Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 588 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 588 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME n. Roma 25/07/1971
avverso la sentenza n. 13565/23 della Corte di appello di Roma del 07/12/2023
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Roma ha ribadito la condanna di NOME COGNOME in ordine al delitto di peculato continuato (artt. 81 cpv., 314 cod. pen.), consumato in qualità di commissario nominato dal Ministero dello Sviluppo Economico per la liquidazione coatta amministrativa di due società cooperative, la RAGIONE_SOCIALE di Terracina (Lt) e la RAGIONE_SOCIALE di Castelliri (Fr), mediante appropriazione di somme di denaro del valore complessivo di poco inferiore a 400.000,00 euro, confermandone la condanna alla pena dì cinque anni e otto mesi di reclusione.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dello imputato, che articola i motivi di seguito esposti.
Mancanza ovvero apparenza della motivazione in ordine al mancato approfondimento probatorio circa l’effettiva destinazione delle somme oggetto di appropriazione.
Erronea applicazione degli artt. 314 e 640 cod. pen. con riguardo alla mancata diversa qualificazione della condotta in termini di truffa aggravata, non essendo l’imputato mai stato iscritto all’albo dei commercialisti o a quello dei consulenti del lavoro.
Violazione degli artt. 81 e 2, quarto comma, cod. pen. quanto alla asseritamente erronea individuazione del reato più grave sul quale calcolare la pena base e alla mancata determinazione dell’aumento di pena a titolo di continuazione in modo distinto per i reati satellite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.
Con riferimento al primo motivo di censura, come osservato anche dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, non è dato rilevare, dalla lettura della sentenza, il denunciato vizio di mancanza di motivazione, considerato, per di più, che tutti i motivi del ricorso si risolvono nella pedissequa reiterazione d
quelli già dedotti in sede di merito e puntualmente disattesi dalla Corte territoriale, dovendosi essi – e non già la motivazione – considerare non specifici ma soltanto apparenti, poiché inosservanti della funzione tipica di critica argomentata avverso la pronuncia oggetto di ricorso (tra molte v. Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710).
Per la consumazione del reato di peculato, del resto, è necessaria solo l’esistenza di una condotta antigiuridica (di appropriazione o distrazione), l’appartenenza ad altri dell’oggetto materiale del reato (denaro o altra cosa mobile) ed il possesso o la disponibilità, per ragioni di ufficio o servizio, restando in genere irrilevante l’accertamento del vantaggio che l’imputato si riprometta di conseguire (Sez. 6, n. 9756 del 17/06/1982, COGNOME, Rv. 155747), a meno che non si verta in casi di distrazione in cui l’agente alleghi l’assolvimento di finalit latu sensu istituzionali, al fine di dimostrare l’insussistenza stessa dell’illecito.
In tema di peculato, infatti, l’utilizzo per finalità esclusivamente personali ed estranee a quelle istituzionali di denaro pubblico determina la ‘distrazione’ dello stesso, mentre il reato non è ravvisabile nei casi in cui l’interesse privato dell’agente e quello istituzionale dell’ente siano sincroni e sovrapponibili, non risultando in alcun modo contrastanti (per tutte v. Sez. 6, n. 36496 del 30/09/2020, Vasta, Rv. 280295).
Ma tale evenienza non si è verificata nel caso di specie, dalla pronuncia di merito emergendo, infatti, il mero prosciugamento, senza rendicontazione relativa, dei conti correnti delle società di cui il ricorrente era incaricato procedere alla liquidazione (v. pag. 1 sent. imp.).
Del pari generica per reiterazione è la doglianza relativa alla mancata sua iscrizione all’albo dei commercialisti o a quello dei consulenti del lavoro, circostanza del tutto irrilevante – attesa l’intervenuta nomina formale a commissario liquidatore – e che, comunque, in alcun modo avrebbe potuto determinare il mutamento della qualificazione giuridica della condotta.
Quanto al terzo motivo di doglianza, al netto della poco chiara prospettazione difensiva circa le modifiche della cornice edittale dell’art. 314 cod. pen. e della operatività del principio della prevalenza della legge penale più favorevole, esso deve ritenersi palesemente infondato.
Correttamente, infatti, la Corte di merito ha operato un solo aumento in continuazione per l’unico reato satellite di cui al capo B, il quale, contenendo già una continuazione interna suscettibile di avvincere in un unicum la pluralità degli episodi contestati, si presenta come unica contestazione, salvo i casi di obbligatorio scioglimento cui, del resto, ha proceduto la stessa Corte di appello col dichiarare la prescrizione delle condotte indicate ai numeri da 1 a 13 (pag. 3
sent.) con contestuale rideterminazione in diminuzione della complessiva pena irrogata dal giudice di primo grado.
Alla dichiarazione d’inammissibilità dell’impugnazione segue, come per legge’ la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che stimasi equo quantificare in euro tremila.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, 29 ottobre 2024
Il consigliere