Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23201 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23201 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME NOME a RAGIONE_SOCIALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/02/2023 della Corte di appello di Bari
Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari in data 23 febbraio 2023, che, in riforma della sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 27 novembre 2018, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi riguardi con riferimento ai reati di peculato a lui ascritti, consumati sino alla data del 13 dicembre 2009 – perché estinti per intervenuta prescrizione. La Corte d’appello, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, ha ridetermiNOME la
pena in relazione alle condotte poste in essere dal 14 dicembre 2009 in poi, in anni due di reclusione.
Si contesta all’imputato, nella qualità di pubblico ufficiale in quanto dipendente della RAGIONE_SOCIALE con mansioni di cassiere, di essersi appropriato di parte delle somme di denaro versate dagli utenti per l’erogazione dei servizi richiesti alla Pubblica Amministrazione (rilascio di certificati, di visure camerali e di titoli di abilitazio alla professione di mediatore), mediante storni ingiustificati, pure a seguito della presentazione della ricevuta di pagamento agli uffici competenti per la giustificazione dei servizi erogati (capo C).
Si contesta, altresì, a COGNOME, di essersi appropriato di un quantitativo di denaro di proprietà dell’ente, pari a oltre euro 2.500,00 percepiti quali differenza tra l’importo di euro 77,00 – a lui versato dai soggetti che intendevano sostenere l’esame di agente in affari di mediazione o da altri soggetti non identificati ai quali gli esaminandi avevano versato tali somme – e l’importo effettivamente percepito dall’ente; operazioni per le quali emetteva delle ricevute con causale “certificato ordinario” dell’importo di euro cinque, con causale “bollo virtuale certificato antimafia” per l’importo di euro 24,62, oppure con causale “RAGIONE_SOCIALE” per l’importo di euro sette, ma con numerazione identica a quella riportata su analoghe ricevute con causale esami mediatori per l’importo di euro 77,00 (capo D).
In particolare, quanto al capo D), dalla copia cartacea rinvenuta negli archivi, risultava che il candidato all’esame di abilitazione alla professione di mediatore aveva versato regolarmente la somma di 77,00 euro per sostenere l’esame; viceversa, i dati riportati sulla ricevuta annotata nel registro di cassa, protocollata con medesimo numero, davano conto di un incasso notevolmente inferiore (da cinque a sette euro) e di una diversa causale. Si è, quindi, ritenuto che COGNOME, dopo avere rilasciato regolare ricevuta per euro 77,00, rientrasse nel sistema e andasse a modificare l’importo ricevuto e la causale, appropriandosi quindi della differenza (oltre 2.500 ,00 euro).
Il compendio probatorio è costituito dalle testimonianze del dirigente della RAGIONE_SOCIALE, dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE incaricati di svolgere gli accertamenti a carico dell’imputato, del titolare del Servizio Cassa presso la RAGIONE_SOCIALE, e di altri testimoni, oltre che dalla documentazione riversata in atti.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione COGNOME, a mezzo del difensore di fiducia, deducendo la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del reato di peculato.
Per quanto concerne il gruppo di irregolarità relative al pagamento dei diritti per sostenere l’esame da agente immobiliare, la difesa evidenzia che, a fronte di quindici candidati, uno solo ha riferito di avere pagato personalmente, mentre tutti gli altri hanno dichiarato di essersi affidati a una terza persona. La Corte di appello sarebbe incorsa in errore ignorando la circostanza che quattordici candidati si erano avvalsi, per gli adempimenti di iscrizione al concorso, compreso il pagamento dei diritti, di tali COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Inoltre, la Corte di appello non avrebbe considerato la decisiva testimonianza di COGNOME NOME, che ha sempre affermato che le ricevute presenti nei fascicoli dei candidati erano palesemente artefatte. Tali ricevute erano consegnate alla COGNOME direttamente dal candidato e non dall’imputato.
