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Peculato e cattura di fauna: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un tenditore abilitato, condannato per il reato di peculato per aver catturato sette allodole e averle cedute a privati. La sentenza conferma che l’appropriazione di fauna selvatica, bene di proprietà pubblica, da parte di un soggetto incaricato della sua gestione, integra il delitto di peculato. La Corte ha inoltre ribadito che la valutazione delle prove è di competenza dei giudici di merito e che le circostanze attenuanti non incidono sul calcolo della prescrizione.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato per Cattura di Fauna: Quando la Cessione a Terzi Configura il Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un interessante caso di peculato legato alla gestione della fauna selvatica, bene appartenente allo Stato. Un soggetto incaricato dalla Provincia di gestire un impianto di cattura uccelli è stato condannato per essersi appropriato di alcuni esemplari, cedendoli immediatamente a privati. Questa decisione offre importanti spunti sulla qualifica giuridica della fauna e sulla responsabilità penale degli incaricati di un pubblico servizio.

I Fatti di Causa: Dalla Cattura degli Uccelli all’Accusa di Peculato

Il caso ha origine dalla condotta di un tenditore abilitato presso un impianto di cattura uccelli di proprietà di una Provincia. L’uomo è stato accusato di aver partecipato alla cattura di sette allodole e di aver concorso alla loro immediata cessione a soggetti privati. Per tale azione, è stato condannato in primo grado e in appello per il reato di peculato, previsto dall’art. 314 del codice penale. L’imputato, non avendo mai avuto la materiale disponibilità degli uccelli, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo diverse violazioni di legge e vizi di motivazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su sei punti principali, tra cui:

1. Mancata valutazione di prove decisive: Sosteneva che la testimonianza dell’agente accertatore fosse inattendibile, data la distanza e le condizioni di osservazione.
2. Contraddizione tra accusa e sentenza: L’imputazione contestava una condotta attiva di appropriazione, mentre la ricostruzione dei giudici di merito, secondo la difesa, non dimostrava il possesso dei beni.
3. Vizio di motivazione: La ricostruzione dei fatti è stata definita illogica e basata su mere congetture.
4. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Nonostante l’imputato fosse incensurato.
5. Errato calcolo della prescrizione: La difesa riteneva che, essendo stata riconosciuta l’attenuante del danno di lieve entità, il termine di prescrizione dovesse essere più breve.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Peculato

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile, fornendo chiarimenti su ogni punto sollevato. I giudici hanno stabilito che la valutazione delle prove, come l’attendibilità di un testimone, è una questione di fatto riservata ai giudici di merito e non può essere riesaminata in sede di legittimità, a meno che la motivazione non sia palesemente illogica, cosa non riscontrata nel caso di specie. La Corte d’appello aveva infatti adeguatamente spiegato che l’agente utilizzava un binocolo potente e una macchina fotografica con zoom.

Sul punto cruciale della discrasia tra accusa e sentenza, la Cassazione ha chiarito che non vi era alcuna contraddizione. La condotta contestata e quella ritenuta in sentenza erano entrambe di natura attiva: aver concorso all’appropriazione e alla successiva cessione degli uccelli. La Corte ha sottolineato che per la configurazione del peculato non è necessario un possesso materiale esclusivo, ma è sufficiente avere la disponibilità del bene per ragioni di ufficio o servizio e compiere un atto di appropriazione, come la cessione a terzi.

La Corte ha inoltre confermato il principio della “doppia conforme”, secondo cui le sentenze di primo e secondo grado, se giungono alla medesima conclusione, formano un unico corpo decisionale la cui motivazione è rafforzata. Infine, è stato respinto il motivo relativo alla prescrizione. La legge (art. 157 c.p.) stabilisce chiaramente che il termine di prescrizione si calcola sulla pena massima prevista per il reato, senza tener conto delle circostanze attenuanti. Pertanto, l’applicazione dell’attenuante per danno di lieve entità non può ridurre il tempo necessario a prescrivere il reato di peculato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di reati contro la pubblica amministrazione. In primo luogo, la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato e chi è incaricato della sua gestione assume la qualifica di incaricato di un pubblico servizio. Di conseguenza, l’appropriazione di tali beni integra il grave delitto di peculato. In secondo luogo, la Corte conferma che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito: la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove sono di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado, purché la loro motivazione sia logica e completa. Infine, viene cristallizzato un importante principio procedurale: le circostanze attenuanti, pur incidendo sulla determinazione della pena finale, sono del tutto irrilevanti per il calcolo del termine di prescrizione del reato.

Quando la condotta di un incaricato alla cattura di fauna selvatica può configurare il reato di peculato?
Secondo la sentenza, si configura il reato di peculato quando un soggetto incaricato di un pubblico servizio, come un tenditore abilitato, concorre all’appropriazione della fauna catturata, avendone la disponibilità per ragioni del suo ufficio, e la cede a terzi, compiendo così un atto dispositivo come se ne fosse il proprietario.

Le circostanze attenuanti possono ridurre il termine di prescrizione di un reato?
No. La sentenza chiarisce, in linea con l’art. 157 del codice penale, che il termine di prescrizione si calcola esclusivamente sulla base della pena massima prevista dalla legge per il reato contestato, senza tener conto di alcuna circostanza attenuante, inclusa quella del danno di particolare tenuità.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove, come la credibilità di un testimone, fatta dai giudici di merito?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha ribadito che la valutazione dell’attendibilità delle dichiarazioni e delle prove è una questione di fatto che rientra nella competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado. Il ricorso in Cassazione è ammissibile solo se la motivazione della sentenza impugnata è manifestamente illogica, contraddittoria o del tutto assente, ma non per proporre una diversa interpretazione delle prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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