LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Peculato amministratore di sostegno: il caso polizza

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per peculato amministratore di sostegno nei confronti di una nipote che aveva utilizzato i fondi dell’assistita per sottoscrivere una polizza vita a proprio beneficio. Secondo la Corte, il reato si perfeziona al momento della stipula della polizza, in quanto in quel momento si realizza la distrazione dei fondi dalla loro finalità, essendo irrilevante che l’incasso avvenga dopo la cessazione dall’incarico.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 14 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato Amministratore di Sostegno: Quando la Polizza Vita Diventa Reato

L’amministratore di sostegno svolge un ruolo cruciale, agendo per proteggere gli interessi delle persone più vulnerabili. Ma cosa succede quando questa fiducia viene tradita? Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un caso di peculato dell’amministratore di sostegno, chiarendo un punto fondamentale: il momento esatto in cui il reato si consuma. La vicenda riguarda la sottoscrizione di una polizza vita a proprio favore con i soldi dell’assistito, un’azione le cui conseguenze legali sono state definite con precisione dai giudici.

I Fatti del Caso

Una donna, nominata amministratrice di sostegno della zia, otteneva dal Giudice Tutelare l’autorizzazione a prelevare ingenti somme di denaro dai conti dell’assistita per effettuare degli investimenti. Invece di agire nell’esclusivo interesse della zia, l’amministratrice utilizzava circa 140.000 euro per stipulare una polizza vita, indicando sé stessa come unica beneficiaria in caso di morte dell’assicurata.

Alla morte della zia, l’erede universale designato tramite testamento scopriva che il patrimonio dell’anziana era stato drasticamente ridotto. Veniva così alla luce l’operazione finanziaria e l’amministratrice veniva accusata e condannata in primo e secondo grado per il reato di peculato.

La Difesa dell’Imputata

L’amministratrice ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo principalmente due argomenti:

1. Momento dell’appropriazione: La difesa sosteneva che l’appropriazione vera e propria era avvenuta solo al momento dell’incasso della polizza, quando lei non ricopriva più la carica di amministratrice di sostegno e quindi non era più un pubblico ufficiale.
2. Mancanza di possesso: Si affermava che l’imputata non avesse mai avuto la piena disponibilità del denaro in costanza di carica, poiché le operazioni erano soggette all’autorizzazione del giudice.

Inoltre, l’imputata ha cercato di giustificare le proprie azioni asserendo di aver agito in buona fede, credendo che suo padre fosse l’unico erede legittimo e di non essere a conoscenza dell’esistenza di un testamento a favore di un’altra persona.

Le Motivazioni della Cassazione sul Peculato Amministratore di Sostegno

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. Le motivazioni della Corte sono cruciali per comprendere la natura del peculato dell’amministratore di sostegno. I giudici hanno stabilito che la condotta illecita si è consumata in due fasi strettamente collegate.

La prima, e decisiva, è stata la stipula della polizza. In quel momento, l’amministratrice, agendo in virtù del suo munus pubblico, ha impresso ai risparmi dell’assistita una destinazione incompatibile con gli interessi di quest’ultima e funzionale esclusivamente al proprio arricchimento. Indicandosi come unica beneficiaria, ha acquisito un credito certo e liquido, sebbene esigibile solo in futuro. Questo atto ha rappresentato la vera e propria appropriazione, la distrazione del patrimonio dalla sua finalità istituzionale.

La seconda fase, l’incasso post-mortem, è stata considerata una mera conseguenza dell’atto illecito iniziale. La Corte ha sottolineato come, ai sensi dell’art. 360 del codice penale, sia irrilevante che l’appropriazione finale avvenga quando la qualifica di pubblico ufficiale è venuta meno, se il possesso del bene è stato ottenuto proprio in ragione di quella qualifica. La stipula della polizza e il successivo incasso erano funzionalmente connessi all’ufficio ricoperto.

I giudici hanno anche respinto l’argomento della buona fede, evidenziando come la richiesta di liquidazione della polizza fosse avvenuta tempestivamente dopo il decesso, ma prima che il testamento fosse reso pubblico, un comportamento che suggeriva la consapevolezza di non avere alcun diritto sull’eredità.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: per il reato di peculato dell’amministratore di sostegno, non è necessario attendere l’effettivo incasso del denaro. Il reato si perfeziona nel momento in cui il pubblico ufficiale compie un atto dispositivo con cui vincola il patrimonio altrui a un interesse personale, manifestando così la volontà di appropriarsene. La sottoscrizione di una polizza vita a proprio nome con i fondi dell’assistito è un atto che, di per sé, integra la fattispecie criminosa, rendendo irrilevante il momento successivo della riscossione.

Quando si considera consumato il reato di peculato se un amministratore di sostegno stipula una polizza vita a proprio favore con i soldi dell’assistito?
Secondo la Corte di Cassazione, il reato si consuma già al momento della stipula della polizza. In quell’istante, l’amministratore imprime al denaro una destinazione incompatibile con gli interessi dell’assistito, realizzando così l’appropriazione, anche se il beneficio economico si concretizzerà solo in futuro.

È rilevante che l’incasso della polizza avvenga dopo la fine dell’incarico di amministratore di sostegno?
No, non è rilevante. La legge (art. 360 c.p.) stabilisce che se il possesso del denaro è stato ottenuto in ragione della carica pubblica, l’appropriazione successiva costituisce reato anche se la qualifica è venuta meno. L’incasso è considerato una conseguenza diretta dell’atto illecito compiuto durante l’esercizio delle funzioni.

L’amministratore di sostegno può difendersi sostenendo di aver agito in buona fede, credendo di essere un erede?
Nel caso specifico, la Corte ha respinto questa difesa. La buona fede è stata esclusa sulla base di elementi fattuali, come la tempistica della richiesta di liquidazione della polizza, avvenuta subito dopo il decesso e prima della pubblicazione del testamento, indicando la consapevolezza dell’imputata di non avere diritti sull’eredità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati