Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 46334 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 46334 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato il 19/03/1946 ad Arezzo avverso la sentenza del 04/12/2023 della Corte d’appello di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’Avvocato NOME COGNOME in difesa dell’imputato, che insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Venezia confermava la sentenza di condanna in primo grado di NOME COGNOME per peculato (art. 314 cod. pen.), perché l’imputato, tenditore abilitato presso l’impianto di cattura uccelli denominato “Pace”, di proprietà della provincia di Verona, catturando nel predetto impianto sette allodole, concorreva all’appropriazione delle stesse che venivano, immediatamente dopo la cattura, cedute a privati.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME deducendo, per il tramite dell’Avvocato NOME COGNOME sei motivi.
2.1. Mancanza della motivazione quanto ai motivi aggiunti.
In appello erano stati presentati quattro motivi aggiunti, due dei quali non erano non nemmeno esposti dal relatore e sui quali il collegio ometteva totalmente di pronunciarsi.
2.2. Mancata valutazione di una prova decisiva.
Dal punto di osservazione dell’agente COGNOME che si evince dalla fotografia acquisita dai Giudici di merito e in atti, si sarebbe dovuto desumere l’impossibilità di vedere l’imputato e, quindi, l’inattendibilità delle dichiarazioni rese a carico di questi della medesima agente.
2.3. Violazione della legge penale processuale per contrasto tra le ricostruzioni del fatto operate in primo grado e in secondo grado, il dispositivo e l’imputazione.
Il COGNOME – presente sul luogo del fatto, non allo scopo di procedere alla cattura, ma per visitare il vecchio proprietario del terreno – era stato dichiarato responsabile in primo grado per non aver impedito l’evento, e quindi a titolo omissivo. Il Tribunale era ricorso a tale ricostruzione perché mancavano le prove di un coinvolgimento attivo dell’imputato, incorrendo, però, nell’omessa correlazione con il capo di imputazione.
La Corte d’appello, avvedutasi dell’errore, ha mutato impostazione ed ha affermato che COGNOME, evitando di impedire che gli altri soggetti catturassero le allodole, ne aveva agevolato la cessione a terzi.
Tuttavia, così argomentando, non ha sanato il vizio. Nel capo di imputazione era scritto, infatti, che COGNOME, in qualità di tenditore abilitato presso l’impianto avendo, per ragione del proprio ufficio o servizio, il possesso o comunque la disponibilità di sette allodole catturate nel predetto impianto, se ne appropriava, cedendole, immediatamente dopo la cattura.
COGNOME infatti, non ha mai avuto il possesso/disponibilità delle allodole, dal che la mancata coincidenza tra contestazione e sentenza.
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2.4. Vizio di motivazione.
Sebbene Tribunale e Corte d’appello deducano logicamente che sia stato COGNOME ad attivare gli impianti per chiudere le reti per la cattura degli uccelli, non c’è prova che l’imputato fosse nel capanno o che fosse solo.
L’agente COGNOME, distante 400 m, non aveva in precedenza identificato il ricorrente, trovato in tarda serata ad un posto di blocco distante 15 km, unitamente agli altri soggetti presenti al roccolo.
Inoltre, non è logica la premessa per cui COGNOME fosse solo nel capanno, essendo più verosimile ritenere che le allodole fossero finite nella rete quando tutti – e non solo il ricorrente – si trovavano nascosti, dal momento che, diversamente, mai si sarebbero avvicinate.
A ciò si aggiunga che nel capanno era presente il proprietario del terreno (Castelletti), che è stato assolto.
Inoltre, nel capo di imputazione si parla del ricorrente come del “tenditore”. Tuttavia, “tenditore” è colui che, nel campo, all’aperto, tende, appunto, la rete.
Dal che due inferenze: 1) in considerazione della forza delle molle, non è sufficiente un tenditore, occorrendone quantomeno due; 2) il tenditore deve trovarsi all’aperto. Tali inferenze contrastano con le affermazioni poste alla base della condanna.
Se a ciò si aggiunge che, come già rilevato, il ricorrente fu trovato a 15 km dal /ocus commissi delicti tre ore dopo l’asserita cattura e che non risultò in possesso delle allodole, allora, avrebbe dovuto convenirsi sulla non inverosimiglianza della tesi dedotta in sede difensiva (secondo cui COGNOME si trovava al roccolo perché aveva in programma una scampagnata con il proprietario del terreno).
2.5. Omessa motivazione quanto alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
Affermare che «non sussistono elementi valutabili favorevolmente» rappresenta una motivazione apparente, essendo, oltretutto, l’imputato incensurato ed essendosi mostrato collaborativo.
2.6. Violazione della normativa in tema di prescrizione.
Premesso che, nel caso di specie, stante l’esiguità del danno cagionato, ha trovato applicazione l’attenuante dell’art. 323-bis cod. pen., andrebbe applicato un termine prescrizionale coerente con detta diminuente e non quello prevista per il delitto di peculato.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
Premesso che la vicenda concerne un peculato in conseguenza della cattura di frodo di allodole da parte del gestore del roccolo e del ricorrente, tenditore incaricato della Provincia, nonché della successiva cessione a terzi degli uccelli, il ricorso è declinato prevalentemente in fatto e, comunque, manifestamente infondato. Deve essere, dunque, dichiarato inammissibile.
