Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 6724 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 6724 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato i! 21/06/1983 a Reggio Calabria avverso la sentenza del 2/02/2024 della Corte di appello di Reggio Calabria
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette !e conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.;
lette le conclusioni scritte depositate il 23/12/2024 dall’avvocato NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
1, Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza emessa in data 11 maggio 2017 dal Tribunale di Reggio
Calabria che condannava COGNOME NOME per il reato di peculato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione e lo dichiarava interdetto dai pubblici uffici per la stessa durata della pena ex art. 317 -bis cod. proc. pen.
Si contesta all’imputato, in qualità di incaricato di pubblico servizio, e precisamente di custode dell’autovettura di proprietà di terzi – giusto provvedimento di sequestro del 20 giugno 2011 della polizia stradale di Reggio Calabria -, avendo per ragioni del suo servizio la disponibilità dell’autovettura, di essersi appropriato del bene e di averne disposto la distruzione senza autorizzazione.
Nella sentenza impugnata si dà atto che il 20 giugno 2011 l’imputato veniva fermato alla guida della autovettura di proprietà di NOME COGNOME; in occasione di detto controllo il mezzo risultava essere sprovvisto di copertura assicurativa e, quindi, all’interessato veniva contestata la relativa infrazione con obbligo del pagamento della sanzione pecuniaria di tipo amministrativo. L’autovettura veniva, al contempo, sottoposta a sequestro e affidata, in qualità di custode giudiziale, allo stesso COGNOME, che, tuttavia, non provvedeva al pagamento della multa, sicché la Prefettura ordinava la confisca del mezzo, con l’avvertimento all’imputato che, entro il termine indicato, avrebbe dovuto trasferire il veicolo presso il deposito giudiziario più vicino, previ accordi con l’organo accertatore, e a pena il trasferimento coattivo del mezzo. Tale provvedimento veniva notificato all’imputato e, ciò nonostante, l’ispettore di polizia escusso in dibattimento ha riferito di non avere rinvenuto l’autovettura nel luogo all’uopo adibito. L’imputato non forniva, del resto, alcuna giustificazione in ordine la propria condotta.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione l’imputato deducendo i seguenti motivi:
2.1. COGNOME Col primo motivo, il difensore dell’imputato deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e) c.p.p., violazione dell’art. 314 cod. peli.
Mancherebbe la res della quale l’imputato avrebbe disposto per ragioni di servizio. La disponibilità della cosa sarebbe precedente all’esercizio dei poteri funzionali dell’odierno ricorrente. Ciò si evince dal fatto che l’autovettura oggetto di custodia era già nella disponibilità di COGNOME e lo stesso, in sede di sequestro, fu nominato custode proprio in quanto detentore e utilizzatore della stessa.
2.2.Con il secondo motivo, il difensore deduce, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), violazione degli artt. 323-bis e 62 n. 4 cod. pen.
La Corte non avrebbe motivato sull’apprezzamento di circostanza di fatto e di diritto che consentivano di escludere l’applicabilità delle circostanze attenuanti sopra indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è parzialmente fondato nei termini di seguito indicati.
2. Il primo motivo è infondato.
Il rilievo difensivo secondo il quale l’imputato aveva la disponibilità della cosa e dunque era già possessore del mezzo prima della nomina a custode del bene in sequestro non ha rilievo nel caso in esame. La fattispecie contestata al medesimo riguarda infatti la condotta posta in essere successivamente alla sua nomina a custode giudiziale dell’autovettura in sequestro, che comportava la sua qualifica di incaricato di pubblico servizio. Pertanto, la circostanza per cui la vettura non era stata rinvenuto nel luogo all’uopo adibito, segnatamente nel cortile antistante l’abitazione del Bevilacqua, correttamente è stata ritenuta elemento di prova della sussistenza del reato contestato.
Come affermato da questa Corte di legittimità, evocata dalla stessa sentenza, affinché sia integrato il delitto di peculato, è necessario che l’appropriazione compiuta dal pubblico ufficiale, o dall’incaricato di pubblico servizio, abbia riguardo ad una res della quale quest’ultimo dispone, appunto, per una ragione legata all’esercizio di poteri o doveri funzionali, in un contesto che consenta al soggetto di tenere nei confronti della cosa quei comportamenti uti dominus in cui consiste l’appropriazione
Una volta che il bene è stato sequestrato è, infatti, venuta meno la ragione del possesso che aveva l’imputato in precedenza, in quanto egli la possiede per una ragione legata all’esercizio di doveri o poteri funzionali connessi alla nomina di custode giudiziale.