Con riferimento al secondo gruppo di irregolarità, la difesa ha sottolineato che la Corte di appello sarebbe incorsa in errore nel ritenere che lo storno, per essere legittimo, dovesse essere giustificato. In realtà la RAGIONE_SOCIALE prevedeva la possibilità per il cassiere di stornare a tre condizioni:
-che lo storno fosse fatto in giornata;
-che l’utente consegnasse al cassiere le due ricevute in originale avute in precedenza, ossia quando aveva effettuato il pagamento;
-che il cassiere fosse autorizzato dal suo superiore.
Nessuno ha detto che lo storno dovesse essere giustificato, e cioè che il cliente dovesse dire per quale ragione volesse riavere i soldi. Rispetto a tale dato la Corte non si sarebbe pronunciata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso risulta proposto per motivi di merito non consentiti e, comunque, manifestamente infondati.
2.In primo luogo, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza impugnata ha preso in considerazione la circostanza che, in molti casi, vi sia stato un terzo delegato ad eseguire il pagamento dei diritti per l’esame di agente di mediazione. Ha, tuttavia, escluso l’ipotesi alternativa prospettata con l’atto di appello, relativa alla falsificazione delle ricevute ad opera del delegato, con considerazioni del tutto logiche, là dove ha sottolineato che:
non in tutti i casi è intervenuto un terzo;
la falsità della ricevuta non è stata, in alcun modo documentata, sia perché non riferita dagli impiegati incaricati della loro ricezione, sia perché il teste COGNOME esamiNOME sul punto, ha dichiarato che le ricevute erano originali.
D’altra parte, le osservazioni contenute nel ricorso in ordine alle dichiarazioni dei testi COGNOME e COGNOME sono puramente in fatto e, comunque, contraddittorie relativamente alla riconoscibilità della falsità delle ricevute.
3.Analogamente, quanto ai peculati realizzati mediante storni ingiustificati, l’ipotesi alternativa prospettata dalla difesa è stata debitamente confutata con argomentazioni non scalfite dal ricorrente, che, peraltro, si limita a richiamare le doglianze già proposte con l’appello.
Nella sentenza impugnata si sottolinea che la difesa ha costruito il proprio gravame ipotizzando che il terzo incaricato del pagamento di un servizio abbia fraudolentemente corrisposto una maggior somma rispetto a quella dovuta per lo stesso e, quindi, ottenuta la ricevuta, abbia poi richiesto l’annullamento dell’operazione restituendo la ricevuta di maggiore importo, dopo averne fatto copia. Avrebbe quindi elaborato una duplice copia: una per il maggiore importo da consegnare al beneficiano del servizio al fine di lucrare indebitamente il valore patrimoniale differenziale, e l’altra, falsificata dalla copia, per l’effettivo mino importo da esibire all’incaricato della erogazione del servizio per il quale era stato delegato.
Correttamente la Corte d’appello ha evidenziato che il tortuoso meccanismo postula, per un verso, il dato, indimostrato, che il beneficiario del servizio, sostanzialmente raggirato, si sia avvalso sempre di terzo delegato per il relativo ottenimento e, per l’altro, che nessun incaricato dell’amministrazione abbia mai acquisito consapevolezza della falsificazione delle ricevute eseguite.
La Corte d’appello, infine, ha puntualmente sottolineato il carattere implicitamente confessarlo dell’atto transattivo intervenuto tra l’imputato e la parte civile per l’importo di euro 75.000,00, con rinuncia ad opera della RAGIONE_SOCIALE all’ulteriore credito vantato per euro 27.000,00.
Con motivazione congrua e logica, la sentenza impugnata ha rimarcato che tale carattere confessorio non può essere neutralizzato adducendo l’esigenza del debitore di evitare l’esecuzione immobiliare sulla propria abitazione, in quanto, in presenza di un’effettiva estraneità dell’imputato alla pretesa azionata, il suddetto ben avrebbe potuto azionare il rimedio della opposizione alla esecuzione.
4.Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali. In ragione delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che si ravvisano ragioni di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Il Consiglie estensore
Così deciso il 29 febbraio 2024
Il Presidente