Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27101 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27101 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 06/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Foligno il DATA_NASCITA
avverso la sentenza emessa il 6/6/2023 dalla Corte di appello di Perugia
Visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso; lette le conclusioni e la nota spese, depositate dalla parte civile; letta la memoria depositata dal difensore del ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 6 giugno 2023 la Corte di appello di Perugia -in riforma della sentenza emessa il 22 marzo 2021 dal Tribunale di Spoleto, con cui NOME COGNOME era stato condannato per il reato di cui all’art. 314 cod. pen.
relativamente agli anni 2015, 2016 e 2017 – ha assolto l’imputato dall’appropriazione contestata relativamente all’anno 2017 e, per l’effetto, ha ridotto la pena ad anni due di reclusione, concedendo la sospensione condizionale della stessa pena e revocando le pene accessorie, inflitte con la sentenza di primo grado; ha applicato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni due, condannando altresì l’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile e confermando nel resto l’impugnata sentenza.
Avverso la sentenza della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione e la violazione della regola di giudizio posta dall’art. 192 c.p.p. in relazione al mancato riconoscimento del meccanismo della compensazione tra i crediti e i debiti, reciprocamente gravanti su RAGIONE_SOCIALE e sul RAGIONE_SOCIALE. In particolare, ha richiamato l’art. 5 del contratto, che disciplinava i rapporti tra i due Enti e prevedeva, in caso di mancato pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE, che il RAGIONE_SOCIALE potesse direttamente trattenere le somme che gli spettavano dagli eventuali versamenti a favore di quest’ultima. L’esistenza della citata clausola contrattuale escluderebbe la sussistenza del contestato delitto sia sotto il profilo oggettivo, in quanto il RAGIONE_SOCIALE provvedeva ad applicare il meccanismo della compensazione nel momento in cui doveva procedere al pagamento dei servizi alla RAGIONE_SOCIALE, deducendo, dall’importo da corrispondere alla stessa, l’ammontare delle imposte che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto versare, sia sotto il profilo soggettivo, in considerazione del controllo esercitato dal RAGIONE_SOCIALE al momento dell’approvazione del bilancio della RAGIONE_SOCIALE, di cui l’Ente era l’unico socio, e dell’invio, da parte del liquidatore, delle relazioni periodiche in cui venivano riportati tutti gli elementi relativi ai rapporti tra i due soggetti.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione e l’erronea applicazione dell’art. 175 cod. pen., non essendo stato concesso il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, nonostante esplicita richiesta, contenuta nell’atto di appello.
Sono pervenute memorie sia della parte civile, che ha chiesto di rigettare il ricorso e ha depositato conclusioni scritte e nota spese, sia del difensore dell’imputato, che ha sostanzialmente reiterato argomentazioni formulate nel primo e nel secondo motivo del ricorso e ha chiesto di annullare la sentenza impugnata ai sensi degli artt. 620 o 623 cod. proc. pen., con ogni conseguente statuizione di legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo è privo di specificità.
Secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare i rilievi contenuti nell’atto di appello relativi al raffronto tra le pendenze debitorie ( titolo di imposte) della RAGIONE_SOCIALE al 31 dicembre 2016 e quelle esistenti il primo gennaio 2015. In particolare, premesso che il Collegio territoriale aveva
affermato che tale operazione (con la quale la difesa avrebbe inteso dimostrare come tutte le imposte incassate dalla RAGIONE_SOCIALE erano state riversate al RAGIONE_SOCIALE) non poteva essere effettuata, in quanto il raffronto proposto dalla difesa riguardava «voci non omogenee e confrontabili», riferendosi a tutti i possibili rapporti tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente ha dedotto che il menzionato Collegio sarebbe incorso in un travisamento, dal momento che nell’atto di appello erano stati indicati gli importi riportati dalla Guardia di finanza, che avrebbe fatto riferimento solo agli introiti derivanti dalla riscossione delle imposte di pubblicit e affissione e non al complesso dei rapporti tra la società e il RAGIONE_SOCIALE di Foligno.
