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Peculato dipendente pubblico servizio: il caso risolto

La Cassazione conferma la condanna per peculato a carico di due dipendenti di una società di servizi pubblici che si erano appropriati di somme in contanti versate dagli utenti, mentendo sul malfunzionamento del POS. Si configura il reato di peculato del dipendente pubblico servizio perché il possesso del denaro è stato conseguito in ragione della funzione svolta, e non tramite gli artifizi tipici della truffa.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato Dipendente Pubblico Servizio: Quando la Bugia Maschera l’Appropriazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha chiarito un punto cruciale del diritto penale riguardante i reati contro la Pubblica Amministrazione. Il caso analizzato distingue nettamente tra il reato di truffa e quello di peculato del dipendente pubblico servizio, anche quando quest’ultimo utilizza un inganno per appropriarsi di denaro. La decisione sottolinea che l’elemento decisivo è se il possesso del denaro sia stato ottenuto in ragione della funzione svolta, rendendo l’eventuale menzogna solo un espediente per nascondere l’illecito.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda due dipendenti di una società concessionaria del servizio di riscossione dei tributi per un Comune, in particolare per la fornitura idrica. I due impiegati si sono appropriati di circa 18.900 euro versati dagli utenti.

La loro tecnica era semplice: nonostante una regola interna vietasse i pagamenti in contanti presso gli sportelli, i due dipendenti convincevano gli utenti a pagare in contanti, sostenendo falsamente che il sistema di pagamento elettronico (POS) non funzionasse. Successivamente, per coprire gli ammanchi, creavano e duplicavano bollettini di pagamento falsi, attestando l’avvenuto versamento.

Condannati in primo grado e in appello per peculato in concorso, i due dipendenti hanno presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la loro condotta dovesse essere qualificata come truffa e non come peculato, proprio perché avevano utilizzato “artifizi e raggiri” (la bugia del POS rotto) per ottenere il denaro.

La Qualifica Soggettiva: Incaricati di Pubblico Servizio

Uno dei punti chiave della difesa era la presunta insussistenza della qualifica di incaricati di pubblico servizio. I ricorrenti sostenevano di svolgere mere mansioni esecutive e di accoglienza, attività che potevano essere sostituite dalla consultazione del sito internet aziendale.

La Corte ha respinto questa argomentazione, confermando che i dipendenti di una società concessionaria di un servizio pubblico, come la riscossione di tributi, svolgono un’attività definibile come pubblico servizio. L’istruttoria aveva inoltre dimostrato che essi gestivano in autonomia pratiche come volture, allacci e fornivano informazioni, superando quindi il livello di mera attività esecutiva. Pertanto, la loro qualifica di incaricati di pubblico servizio è stata pienamente confermata.

L’Analisi della Corte sul Peculato del Dipendente Pubblico Servizio

Il cuore della sentenza risiede nella distinzione tra peculato e truffa aggravata. La difesa sosteneva che, non avendo il possesso legale del denaro contante (a causa del divieto interno), i dipendenti se lo erano procurato solo attraverso l’inganno. Secondo questa linea, l’artifizio sarebbe stato il mezzo per ottenere un profitto ingiusto, configurando così la truffa.

La Cassazione ha rigettato questa tesi con un ragionamento lineare e giuridicamente solido. I Giudici hanno stabilito che l’elemento distintivo tra i due reati è il rapporto tra il possesso del bene e l’inganno.

* Nella truffa, l’agente non ha il possesso del bene e utilizza artifizi e raggiri per procurarselo, inducendo la vittima in errore.
Nel peculato, l’agente ha già la disponibilità o il possesso del bene in ragione del suo ufficio o servizio*. Gli eventuali inganni servono solo a mascherare l’appropriazione illecita.

Le motivazioni

Nel caso specifico, la Corte ha motivato che i dipendenti avevano la possibilità di ricevere il denaro dagli utenti proprio in virtù della loro funzione allo sportello. Il divieto interno di accettare contanti è stato considerato una mera “consuetudine organizzativa interna”, non opponibile agli utenti, i quali mantenevano il diritto di pagare con qualsiasi mezzo legale, contanti inclusi.

Di conseguenza, nel momento in cui i dipendenti ricevevano il denaro, ne entravano in possesso per “ragione del servizio”. La bugia sul POS non era finalizzata a indurre gli utenti a un pagamento non dovuto (il pagamento era legittimo), ma era un “comportamento menzognero” volto a convincerli a utilizzare una specifica modalità di pagamento (il contante) per facilitare la successiva appropriazione. L’inganno, quindi, non ha generato il possesso, ma ha solo creato l’opportunità per l’appropriazione di un bene di cui già potevano disporre grazie al loro ruolo. L’appropriazione è avvenuta “dopo l’acquisizione del denaro”, che non veniva versato nelle casse dell’ente ma finiva nelle tasche degli imputati.

Le conclusioni

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi e confermato la condanna per peculato. Questa sentenza rafforza un principio fondamentale: quando un incaricato di pubblico servizio si appropria di denaro che riceve nell’esercizio delle sue funzioni, commette peculato, anche se viola disposizioni interne o utilizza un pretesto per ottenere il pagamento in una certa forma. La condotta illecita non risiede nell’inganno verso l’utente, ma nell’abuso della funzione pubblica per appropriarsi di risorse che appartengono alla collettività o all’ente per cui lavora.

Quando un dipendente di un servizio pubblico commette peculato anziché truffa se usa un inganno?
Commette peculato quando l’inganno non serve a farsi dare un pagamento non dovuto, ma solo a ottenere il denaro in una modalità (es. contanti) che facilita la successiva appropriazione. Il possesso del denaro deve derivare dalla sua funzione lavorativa, e l’inganno è solo un mezzo per mascherare l’appropriazione.

La violazione di una regola interna, come il divieto di accettare contanti, cambia il reato da peculato a truffa?
No. Secondo la Corte, una regola organizzativa interna non è sufficiente a escludere il possesso del denaro “per ragione del servizio”. Se il dipendente, in virtù del suo ruolo, ha la possibilità di entrare in contatto con il denaro, la sua appropriazione configura peculato, indipendentemente dalla violazione di una disposizione interna.

Un dipendente di una società privata che gestisce un servizio pubblico è considerato un “incaricato di pubblico servizio”?
Sì. La sentenza conferma che chi lavora per una società concessionaria di un servizio pubblico, come la riscossione di tributi, e svolge mansioni che non sono puramente materiali o esecutive, riveste la qualifica di incaricato di pubblico servizio ai sensi dell’art. 358 del codice penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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