1.1. In particolare, manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso.
La circostanza che nella sentenza si parli di “due” motivi aggiunti, anziché “quattro”, è irrilevante, avendo la Corte d’appello risposto a tutte le deduzioni difensive, comprese quelle dei due motivi asseritamente pretermessi e concernenti, l’uno: l’assenza della qualifica soggettiva pubblicistica in capo all’imputato (motivo, peraltro, non riproposto in sede di legittimità); l’altro, la mancanza di un potere e, quindi, di un obbligo giuridico di impedire l’evento in capo a COGNOME. L’omessa espressa replica a tale deduzione, in particolare, è irrilevante, avendo i Giudici dell’appello configurato, in capo all’imputato, una responsabilità attiva (e non omissiva).
1.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto mira a revocare in dubbio l’attendibilità delle dichiarazioni dell’agente COGNOME la cui valutazione è una questione di fatto che sfugge, come tale, al sindacato di questa Corte, tanto più se motivata – come avvenuto nel caso di specie – in modo completo e tutt’altro che illogico (nella sentenza impugnata si specifica che l’agente, sentita dal Giudice per le indagini preliminari, riferì di essere dotata di una macchina fotografica digitale con zoom con cui aveva scattato le foto agli atti – e di un binocolo molto potente e che l’imputato non poteva conoscere il punto esatto di osservazione della stessa, sì da sindacarne le dichiarazioni).
1.3. Quanto al terzo motivo, non si ravvisa alcuna discrasia tra sentenza e imputazione: come già rilevato, entrambe concernenti una condotta attiva (e non omissiva) di COGNOME al quale, comunque, al di là della mancata perfetta sovrapponibilità tra le pronunce di merito, è addebitato di aver concorso nell’appropriazione (con successiva cessione a terzi) di uccellagione al di fuori delle condizioni e dei vincoli di legge. Accusa dalla quale l’imputato ha avuto ampio modo di difendersi: senza, che, dunque, possa lamentare alcun vulnus al diritto di difesa (ex multis, Sez. 6, n. 34879 del 10/01/2007, COGNOME).
1.4. Il quarto motivo è inammissibile perché, sebbene con esso si deduca formalmente un vizio di motivazione, tende a suggerire una ricostruzione del fatto alternativa a quella operata, con motivazione esente da vizi logici e di completezza, dal Giudice del provvedimento impugnato.
Sul punto, sia sufficiente precisare come i Giudici dell’appello abbiano specificato che, sia nella relazione, sia nell’audizione dinanzi al Giudice per le indagini preliminari, l’agente COGNOME riferì come fosse stato il COGNOME ad azionare i comandi, precisando che «certamente non poteva vedere all’interno del casotto, in quanto chiuso e riparato da fogliame proprio per ingannare gli uccelli», ma aggiungendo che, se le reti vennero chiuse e le allodole catturate, fu proprio perché qualcuno dovette azionare il comando di chiusura, e quel qualcuno non poteva che essere COGNOME infatti ivi trovato più tardi al controllo della polizia».
D’altronde, la sentenza di primo grado (trattandosi di c.d. doppia conforme, la sua motivazione forma con quella della sentenza impugnata un unico corpo decisionale: ex multis, Sez. 2 , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) aveva riportato per esteso le dichiarazioni «puntuali e meticolose» dell’agente, come ricordato, considerata motivatamente attendibile, nonché la sua annotazione di polizia giudiziaria, da cui risultava che COGNOME aveva aiutato il gestore del servizio, anch’egli tenditore (Casella), a riposizionare le stanghe dopo la cattura e quindi a chiudere l’impianto (il che accredita ulteriormente l’inferenza che, prima, avesse azionato i comandi nel casotto) e che venne fermato – è vero, due o tre ore dopo l’inizio dell’osservazione, ma comunque – immediatamente dopo la fine delle operazioni di cattura e spartizione/consegna delle allodole, quando, viaggiando in auto con altro co-imputato (COGNOME), si separò dal Casella.
1.5. Contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, la sentenza impugnata motiva, seppur sinteticamente, sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
D’altra parte, quanto dedotto dalla difesa sul comportamento collaborativo dell’imputato non risulta del tutto conforme al vero. La sentenza di primo grado riconosce, sì, infatti, che COGNOME rese da subito spontanee dichiarazioni alla polizia giudiziaria, ma precisa che dichiarò il falso, affermando che quel giorno non aveva catturato alcuna allodola e che il coimputato in compagnia del quale si trovava (COGNOME) nemmeno si era recato al roccolo.
Anche il quinto motivo è, dunque, del tutto destituito di fondamento.
1.6. Il sesto motivo è manifestamente infondato, posto che nel calcolo della prescrizione la legge (art. 157, secondo comma, cod. pen.) impone espressamente al giudice di tenere conto solo della pena prevista per il reato e non anche della diminuzione per le circostanze attenuanti.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso il 22/10/2024