Al riguardo deve precisarsi che, se è vero che in un passaggio della motivazione della sentenza impugnata si legge quanto indicato dal ricorrente, è altresì vero che la Corte di appello ha aggiunto che il raffronto effettuato dal ricorrente portava ad una conclusione, ossia l’avvenuto versamento delle somme dovute al RAGIONE_SOCIALE, che contrastava con le deduzioni dello stesso ricorrente, che non aveva contestato di non avere effettuato i versamenti al RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, la Corte territoriale ha diffusamente motivato, sia tramite il richiamo alla sentenza emessa dal Giudice di primo grado, sia attraverso ulteriori precisazioni e integrazioni, il profilo concernente la quantificazione delle somme oggetto di illecita appropriazione da parte della RAGIONE_SOCIALE, avendo riportato il contenuto dell’annotazione della Guardia di finanza (citata anche dal ricorrente) da cui emergono, quali dati inequivocabili e incontestati, non solo il mancato versamento, da parte della RAGIONE_SOCIALE a favore del RAGIONE_SOCIALE di Foligno, degli importi di euro 347.100,56 per l’anno 2015 e di euro 381.014,22 per l’anno 2016, per un totale pari a euro 728.114,78, ma anche il computo delle complessive pendenze debitorie della società alle date del 31.12.2015 (euro 1.055.650,04) e del 31.12.2016 (euro 1.204.469,02), a dimostrazione dell’aumento della globale esposizione debitoria della società nei confronti dell’Ente. Con tali passaggi della motivazione il ricorrente non si è confrontato, così che la stessa deduzione difensiva risulta priva di specificità Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3. Anche il secondo motivo è privo di specificità.
Il ricorrente ha reiterato deduzioni già correttamente disattese dalla Corte di appello, che ha sottolineato che la facoltà per il RAGIONE_SOCIALE di compensare (o ritenere) quanto dovuto dalla RAGIONE_SOCIALE «costituiva solo un’ulteriore forma di garanzia per l’Ente, ma certo non legittimava la società a non effettuare i versamenti».
La Corte territoriale ha altresì evidenziato l’irrilevanza della prassi di procedere alla compensazione con le modalità sopra indicate, sia in considerazione dell’entità dei crediti vantati dalla società nei confronti dell’Ente, significativamente inferiori rispetto alle imposte da versare, sia alla luce della
circostanza, di pregnante valore probatorio, del «mancato accantonamento, magari in attesa dell’esito di future, eventuali compensazioni, delle imposte e diritti riscossi, che erano confluiti nel patrimonio indistinto della società utilizzati liberamente nell’ambito della gestione societaria, come fossero di pertinenza della stessa». Proprio in tale circostanza «si manifesta la natura appropriativa del reato, consistito nel dare alle somme pubbliche una destinazione incompatibile con quelle del perseguimento dell’interesse di natura pubblicistica», attuando, dunque, una distrazione di cui l’imputato aveva piena consapevolezza e volontà.
Così argomentando, il Collegio di secondo grado ha fatto corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte (cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 47003 dell’11/07/2017, Sica, Rv. 271508 – 01; Sez. 6, n. 1865 del 29/09/2020, COGNOME, Rv. 280343 – 01), secondo cui «non esclude il reato di peculato la circostanza che il pubblico ufficiale si appropri di somme di danaro pubblico in compensazione di crediti vantati nei confronti dell’amministrazione di appartenenza, in quanto, salvi i casi espressamente contemplati dalla legge, non è previsto il riconoscimento dell’autotutela per la realizzazione dei propri diritti».
Del pari corretta si appalesa la precisazione della Corte territoriale secondo cui nessun rilievo può assumere a fini scriminanti o di esclusione dell’elemento soggettivo del reato, il comportamento «attendista» tenuto dal RAGIONE_SOCIALE di Foligno, che ha, di fatto, consentito all’imputato di prolungare tale modalità (inadempiente) di gestione societaria ma che non si è mai tradotto in un formale disconoscimento della titolarità pubblica delle imposte riscosse e non versate o nella rinuncia a riceverle nei prescritti termini trimestrali.
Come già precisato da questa Corte, infatti, in tema di peculato, nessuna efficacia esimente può attribuirsi alla causa di giustificazione del consenso dell’avente diritto quando i beni, che costituiscono oggetto della condotta delittuosa, appartengono alla Pubblica amministrazione (Sez. U, n. 19054 del 20.12.2012, Vattani e altro, Rv. 255298 – 01).
4. Il terzo motivo non è consentito.
Questa Corte (Sez. U, n. 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376 – 01) ha specificato che in tutti i casi previsti dall’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., tra i quali, appunto, si annovera la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale ex art. 175 cod. proc. pen., l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata concessione dei benefici, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (cfr., in tema di non menzione della condanna, anche Sez. 4, n. 29538 del 28/5/2019, Calcinoni, Rv. 276596 – 01).
Nel caso in esame, il ricorrente ha dedotto di avere chiesto con l’atto di appello il beneficio in questione ma tale richiesta non si rinviene nell’anzidetto attik in cui l’imputato si t limitato a chiedere di ridurre la pena «nei limiti di legge consentiti, apportando, in ogni caso, un ridotto aumento per la continuazione».
Non essendo stato formulato uno specifico motivo d’appello finalizzato ad ottenere il beneficio della non menzione a favore del ricorrente, questi non può dolersi della mancata concessione da parte della Corte di merito né dell’omessa motivazione al riguardo.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
L’esito del giudizio comporta, inoltre la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE di Foligno, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE di Foligno, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 6/6/2024