostruire il contenuto patrimoniale del rappor convenzionale, con la individuazione delle imposte riscosse e non versate (il cui accertamento è stato devoluto al giudice civile), non comporta anche la inesistenza dell’incarico e del rapporto.
7.Come anticipato, il punto veramente controverso della presente vicenda processuale è costituito dalla individuazione del momento corsumativo del reato in relazione all’appropriazione delle somme rivenienti dalla riscossione dei tributi ed alle operazioni di riversamento che, talvolta, come accertato attraverso le dichiarazioni del personale della società addetto alle operazioni di contabilizzazione e rendicontazione, rientravano in un complesso budget nel quale erano ricompresi sia il calcolo dell’aggio che compensazioni per il pagamento di fatture emesse dalla società “RAGIONE_SOCIALE, in altra veste, a favore del medesimo comune.
Le conclusioni cui la Corte di appello è pervenuta (cfr. punto 2.3 del Considerato in diritto) non possono condividersi e richiamano principi che questa Corte ha precisato valorizzando, ai fini della configurabilità del delitto di peculato, la disciplina pubblicistica di riferimento, che regola la materia dei rapporti dei concessionari con gli enti pubblici con riferimento alle cadenze temporali del versamento delle somme riscosse, al ritardato pagamento, in relazione al termine legale o contrattuale previsto, e le correlative sanzioni amministrative, fino alla revoca o decadenza dalla concessione.
A tal riguardo si è rilevato come, in realtà, il reato di peculato si perfezioni allo spirare del termine previsto per il versamento dell’importo dovuto / distinguendo, rispetto al versamento tardivo, la condotta appropriativa che si realizza con la interversione del titolo del possesso e, quando sia raggiunta / la prova della intervenuta interversione dei titolo del possesso, cioè che il concessionario abbia agito “uti dominus”.
Si tratta di precedenti intervenuti in materia di versamento delle somme riscosse da parte del concessionario titolare dell’attività di raccolta delle giocate del lotto dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli in cui si è affermato che il delitto di peculato per ritardato versamento degli importi riscossi per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato è configurabile quando la condotta omissiva si protragga oltre la scadenza del termine ultimo indicato nell’intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare al concessionario sotto la comminatoria della decadenza dalla concessione, a condizione che sia altresì raggiunta la prova dell’interversione del titolo del possesso, evincibile dal protrarsi della sottrazione della “res” alla disponibilità dell’ente pubblico per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile e comunque tale da denotare inequivocabilmente l’atteggiamento “appropriativo” dell’agente. (Sez. 6, n. 31167 del 13/04/2023, COGNOME, Rv. 285082).
Analogo principio è stato affermato in materia di imposte riscosse dal notaio, ove si è ribadito che la condotta di peculato è integrata non già per effetto del mero ritardo nell’adempimento, bensì allorquando si determina la certa interversione del titolo del possesso, che si realizza allorquando il pubblico agente compia un atto di dominio sulla cosa, con la volontà espressa c implicita di tenere questa come propria, condotta che non necessariamente può essere ritenuta insita nella mancata osservanza del termine di adempimento (Sez. 6, n. 16786 del 02/02/2021, Conte, Rv. 281335).
Sulla scorta di tali rilievi si è pervenuti alla conclusione – in relazione a procedimenti di liquidazione che prevedevano la diffida ad adempiere – che l’individuazione del momento in cui si realizza l’interversione del titolo del possesso, e dunque la condotta appropriativa, non coincide automaticamente con lo spirare del termine previsto dalla diffida, ma va accertata caso per caso sulla base dell’attenta considerazione delle circostanze di fatto, evitando semplificazioni probatorie che trasformerebbero la fattispecie di peculato, gravemente punita, in un reato formale.
Occorre, cioè, che la sottrazione della “res” alla disponibilità dell’ente pubblico si sia pur sempre protratta per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile e comunque tale da denotare inequivocabilmente l’atteggiamento “appropriativo” dell’agente.
