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Peculato del professionista delegato: la Cassazione

Un professionista, nominato custode in una procedura di espropriazione immobiliare, si appropriava di oltre 162.000 euro destinati agli eredi del debitore, utilizzando false autorizzazioni del giudice. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per peculato del professionista delegato, respingendo la tesi difensiva che mirava a riqualificare il reato in truffa. Secondo la Corte, il professionista aveva già la disponibilità giuridica del denaro in virtù del suo ruolo pubblico; i falsi documenti sono stati solo un espediente per mascherare l’appropriazione, non il mezzo per ottenerne il possesso.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato del Professionista Delegato: Quando l’Appropriazione Supera la Truffa

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico di peculato del professionista delegato, delineando con chiarezza il confine tra questo grave reato contro la Pubblica Amministrazione e la fattispecie della truffa. La decisione chiarisce come la qualifica di pubblico ufficiale e la disponibilità giuridica dei fondi siano elementi determinanti per la corretta qualificazione del reato, anche quando l’appropriazione avviene tramite documenti falsi.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un professionista nominato custode e delegato alla vendita nell’ambito di una procedura di espropriazione immobiliare. In tale veste, egli si appropriava di una somma ingente, pari a 162.957,41 euro, che residuava dalla vendita del bene e che sarebbe dovuta essere versata agli eredi del debitore esecutato. Per mascherare i prelievi illeciti dal conto corrente della procedura, il professionista aveva creato e utilizzato delle false autorizzazioni, apparentemente emesse dal Giudice dell’Esecuzione.

Condannato in primo grado e in appello per i reati di peculato e falso materiale in atto pubblico, l’imputato proponeva ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su una serie di motivi, sia procedurali che di merito.

La Tesi Difensiva: Peculato o Truffa Aggravata?

Il fulcro della difesa si concentrava sulla riqualificazione del reato da peculato a truffa aggravata. Secondo il ricorrente, egli non avrebbe avuto il possesso diretto delle somme, ma lo avrebbe ottenuto solo grazie agli artifici e raggiri, ovvero le false autorizzazioni presentate in banca. Senza questi documenti falsi, l’appropriazione non sarebbe stata possibile. Tale riqualificazione avrebbe avuto conseguenze significative, inclusa la possibile prescrizione del reato.

Oltre a ciò, la difesa sollevava diverse eccezioni procedurali, contestando la composizione del collegio giudicante, la gestione delle contestazioni suppletive e il rigetto di richieste probatorie.

Peculato del Professionista Delegato: La Posizione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna per peculato del professionista delegato. La motivazione della Corte è cruciale per comprendere la distinzione tra i due reati. I giudici hanno stabilito che l’elemento distintivo risiede nelle modalità di acquisizione del possesso del denaro.

Nel caso del peculato, il pubblico ufficiale ha già la disponibilità giuridica del bene per ragioni legate al suo ufficio. Nel caso in esame, il professionista, in qualità di custode e delegato ausiliario del giudice, esercitava una funzione pubblica giudiziaria. Questo ruolo gli conferiva il controllo legale e la titolarità ad operare sul conto della procedura, e quindi la disponibilità delle somme depositate.

Le false autorizzazioni, pertanto, non sono state il mezzo per ottenere un possesso che non aveva, ma solo un espediente per mascherare la già avvenuta appropriazione e giustificare i prelievi. L’appropriazione era già stata decisa e i falsi erano meramente funzionali a coprirla. Se il possesso preesiste per ragioni d’ufficio, si ha peculato; se viene acquisito tramite inganno, si ha truffa.

La Qualifica di Pubblico Ufficiale

La sentenza ribadisce un principio consolidato: il professionista delegato alle operazioni di vendita nelle esecuzioni immobiliari è un ausiliario del giudice e, in tale veste, esercita una pubblica funzione giudiziaria. Di conseguenza, riveste la qualità di pubblico ufficiale, presupposto fondamentale per la configurabilità del reato di peculato ai sensi dell’art. 314 c.p.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione basandosi sulla distinzione fondamentale tra la disponibilità del bene e l’atto materiale di apprensione. Il professionista delegato, per il suo incarico pubblico, deteneva la disponibilità giuridica dei fondi della procedura. L’appropriazione si è consumata nel momento in cui ha agito uti dominus, distogliendo i fondi dalla loro destinazione pubblica. I falsi decreti autorizzativi non sono stati la causa dell’acquisizione del possesso, ma uno strumento per occultare un’appropriazione già perfezionatasi sul piano volitivo e giuridico. La Corte ha quindi concluso che la condotta rientrava pienamente nella fattispecie del peculato, poiché l’agente aveva già il controllo dei beni in ragione del suo ufficio. Anche le altre eccezioni procedurali sono state ritenute infondate, confermando la correttezza dell’operato dei giudici di merito.

Le Conclusioni

Questa sentenza rafforza la tutela della corretta amministrazione della giustizia e la responsabilità dei professionisti che operano come ausiliari del giudice. Stabilisce in modo inequivocabile che la disponibilità dei fondi derivante da un incarico pubblico qualifica qualsiasi appropriazione come peculato, reato ben più grave della truffa. L’uso di artifici, come documenti falsi, non muta la natura del reato se serve solo a mascherare un’azione illecita resa possibile dalla posizione ricoperta. La decisione funge da monito, sottolineando l’elevato standard di integrità richiesto a chiunque gestisca patrimoni altrui nell’ambito di procedure giudiziarie.

Quando l’appropriazione di fondi da parte di un professionista delegato è peculato e non truffa?
Si configura il reato di peculato quando il professionista ha già la disponibilità giuridica delle somme in ragione del suo incarico pubblico. Se, come nel caso di specie, utilizza documenti falsi solo per mascherare i prelievi di fondi su cui ha già il controllo, commette peculato. Si avrebbe truffa, invece, se non avesse alcuna disponibilità e ottenesse il possesso del denaro solo tramite l’inganno.

Il professionista delegato alla vendita in una procedura esecutiva è un pubblico ufficiale?
Sì. La Corte di Cassazione conferma che il professionista delegato alle operazioni di vendita agisce come ausiliario del giudice ed esercita una pubblica funzione giudiziaria. Pertanto, ai fini della legge penale, riveste la qualità di pubblico ufficiale, il che è un presupposto per il reato di peculato.

L’utilizzo di fotocopie di documenti falsi può integrare il reato di falso in atto pubblico?
Sì. Nel caso esaminato, la Corte ha ritenuto che le false autorizzazioni, sebbene presentate in fotocopia, fossero idonee a trarre in inganno i funzionari di banca. L’idoneità è stata valutata tenendo conto del contesto, del ruolo ufficiale del presentatore e della sua legittimazione ad operare sul conto, elementi che conferivano ai documenti un’apparenza di autenticità sufficiente a ingenerare l’errore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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