Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27424 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27424 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Pordenone il 30/1/1963
avverso la sentenza del 26/9/2024 emessa dalla Corte di appello di Trieste visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso; letta la memoria dell’Avvocato NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il ricorrente impugna la sentenza della Corte di appello di Trieste con la quale era stata confermata la condanna per il delitto di peculato, limitatamente ad alcune delle molteplici contestazioni aventi ad oggetto l’appropriazione, in qualità di consigliere e capogruppo, di somme destinate al Gruppo consiliare della “Lega
Nord” del Consiglio regionale della Regione Friuli Venezia Giulia.
I fatti contestati riguardavano condotte commesse nell’arco temporale 20092012, in relazione alle quali la Corte di appello dichiarava la prescrizione dei fatti relativi alle condotte commesse fino al 2011.
Nell’interesse del ricorrente sono stati formulati sei motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, si deduce la violazione dell’art. 314 cod. pen., sul presupposto che il gruppo consiliare sarebbe stato erroneamente qualificato quale soggetto avente natura pubblicistica. Dopo aver ricostruito la disciplina normativa regionale applicabile ratione temporis, la difesa concludeva nel senso di ritenere che i gruppi consiliari dovevano considerarsi quali associazioni di consiglieri regionali di natura privatistica.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in relazione ai fatti contestati al capo A), rispetto ai quali – pur in difetto di espressa contestazione – si riconosceva la responsabilità del ricorrente a titolo di concorso con ignoti.
L’imputazione, invero, indicava che l’imputato sarebbe stato responsabile di essersi appropriato, quale fruitore, delle somme illecitamente portate a rimborso, senza indicare in alcun modo che la condotta materiale fosse addebitabile ad altri consiglieri e che il ricorrente ne fosse chiamato a rispondere in qualità di capogruppo.
2.3. Con il terzo motivo, si deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta natura privatistica e non legata all’attività del gruppo in relazione alle residue ipotesi descritte al capo A), per le quali era stata confermata la condanna. Analoghe considerazioni venivano svolte anche in ordine al capo B), ribadendosi che, per entrambe le contestazioni, il ricorrente non era tenuto, né avrebbe potuto provvedere, alla verifica della concreta destinazione delle somme richieste a rimborso.
2.4. Con il quarto motivo, si censura l’omessa derubricazione dei fatti nell’ambito del reato di cui all’art. 316-ter cod. pen.
2.6. Con il quinto motivo, si deduce il vizio di motivazione e la violazione di legge relativamente all’accertamento dell’elemento soggettivo.
La difesa, dopo aver ripercorso l’iter amministrativo che consentiva ai consiglieri di ottenere il rimborso, ha evidenziato come l’attività di controllo, peraltro meramente contabile, era esclusivamente di competenza del personale amministrativo. Né la carenza dell’elemento soggettivo poteva essere desunta dal fatto che, come ritenuto in sentenza, l’imputato avesse tentato di distruggere la documentazione inerente all’impiego del denaro.
Invero, l’indagine ha consentito di acquisire tutti gli scontrini presentati per ottenere i rimborsi, sicchè gli unici documenti che l’imputato avrebbe distrutto, in parte, erano le note di dettaglio presentate dai consiglieri e non la documentazione di spesa. Le predette note erano documenti interni e non obbligatori ai fini della rendicontazione e, quindi, dalla loro distruzione non poteva desumersi alcun elemento di prova in ordine all’elemento soggettivo.
In ogni caso, risulterebbe assorbente il fatto che i consiglieri agivano in totale autonomia, rivolgendosi direttamente al personale amministrativo e senza che come da una consolidata prassi – il capogruppo intervenisse nella fase di controllo.
A supporto della tesi della carenza dell’elemento soggettivo, la difesa richiama la sentenza resa da Sez.6, n. 11001 del 15/11/2019, dep.2020, che esaminando la posizione di altri capogruppo del Consiglio regionale del Friuli-Veneza Giulia, aveva annullato la sentenza di condanna, ritenendo che l’accertamento di una violazione dell’obbligo di controllo non comportasse di per sé la sussistenza del dolo.
2.6. Con il sesto motivo si censura il mancato ricnoscimento delle attenuanti generiche.
Il ricorso è stato trattato in forma cartolare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, non essendo inammissibile, impone la preliminare verifica dell’intervenuta prescrizione delle residue condotte oggetto di giudizio.