La sentenza impugnata, oltre alla più risalente giurisprudenza di questa Corte (che riteneva configurabile il delitto di peculato per effetto dell’omesso versamento, valorizzandone la natura di denaro pubblico), ha, in più passaggi, richiamato disposizioni specifiche in materia di tributi locali, in particolare gli art 22 e ss. del d. Igs. 13 aprile 1999, n. 112, secondo cui il concessionario riversa all’ente creditore le somme riscosse entro il decimo giorno successivo alla
riscossione, disposizioni che, tuttavia, non contrastano con la possibilità, in materia di tributi locali, di disciplinare sia il contenuto del rapporto di concessione con i soggetti incaricati della riscossione í sia i termini e le modalità di adempimento.
La disciplina fondamentale (al momento dei fatti), in materia, era recata dall’art. 52, comma 1, d. Igs. n. 446/97 che attribuiva ai Comuni il potere di emanare regolamenti funzionali a disciplinare le proprie entrate e finalizzati, in attuazione dei principi in tema di federalismo fiscale, ad esaltare la loro autonomia finanziaria di entrata e spesa nei limiti dei principi costituzionali di cui all’art. (principio della riserva di legge relativa) ed all’art. 119 (principio dell’autonomia tributaria degli enti locali) del decreto stesso.
Tale potere regolamentare poteva essere utilizzato tanto con riguardo alla parte sostanziale della disciplina impositiva quanto e, soprattutto, con riguardo alla parte procedimentale (e dunque, in particolare, alla fase della liquidazione, accertamento e riscossione).
Il sistema delineato nel risalente decreto aveva subito una sostanziale modifica a seguito della riforma contenuta nel dl. 30 settembre 2005 n. 203, convertito dalla I. n. 248 del 2 dicembre 2005, la quale, valorizzando il carattere spiccatamente pubblicistico della funzione di riscossione, ne aveva affidato la gestione sostanzialmente agli stessi soggetti impositori, sebbene attraverso l’utilizzo di forme societarie idonee a garantire maggiore efficienza organizzativa ed operativa e, a seguire, nell’anno 2011, per effetto dell’entrata in vigore del d.l. n. 70 del 2011, che rinviava alla riscossione attraverso “RAGIONE_SOCIALE” (e le società da essa partecipate) in materia di accertamento, liquidazione e riscossione spontanea e coattiva – delle entrate, tributarie o patrimoniali, dei comuni e delle società da essi partecipate.
Le vicende e i rapporti della società “RAGIONE_SOCIALE” si collocar o su tale tessuto normativo di cui sono un esempio plastico le attività di consulenza svolte per “RAGIONE_SOCIALE“.
Va, altresì, rilevato che non ha subito modifiche, nel corso degli anni, la previsione recata dall’art. 180 del TUEL, “secondo cui gli incaricati della riscossione, interni ed esterni, versano al tesoriere le somme riscosse nei termini e nei modi fissati dalle disposizioni vigenti e da eventuali accordi convenzionali, salvo quelli a cui si applicano gli articoli 22 e seguenti del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112”, disposizione secondo cui il concessionario riversa all’ente creditore le somme riscosse entro il decimo giorno successivo alla riscossione.
Tali disposizioni riconoscono margini agli enti locali per la disciplina, in sede regolamentare ma anche convenzionale, del rapporto di riscossione dei tributi, anche con riferimento al versamento delle somme riscosse, disciplina che non è irrilevante ai fini della individuazione del momento di perfezionamento e
consumazione del reato di peculato, che non può (automaticamente) identificarsi con quello della riscossione della somma dal privato, venendo in rilievo termini e modalità del versamento a favore dell’ente.
8.Conclusivamente, alla luce di tali principi, non può condividersi l’affermazione della Corte di appello secondo cui è indifferente, ai fini della ricostruzione delle condotte di peculato, l’acquisizione delle convenzioni intercorse con i privati: sono, infatti, le convenzioni che, nel quadro della potestà regolamentare attribuita all’ente, regolano i termini di adempimento del riversamento.
