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Peculato del pubblico ufficiale: la Cassazione conferma

Un dipendente pubblico, con mansioni di cassiere presso una Camera di Commercio, è stato condannato per peculato del pubblico ufficiale. L’accusa era di essersi appropriato di somme di denaro alterando le causali e gli importi delle ricevute e effettuando storni ingiustificati. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del dipendente, confermando la decisione della Corte d’Appello. La sentenza sottolinea come un accordo transattivo con l’ente danneggiato possa essere interpretato come un’ammissione di colpa e come il ricorso in Cassazione non possa essere utilizzato per una nuova valutazione dei fatti già esaminati nei gradi di merito.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato del Pubblico Ufficiale: Analisi di una Recente Sentenza della Cassazione

La recente sentenza n. 23201/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sul reato di peculato del pubblico ufficiale e sui limiti del ricorso in sede di legittimità. Il caso riguarda un dipendente di un ente pubblico con mansioni di cassiere, accusato di aver sottratto fondi attraverso un sistema di alterazione delle ricevute e storni contabili. La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha consolidato principi chiave sulla valutazione della prova e sul valore indiziario di alcuni comportamenti dell’imputato, come la stipula di un accordo transattivo con la parte lesa.

I Fatti: L’Accusa di Peculato

All’imputato, cassiere presso una Camera di Commercio, venivano contestate due principali modalità di appropriazione indebita:

1. Storni Ingiustificati: L’impiegato si appropriava di parte delle somme versate dagli utenti per vari servizi (certificati, visure, etc.) effettuando storni contabili non giustificati.
2. Alterazione delle Ricevute: La condotta più elaborata riguardava i pagamenti per sostenere l’esame di abilitazione alla professione di mediatore. I candidati versavano la somma corretta di 77,00 euro, ricevendo una regolare ricevuta. Successivamente, il cassiere accedeva al sistema informatico, modificava l’operazione associata a quel numero di ricevuta, registrando un importo inferiore (dai 5 ai 7 euro) e una causale diversa (es. ‘certificato ordinario’). In questo modo, si appropriava della differenza, che ammontava a oltre 2.500,00 euro.

Lo Sviluppo Processuale

Dopo la condanna in primo grado, la Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza. Aveva dichiarato la prescrizione per i fatti più risalenti nel tempo ma, riconoscendo le attenuanti generiche, aveva confermato la condanna per gli episodi successivi, rideterminando la pena in due anni di reclusione. L’imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando la sussistenza stessa del reato di peculato.

I Motivi del Ricorso e il peculato del pubblico ufficiale

La difesa ha basato il ricorso su due argomenti principali:

* Falsificazione ad opera di terzi: Riguardo all’alterazione delle ricevute per gli esami, la difesa sosteneva che la colpa fosse di intermediari terzi, a cui molti candidati si erano affidati per il pagamento. Questi intermediari, secondo la tesi difensiva, avrebbero falsificato le ricevute presentate all’ente.
* Legittimità degli storni: Per gli storni contabili, si argomentava che la procedura interna non richiedeva una ‘giustificazione’ per l’annullamento dell’operazione, ma solo il rispetto di alcune condizioni formali, che secondo la difesa erano state osservate.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso inammissibile in quanto basato su motivi di merito e manifestamente infondato. I giudici hanno spiegato che la Corte d’Appello aveva già confutato in modo logico e coerente le tesi difensive.

In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che:

1. La ricostruzione dei fatti è insindacabile in sede di legittimità: Le argomentazioni della difesa sulla presunta falsificazione da parte di terzi e sulla valutazione delle testimonianze rappresentavano un tentativo di ottenere una nuova e diversa valutazione delle prove, attività preclusa al giudice di legittimità. La Corte d’Appello aveva già escluso tale ipotesi, sottolineando che non vi era prova della falsità delle ricevute e che le testimonianze confermavano la loro originalità.
2. Il valore confessorio dell’atto transattivo: Un punto cruciale della motivazione riguarda l’accordo transattivo da 75.000,00 euro stipulato tra l’imputato e la Camera di Commercio. La Corte ha confermato l’interpretazione dei giudici d’appello, secondo cui tale atto avesse un carattere implicitamente confessorio. La giustificazione dell’imputato, ovvero aver agito per evitare un’esecuzione immobiliare sulla propria casa, è stata ritenuta irrilevante. Se fosse stato veramente estraneo ai fatti, avrebbe potuto e dovuto opporsi all’esecuzione forzata, anziché pagare una somma così ingente.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il ricorso per Cassazione è un giudizio di legittimità, non un terzo grado di merito. Non è possibile, in questa sede, rimettere in discussione la ricostruzione dei fatti operata dai giudici delle istanze precedenti, se la loro motivazione è logica e priva di vizi di legge. Inoltre, la decisione conferma che elementi extra-processuali, come un accordo transattivo di natura civile, possono assumere un forte valore indiziario nel processo penale, fino a essere considerati come un’ammissione implicita di responsabilità, soprattutto quando l’imputato rinuncia a far valere le proprie ragioni nelle sedi competenti.

Un accordo transattivo con la parte danneggiata può essere considerato una confessione nel processo penale?
Sì, in questo caso la Corte di Cassazione ha confermato la valutazione dei giudici di merito, secondo cui l’atto transattivo stipulato tra l’imputato e l’ente pubblico danneggiato per un importo significativo (75.000 euro) assume un ‘carattere implicitamente confessorio’. La Corte ha ritenuto che, se l’imputato fosse stato estraneo ai fatti, avrebbe potuto utilizzare altri strumenti legali, come l’opposizione all’esecuzione, per difendere le sue ragioni.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle testimonianze fatta nei gradi di merito?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che il suo ruolo è quello di giudice di legittimità, non di merito. Pertanto, le osservazioni relative alla valutazione delle dichiarazioni dei testimoni sono considerate ‘puramente in fatto’ e non possono essere oggetto del giudizio di Cassazione, a meno che non emerga un vizio logico manifesto nella motivazione della sentenza impugnata.

In cosa consisteva il reato di peculato del pubblico ufficiale in questo caso specifico?
Il reato di peculato contestato al cassiere si manifestava attraverso due condotte distinte. La prima consisteva nell’appropriarsi di somme di denaro effettuando ‘storni ingiustificati’ di pagamenti ricevuti dagli utenti. La seconda, più complessa, prevedeva l’emissione di una ricevuta per l’importo corretto (es. 77,00 euro) al cittadino, per poi modificare nel sistema informatico l’importo e la causale di quella stessa operazione, registrando un incasso molto inferiore (es. 5 o 7 euro) e intascando la differenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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