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Peculato e confisca: quando è illecito il profitto?

L’amministratore di una società di riscossione è stato condannato per peculato per non aver riversato i tributi riscossi ai comuni. La Corte di Cassazione ha parzialmente annullato la sentenza, stabilendo una prescrizione per le condotte più risalenti e, soprattutto, chiarendo che il profitto da peculato soggetto a confisca deve essere calcolato al netto dei compensi legittimamente spettanti alla società. La Corte ha quindi rinviato il caso per un nuovo calcolo della confisca e della pena.

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Pubblicato il 16 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato e Confisca: La Cassazione sul Calcolo del Profitto Illegittimo

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 209/2024 offre importanti chiarimenti sul reato di peculato e, in particolare, sulla corretta determinazione del profitto da sottoporre a confisca. Il caso riguarda l’amministratore di una società incaricata della riscossione dei tributi per conto di diversi comuni, accusato di essersi appropriato delle somme incassate. La Suprema Corte, pur confermando in parte la responsabilità penale, ha annullato la decisione sul quantum della confisca, stabilendo un principio fondamentale: il profitto illecito deve essere calcolato al netto dei compensi legittimi spettanti per l’attività svolta.

I Fatti del Caso: La Gestione dei Tributi Comunali

Una società specializzata nella gestione e riscossione dei tributi locali operava per conto di numerosi comuni lombardi. Il suo amministratore è stato accusato di peculato perché, secondo l’accusa, si era appropriato di ingenti somme di denaro incassate dai contribuenti e che avrebbe dovuto riversare nelle casse degli enti pubblici. Le condotte illecite si sarebbero protratte dal 2011 fino alla data del fallimento della società, avvenuto nel 2013.

La Corte di Appello aveva confermato la condanna, ritenendo che l’amministratore avesse agito uti dominus (come se fosse il proprietario) sul denaro pubblico, utilizzandolo per le esigenze di cassa della propria azienda anziché destinarlo ai comuni. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui l’errata individuazione del momento consumativo del reato e, soprattutto, l’erroneo calcolo della somma da confiscare, che non teneva conto dell’aggio e degli altri crediti vantati dalla società nei confronti degli stessi comuni.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto parzialmente il ricorso, annullando la sentenza impugnata su due punti cruciali:

1. Prescrizione: Ha dichiarato estinto per prescrizione il reato per le condotte commesse fino al 19 aprile 2011.
2. Confisca: Ha annullato la decisione relativa alla determinazione della somma da confiscare, rinviando il giudizio ad un’altra sezione della Corte di Appello per una nuova valutazione.

Nel resto, il ricorso è stato rigettato, confermando la qualifica di incaricato di pubblico servizio e la sussistenza del reato per le condotte successive.

Le motivazioni: il reato di peculato e il calcolo del profitto

Le motivazioni della sentenza sono di grande interesse perché approfondiscono due aspetti tecnici del reato di peculato.

Quando si consuma il peculato?

La Corte chiarisce che il semplice ritardo nel riversamento delle somme non integra automaticamente il reato. È necessaria una vera e propria interversione del possesso, ovvero un comportamento che dimostri in modo inequivocabile la volontà dell’agente di appropriarsi del denaro. Questo si verifica quando l’agente compie un atto di dominio sulla cosa, trattandola come propria. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che tale prova fosse stata raggiunta, poiché le somme, una volta scaduti i termini per il versamento, erano state sistematicamente utilizzate per le esigenze della società e non erano mai state riversate fino al fallimento.

Il calcolo del profitto confiscabile nel peculato

Il punto più innovativo della decisione riguarda il calcolo del profitto confiscabile. L’imputato sosteneva che l’importo da confiscare dovesse essere ridotto sottraendo l’aggio (il compenso per il servizio di riscossione) e altri crediti maturati. La Corte di Cassazione ha dato ragione al ricorrente, affermando un principio di derivazione civilistica applicato al diritto penale: il profitto del reato, in un contesto contrattuale, non può includere le somme che rappresentano il corrispettivo per una prestazione lecita effettivamente eseguita.

In altre parole, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (il profitto confiscabile) deve essere depurato dal corrispettivo dovuto per la prestazione lecita eseguita in favore della controparte. La Corte d’appello aveva errato nel non considerare questa compensazione, basandosi unicamente sulla non esigibilità dei crediti in sede fallimentare. La Cassazione ha specificato che i criteri per la determinazione del profitto penale sono diversi da quelli civilistici e fallimentari e devono mirare a sottrarre solo l’effettivo arricchimento ingiusto.

Le conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza stabilisce un importante precedente per i reati contro la Pubblica Amministrazione che si inseriscono in un rapporto contrattuale. Il principio fondamentale è che la confisca non può avere un carattere irragionevolmente afflittivo, duplicando la sanzione. Pertanto, nel quantificare il profitto del peculato, il giudice deve sempre scomputare il valore delle prestazioni lecite eseguite dall’imputato e di cui la parte danneggiata (l’ente pubblico) si è comunque avvantaggiata. La Corte d’Appello, in sede di rinvio, dovrà quindi ricalcolare l’importo della confisca e la relativa pena, tenendo conto di questo principio di equità e proporzionalità.

Quando si commette il reato di peculato se non si versano le tasse riscosse per conto di un ente pubblico?
Il reato non si configura con il semplice ritardo nel pagamento. Si perfeziona quando l’agente manifesta la volontà di appropriarsi del denaro, compiendo atti di dominio su di esso, come utilizzarlo per le proprie esigenze aziendali, e omettendo il versamento oltre i termini contrattuali, fino al momento del fallimento.

Come si calcola il profitto del reato di peculato da confiscare?
Secondo la sentenza, il profitto da confiscare deve essere calcolato ‘al netto’. Ciò significa che dall’importo totale delle somme non versate deve essere detratto il valore del corrispettivo legittimamente maturato dall’agente per l’attività di riscossione svolta, come ad esempio l’aggio.

Un ritardo nel versamento dei tributi riscossi è sempre peculato?
No. La sentenza ribadisce che un mero ritardo non è sufficiente a integrare il delitto di peculato. È necessario che sia provata la cosiddetta ‘interversione del possesso’, ossia un comportamento inequivocabile che dimostri l’intenzione dell’agente di trattare il denaro pubblico come proprio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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