Cionondimeno, la puntuale ricostruzione compiuta nella sentenza impugnata, con riferimento alla proiezione dinamica nel tempo del rapporto fra enti comunali e società “RAGIONE_SOCIALE“, non comporta, se non per la declaratoria di prescrizione delle condotte di peculato fino al 19 aprile 2011, una declaratoria di insussistenza del fatto e del correlativo elemento psicologico del reato, essendo acquisita la prova della condotta appropriativa e della interversione del titolo di possesso sulla scorta degli accertamenti del curatore fallimentare e delle dichiarazioni, in particolare olg’ t , 2 quelle rese dalla teste NOMECOGNOME .collaboraédell’imputato in azienda.
Il curatore ha accertato (cfr. pag. 18 della sentenza impugnata) l’importo delle somme totali transitate sui conti della società e l’importo di quanto corrisposto ai Comuni, verificando l’uso indebito, da parte della società, per esigenze di cassa e gestione della società, delle somme incassate che, impropr amente, venivano contabilizzate come poste attive.
Non rileva, dunque, ai fini della responsabilità dell’imputato in relazione al delitto di peculato, che il denaro fosse fittiziamente entrato nella disponibilità e titolarità della pubblica amministrazione al momento della riscossione, ma la circostanza che, scaduti i termini convenzionali stabiliti (che lo stesso imputato ha contabilizzato in tre mesi al massimo), e, comunque alla data di dichiarazione del fallimento, le somme riscosse non erano mai state riversate ai comuni cui le stesse spettavano.
Le dichiarazioni del curatore fallimentare consentono di riferire ai Comuni di Arena Po e Fontanigorda, per i quali è indiscutibilmente provato il mancato versamento delle somme incassate e contabilizzate in sede di fallimento, il reato é di peculato n rileva che, invece, con riferimento al comune di Assago, la Corte di appello ne abbia rimesso la individuazione al giudice civile, trattandosi di determinazione che non incide sulla configurabilità del reato.
Con riferimento al Comune di Assago va, inoltre, precisato, sempre ai fini del corretto inquadramento del tema inerente al momento consumativo del reato, che la sentenza impugnata (pag. 17), ricostruendo il rapporto della società “RAGIONE_SOCIALE“, ha
rilevato che la società provvedeva all’incasso su conti dedicati al Comune, benché intestati alla predetta società.
Il difensore ha rilevato che le concrete modalità operative del cd. conto dedicato sono state disciplinate solo con legge n. 160 del 2019 ii che ha previsto che il conto è di pertinenza dell’amministrazione; che il saldo giornaliero finisce sul conto del tesoriere, cioè della banca, con la possibilità per l’affiidatario di accedere al conto stesso solo per finalità di consultazione, modalità ben diverse da quelle descritte nella sentenza impugnata, con riferimento al Comune di Assago, e, più in generale (in quella di primo grado) con riferimento ai conti dedicati che “RAGIONE_SOCIALE” aveva istituito per i Comuni.
La legittimazione della società “RAGIONE_SOCIALE” a operare sui conti non esclude, dunque, che le somme incassate rimanevano nella sua materiale e giuridica disponibilità e venivano utilizzate come se la società ne fosse proprietaria.
9.Non sono fondati, alla stregua di tali conclusioni, i rilievi del ricorrente a proposito della prova della interversione del possesso e dell’elemento psicologico del reato.
Questa Corte ha più volte affermato in tema di peculato che, pur dovendosi convenire circa la necessità della concreta prova dell’interversione, nondimeno tale prova possa essere desunta sul piano indiziario anche da situazioni altamente significative di una condotta appropriativa, come acclarato, sulla scorta delle evidenze illustrate, nel caso in esame.