Sul piano della qualificazione giuridica, non oggetto di deduzione da parte del ricorrente in questa sede (ma solo in sede di appello), si ritiene di dovere, comunque, ribadire la correttezza dell’inquadramento nella fattispecie del peculato, e non in quella di sottrazione di cose sottoposte a sequestro di cui all’art. 334 cod. pen., in base all’orientamento consolidato secondo cui la condotta di impossessamento posta in essere da parte del custode che non ne sia proprietario, o che non agisca in suo concorso o nel suo interesse, configura il delitto di peculato, atteso che la fattispecie prevista dall’art. 334 cod. pen. presuppone che il custode sia proprietario del bene, o che la sottrazione sia avvenuta per favorire il proprietario, mentre se il custode agisce per un interesse proprio vi è peculato.
Integra, invece, ma non è il caso in esame, il delitto di peculato d’uso, e non quello di sottrazione di cose sottoposte a sequestro di cui all’art. 334 cod. pen., la condotta di momentaneo impossessamento posta in essere, attraverso l’abusiva
circolazione di un’autovettura sottoposta a sequestro amministrativo, da parte del custode che non ne sia proprietario, o che non agisca in suo concorso o nel suo interesse (cfr. Sez. 6, n. 26812 del 15/06/2011, Longo Rv. 250741).
Il secondo motivo è fondato, limitatamente alla mancata concessione della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen.
La Corte d’appello ha escluso la concessione di entrambe le circostanze attenuanti invocate, adottando un’unica motivazione e cioè che il COGNOME «ha eluso, con la sua condotta, il vincolo di indisponibilità derivante dal sequestro del mezzo, ponendo nel nulla l’interesse della pubblica amministrazione».
Tale affermazione appare congrua in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 323-bis cod. pen., in quanto, con riferimento alla stessa, occorre aver riguardo al fatto nella sua globalità, e non solo all’entità del danno economico. Dunque, il riferimento al valore del buon andamento della pubblica amministrazione costituisce certamente una giustificazione adeguata.
Diversa soluzione si ritiene, invece, per l’aggravante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. (per la quale va considerato che la vettura risulta essere stata distrutta, il che indurrebbe a ritenere che la stessa avesse un valore poco rilevante).
Va ricordato che, secondo l’orientamento consolidato della Corte di cassazione in tema di reati contro la pubblica amministrazione, ai fini del riconoscimento dell’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., la valutazione della speciale tenuità deve riguardare il solo aspetto del pregiudizio economico cagionato dal singolo fatto reato e non la gravità della vicenda nel suo complesso che, invece, rileva ai fini della applicazione della circostanza di cui all’art. 323-bis cod. pen. (Sez. 6, n. 1313 del 05/07/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274939). È solo in base al valore patrimoniale di ciascun fatto appropriativo che deve essere apprezzata la ricorrenza o meno dell’attenuante comune prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen. allorchè si tratti di delitti contro il patrimonio o che, comunque, offendono il patrimonio come il delitto di peculato, che è tipico reato plurioffensivo. In tema di delitti contro la pubblica amministrazione, è solo per la circostanza attenuante speciale prevista dall’art. 323-bis cod. proc. pen., che è necessario valutare la vicenda nel suo complesso e non solo l’entità patrimoniale della violazione considerata.
Deve, perciò, ritenersi erroneo il diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. motivato sulla base della valutazione del danno cagionato ai beni dell’imparzialità, trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa, assumendo tali connotazioni rilevanza solo ai fini dell’attenuante speciale prevista dall’art. 323-bis cod. proc. pen.
La sentenza impugnata deve, in conclusione, essere annullata, limitatamente alla valutazione dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4 cod. pen., con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto.
Il ricorso va, invece, rigettato, nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’art. 62, n. 4, cod. pen., e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d’appello di Reggio Calabria.
Rigetta il ricorso nel resto.
Così deciso 1’8 gennaio 2025
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