Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 15919 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 15919 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOMEnato a Palermo il 05/01/1960
avverso la sentenza del 20/04/2022 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso, riportandosi ai motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME attraverso il proprio difensore, impugna la sentenza della Corte di appello di Palermo in epigrafe indicata, nella parte in cui ne ha confermato la condanna per i delitti di peculato, detenzione illegale e vendita di armi comuni da sparo, falso materiale ed ideologico in atto pubblico fidefacente, usurpazione di funzioni pubbliche.
Secondo le concordi decisioni dei giudici di merito, COGNOME nella sua qualità di sottufficiale in servizio presso la stazione dei Carabinieri di un Comune di quella provincia, si è appropriato di numerose armi da fuoco riversate da privati presso
quell’ufficio di polizia, alcune tenendole per sé, altre vendendole od altrimenti cedendole a terzi e, a tal fine, alterando la relativa documentazione o formandone altra falsa: il tutto, pur dopo esser stato collocato in quiescenza e, perciò, continuando ad esercitare le relative funzioni d’ufficio senza titolo legittimo.
2. Il ricorso consta di sei motivi, ovvero:
I) violazione di legge e vizi di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso la mancanza di motivazione, da parte di quella di primo grado, sulle imputazioni di cui ai capi 6) e 7), ovvero l’usurpazione di funzioni pubbliche ed i falsi ideologici: il primo giudice – si sostiene – si è limitato a semplice esposizione delle risultanze probatorie e la Corte d’appello ha erroneamente confuso quest’ultima con la valutazione delle stesse e la spiegazione delle relative ragioni, necessarie per l’esistenza di una motivazione effettiva; né quest’ultima poteva essere integrata dal giudice d’appello;
II) vizi cumulativi di motivazione in relazione alle restanti imputazioni, rispetto alle quali, comunque, non era possibile ricostruire l’iter logico seguito dal primo giudice;
III) violazione di legge con riferimento al delitto di peculato (capo 1 dell’imputazione), in quanto relativo ad armi pressoché prive di valore economico, dismesse da privati e di cui non sono stati accertati lo stato di conservazione e l’idoneità all’uso, con conseguente assenza di danno sia per lo Stato che per i privati cedenti e senza alcun apprezzabile profitto per l’imputato, avendole egli cedute, tranne che in due casi, a titolo gratuito;
IV-V) erronea qualificazione dei fatti di cui al capo 1) come peculato anziché come truffa, quanto meno per i fatti di cui ai punti h), i) e j) di tale capo, in quant commessi dopo il collocamento dell’imputato in quiescenza, senza che possa trovare applicazione il disposto dell’art. 360, cod. pen.;
VI) violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza della detenzione di armi, non essendo queste mai entrate nel patrimonio della pubblica amministrazione, e perciò mancando, da parte dell’imputato, quella piena e non semplicemente precaria disponibilità dell’arma che qualifica la “detenzione”, dovendo perciò escludersi anche il dolo.
Ha depositato memoria scritta il Procuratore generale, concludendo per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’impugnazione è palesemente inammissibile, per la genericità di tutte le doglianze.
Esse si risolvono, infatti, nella riproposizione dei corrispondenti motivi d’appello, non accompagnata da alcun rilievo critico puntuale sugli argomenti utilizzati dalla sentenza impugnata per disattenderli, ma soltanto da espressioni di dissenso.
È sufficiente, allora, rassegnare in sintesi le seguenti osservazioni, sostanzialmente ribadendo le considerazioni già svolte dai giudici d’appello.
2.1. I denunziati vizi di motivazione della sentenza di primo grado sono inesistenti. D’altronde, il ricorso non evidenza alcuna lacuna motivazionale specifica, e men che mai decisiva, che in ogni caso, se effettivamente tale, legittimamente avrebbe potuto essere colmata dal giudice d’appello mediante un’integrazione della motivazione (in questi termini, tra moltissime altre, Sez. 6, n. 58094 del 30/11/2017, Annorico, Rv. 271735).
2.2. L’assunto dell’irrilevanza economica delle armi oggetto di appropriazione è puramente assertivo, nonché logicamente smentito dalla cessione delle stesse compiuta dall’imputato, peraltro non solo a titolo gratuito.
Inoltre, il peculato è delitto plurioffensivo, incidendo anche sulla correttezza dell’attività della pubblica amministrazione, indiscutibilmente compromessa dall’illegale circolazione di oggetti pericolosi per la pubblica incolumità, quali sono le armi, che, in quanto tali, sono soggette ad un rigido regime legale di controllo, eluso da chi, come l’imputato, avrebbe dovuto garantirne l’osservanza.
2.3. Quegli, in ragione della sua qualità istituzionale, aveva la disponibilità materiale e giuridica delle armi conferite all’ufficio presso cui prestava servizio, e l’alterazione o la formazione di falsi verbali od il mendacio nella redazione della relativa documentazione erano funzionali soltanto ad apprestare una giustificazione formale della successiva circolazione di esse: il reato di truffa, invece, è configurabile nella diversa ipotesi in cui il pubblico agente, non avendo il possesso del bene di cui intende appropriarsi, se lo procuri fraudolentemente, facendo ricorso ad artifici o raggiri (così, tra le tante, Sez. 6, n. 19484 del 23/01/2018, COGNOME, Rv. 273782).
2.4. Ciò vale anche per le appropriazioni compiute dopo il collocamento in quiescenza, avendo l’imputato continuato a svolgere la sua attività presso l’ufficio di appartenenza, direttamente interagendo con l’utenza e, dunque, presentandosi a questa come l’esercente la relativa funzione: il possesso, o comunque la disponibilità, da parte sua, di quelle armi sono stati perciò determinati da ragioni di ufficio o di servizio, essendo di conseguenza irrilevante – a norma dell’art. 360, cod. pen. – che l’appropriazione sia avvenuta in un momento in cui la sua qualità
pubblica era cessata, trattandosi di condotta appropriativa funzionalmente connessa all’ufficio od al servizio precedentemente esercitati (per tutte, Sez. 6, n.
2230 del 11/12/2019, COGNOME, Rv. 278131).
2.5. L’imputato ha conseguito una disponibilità effettiva, e giammai soltanto momentanea o precaria, di tutte quelle armi, avendone disposto in autonomia,
realizzando la falsa documentazione necessaria per giustificarne formalmente la circolazione e spesso a ciò provvedendo anche dopo settimane o mesi dal
riversamento di quelle presso il suo ufficio: talché non è seriamente discutibile che egli le abbia detenute.
3. L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art.
616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della cassa delle ammende, non
ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta
somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2025.