10.Per completezza va rilevato che il momento finale della consumazione del reato è stato individuato alla data del 24 ottobre 2013, data della dichiarazione di fallimento.
Il termine massimo di prescrizione per il reato di peculato, ai sensi degli artt. 157 e 161 cod. pen., è pari ad anni dodici e mesi sei, e deve essere calibrato sulle condotte consumate alle date di rispettiva appropriazione delle somme: ne consegue che, alla data odierna, deve dichiararsi la intervenuta prescrizione delle condotte commesse fino al 19 aprile 2011.
11.E’ fondato anche il motivo di ricorso relativo alla determinazione della somma da assoggettare a confisca.
Lapidaria deve ritenersi la motivazione della Corte di merito sul punto.
I giudici di appello, in risposta alle deduzioni difensive che riguardavano la entità della confisca tenuto conto della compensabilità dei crediti asseritamente vantati dalla società nei confronti dei Comuni di Arena Po e Fontanigorda con riguardo all’aggio maturato e all’importo di fatture in compensazione, hanno
ritenuto che le argomentazioni difensive non potevano essere esaminate / trattandosi, come già osservato dal curatore in giudizio, di posizioni creditorie che non avevano potuto essere azionate dalla procedura fallimentare poiché di assai dubbia esigibilità, in quanto mancanti di prova certa della loro esistenza e certezza: situazione, questa, non modificata né differentemente provata.
L’inquadramento operato dgla Corte territoriale, riferito ella determinazione della somma da assoggettare a confisca, è erroneo perché le problematiche concernenti la determinazione della confisca sono strettamente connesse alla individuazione del profitto confiscabile e, dunque, alla legittimità e legalità della misura.
Secondo le Sezioni Unite (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264436), il profitto del reato si identifica con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito e la relativa confisca ha la finalità di ripristinare lo status quo ante,, così da sterilizzare, in funzione essenzialmente preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescindere dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo aul:ore.
La medesima funzione – sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito – viene ad assolvere anche la confisca per equivalente, pur connotata dal carattere afflittivo (e non preventivo che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza).
Costante è infatti l’affermazione che l’obiettivo perseguito dal legislatore con la confisca del profitto del reato è quello di privare l’autore del reato dei vantaggi economici che da esso derivano.
Il tema è stato approfondito in materia di responsabilità da reato degli enti collettivi, precisando che il profitto si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto, ma, nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmat co, non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’ente delle prestazioni c:he il contratto gli impone. Pur non potendo farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico, la nozione non può essere dilatata fino a determinare un’irragionevole e sostanziale duplicazione della sanzione nelle ipotesi in cui l’erte, adempiendo al contratto, che pure ha trovato la sua genesi nell’illecito, pone in essere un’attività i cui risultati economici non possono essere posti in collegamento diretto ed immediato con il reato). (Sez. U, Sentenza n. 26654 del 27/03/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 239924).
Il principio ha orientato la giurisprudenza più recente di questa Corte, in materia di sequestro e confisca, anche in applicazione del criterio di proporzione
della misura cautelare e ablatoria, in presenza di un contratto viziato da condotte illecite poste in essere nella fase delle trattative od in quella dell’esecuzione.
Si è, pertanto, affermato che il profitto confiscabile deve essere determinato al netto del valore delle prestazioni lecite effettuate dall’autore del reato per adempiere al contratto, di cui la controparte si sia avvalsa o giovata (Sez. 2, n. 40765 del 21/10/2021, COGNOME, Rv. 282194).
La Corte di appello non ha fatto corretta applicazione di tali principi con riferimento alla determinazione del profitto confiscabile avuto riguardo all’aggio spettante alla società “RAGIONE_SOCIALE“, che rileva nella determinazione della somma da assoggettare a confisca, poiché costituisce una somma dovuta alla medesima società in ragione delle attività svolte a favore dei Comuni, in esecuzione delle convenzioni che disciplinavano il rapporto di concessione.