1.1. Occorre premettere che la Corte di appello ha pronunciato sentenza di assoluzione per gran parte dei fatti di reato, ivi compresi quelli più recenti (2012), mentre le residue condotte di appropriazione risultano tutte prescritte, pur tenendo conto del termine massimo di prescrizione (pari a 12 anni e 6 mesi, aumentato del periodo di sospensione).
La prescrizione deve essere pronunciata in considerazione della sicura ammissibilità del ricorso che, quanto meno in relazione a tre dei motivi proposti, non può ritenersi manifestamente infondato.
In particolare, ciò vale con rigurdo al motivo concernente la dedotta violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. nella misura in cui, a fronte dell’originaria imputazione con la quale, al capo A), si contestava all’imputato di essersi appropriapriato dei fondi, in sentenza veniva riconosciuto il concorso con ignoti a beneficio dei quali le somme sarebbero state distratte.
La Corte di appello dava atto che la condanna era stata pronunciata sul presupposto del concorso del ricorrente con i singoli consiglieri, pur non essendo stati questi individuati in relazione a ciascuna spesa, affermando che ciò non avrebbe comportato la condanna per un fatto diverso da quello indicato in imputazione.
A tale conclusione, i giudici di merito sono pervenuti ritenendo applicabile la giurisprudenza secondo cui non sussiste violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza quando, contestato a taluno un reato commesso “uti singulus”, se ne affermi la responsabilità in concorso con altri (Sez.2, n. 22173 del 24/4/2019, COGNOME, Rv. 276535).
Il principio, per quanto astrattamente condivisibile, mal si attaglia al caso di specie, nel quale si contesta all’imputato una condotta sostanzialmente diversa da quella ritenuta in sentenza, posto che l’imputazione faceva riferimento all’appropriazione commessa”quale fruitore delle somme”, mentre in sentenza si riconosce che le somme sono state incassate da ignoti e l’imputato è stato chiamato a risponderne solo per l’omesso controllo.
Si porrebbe, pertanto, la questione di verificare se la diversa ricostruzione del fatto non si sia limitata al mero riconoscimento di una condotta concorsuale, in luogo di quella singola, bensì abbia comportato una diversa descrizione delle modalità dell’appropriazione, posto che le somme non venivano incamerate dall’imputato, bensì dai singoli consiglieri che ottenevano il rimborso.
2.1. Il motivo relativo all’accertamento dell’elemento soggettivo, quanto meno per il capo B), non risulta manifestamente infondato.
Questa Corte ha già avuto modo di stabilire che in tema di peculato commesso mediante indebito utilizzo del Fondo per il funzionamento dei gruppi consiliari regionali, ai fini del concorso doloso del capogruppo che autorizzi il rimborso di spese sostenute dal consigliere per finalità non istituzionali, è necessario l’accertamento della piena consapevolezza da parte del primo dell’uso illecito del danaro pubblico, che non può desumersi dall’assenza di adeguate verifiche della conformità tra giustificativi di spesa ed iniziative del gruppo, né dall’ampiezza dei rimborsi consentiti (Sez.6, n. 16765 del 18/11/2019, Giovine, Rv. 279418-09).
Nei confronti di COGNOME è stato valorizzato un elemento ritenuto altamente sintomatico e cioè il tentativo di distruggere la documentazione, omettendo di considerare che tale condotta – ponendosi in concomitanza con i primi atti di indagine – non è di per sé idonea a dimostrare l’esistenza dell’elemento soggettivo rispetto al momento di commissione del fatto.
2.2. Anche il motivo relativo alle attenuanti generiche supera il limite della manifesta infondatezza, avendo la Corte di appello reso una motivazione non
immune da censure, omettendo di considerare l’incidenza sulla gravità della condotta dell’assoluzione per gran parte dei fatti contestati, come pure la
circostanza che le appropriazioni, pur se commesse grazie all’omesso controllo del ricorrente, si traducevano pur sempre in un vantaggio immediato e diretto in
favore dei consiglieri che avevano ottenuto i rimborsi,
3. Una volta ritenuta la non manifesta infondatezza del ricorso e, conseguentemente, l’intervenuta prescrizione delle residue condotte delittuose,
deve pronunciarsi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la conferma della confisca del profitto, così come quantificata dalla Corte di appello
nella somma di €3.667,61.
PQM
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per
Il Consigliere estensore
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Il P
prescrizione, con conferma della confisca. Così deciso il 3 giugno 2025