A tale riguardo la sentenza di appello ha valorizzato i rilievi del curatore fallimentare che, tuttavia, fanno riferimento ai connotati della esigibilità in sede fallimentare dei crediti della società “RAGIONE_SOCIALE“, cioè alla possibilità di azionarli in sede esecutiva.
Tali requisiti non rilevano, invece, quando i crediti entrano n gioco quali poste che concorrono alla determinazione del profitto del reato, nozione nella quale non possono essere ricomprese anche le somme che sarebbero spettate alla società “RAGIONE_SOCIALE” per le attività svolte e che non sono immediatamente collegabili al reato di peculato, consumato nella fase di esecuzione della convenzione e in un momento in cui è possibile enucleare gli importi oggetto di appropriazione rispetto alle somme destinate a retribuire il concessionario per l’attività svolta.
Ne consegue che il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) deve essere depurato dal corrispettivo dovuto per la prestazione lecita eseguita in favore della controparte.
Nella sentenza di primo grado (pag. 2 e ss.) sono state illustrate le tipologie di contratti stipulati da “T&T” con i Comuni riconducibili a diverse modalità Wche, a loro volta, determinavano diverse modalità di computo degli aggi dovuti. (L)
Il Tribunale (pag. 5) ha anche individuato, sulla scorta della ricostruzione del curatore fallimentare, poste attive della società (indicate come crediti verso clienti Italia e crediti per fatture da emettere) relative, le prime, alle fatture emesse per aggi già maturati alla data del 23 ottobre 2013 e, le seconde, per aggi in relazione a tutti gli atti di accertamento consegnati ai Comuni: e, proprio con specifico riferimento a tali importi, il curatore ha contestato che potessero essere considerati liquidi.
Non vi è, tuttavia, ragione, alla stregua dei principi innanzi affermati e con riferimento agli importi accertati come non versati a favore dei Comuni di Arena Po e Fontanigorda, per non scomputare, in sede di confisca, l’importo degli aggi
maturati, sia che essi siano fatturati sia che si tratti di importi non fatturati ma corrispondenti, comunque, ad atti di accertamento consegnati ai Comuni sulla base dello stato di avanzamento dei progetti.
Ne consegue che la Corte di merito, sulla scorta dei princ pi su indicati e nel pieno esercizio dei suoi poteri anche istruttori – sulla base delle schede contabili e di quant’altro utile – dovrà determinare l’importo della somma assoggettabile a confisca detraendo l’importo degli aggi maturati, sia che essi siano fatturati sia che si tratti di importi non fatturati, restando, invece, estranei all’operazione di scomputo i crediti estranei all’attività di riscossione delle imposte.
Non rileva, invece, la intervenuta declaratoria di prescrizione di alcune delle condotte poiché il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1 cod. pen. e dell’art. 322ter cod. pen., la confisca “diretta” del profitto del reato a condizione che vi sia stata, come nel caso in esame, una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato e alla penale responsabilità dell’imputato sia rimasto inalterato.
12.Consegue alle ragioni fin qui svolte che la Corte di appello di Milano, in sede di rinvio, dovrà altresì rideterminare il trattamento punitivo irrogato all’imputato, comprese le pene accessorie e la durata della interdizione dai pubblici uffici che, sulla base della pena inflitta, saranno applicate avuto riguardo alle prescrizioni recate dall’art. 317-bis cod. pen., prima della modifica intervenuta con I. n. 3 del 9 gennaio 2019.
La Corte di appello liquiderà, infine, le spese di costituzione e difesa sostenute / nel presente grado, dalla parte civile, conformemente all’atto di costituzione in giudizio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle condotte di peculato commesse fino alla data del 19 aprile 2011 perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla altresì la sentenza impugnata limitatamente alla confisca e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano per nuovo giudizio sul punto e per la rideterminazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 19 ottobre 2023 Il Consigliere estensore
Il Presidente