Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25207 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25207 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Barcellona Pozzo di Gotto il 15/10/1972
avverso l’ordinanza del 03/02/2025 del Tribunale del riesame di Messina
letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata; udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; udite le richieste dei difensori, Avv. COGNOME e NOME COGNOME che hanno concluso per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
I difensori di NOME COGNOME hanno proposto distinti ricorsi avverso l’ordinanza in epigrafe con la quale il Tribunale del riesame di Messina ha confermato l’ordinanza custodiale emessa dal GIP del medesimo Tribunale il 19 dicembre 2024, eseguita il 14 gennaio 2015 nei confronti dell’indagata in relazione al delitto di peculato aggravato dall’agevolazione mafiosa, in particolare, per avere coadiuvato la cognata NOME nella gestione del sistema di vendite non contabilizzate di prodotti della ditta RAGIONE_SOCIALE
madre di NOME NOME e NOME NOME-, incassando, per conto del marito NOME NOME, una parte dei ricavi in nero in tal modo conseguiti.
Il ricorso dell’Avv. COGNOME articola cinque motivi.
2.1. Con il primo denuncia la violazione degli artt. 292, comma 3, 273, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen. per essersi il GIP, prima, e il Tribunale, poi, limitati a ricostruire la vicenda relativa al procedimento di prevenzione che ha riguardato la ditta RAGIONE_SOCIALE, senza tener conto dell’annullamento dell’incidente di esecuzione disposto dalla Corte di cassazione, che imponeva una rigorosa valutazione, omessa nel caso in esame, per la posizione delle terze interessate alla luce dell’esclusione del ruolo apicale di NOMECOGNOME
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizi della motivazione in punto di gravità indiziaria, non essendo idonei gli elementi valorizzati dal Tribunale, atteso che le dichiarazioni del collaboratore COGNOME NOME, secondo il quale le mogli dei fratelli NOME avrebbero continuato a gestire la ditta, nonostante la presenza dell’amministratore giudiziario, sono prive di rilievo se si considera che la presenza dell’indagata presso la ditta era giustificata dalla posizione di dipendente, regolarmente assunta con contratto di lavoro, che giustifica la remunerazione percepita anche durante l’assenza per un lunghissimo periodo dal luogo di lavoro. Anche i colloqui intercettati non incidono sulla posizione della ricorrente, risultando dagli stessi il ruolo decisivo della COGNOME ne gestione della ditta, in quanto espressione della proprietà e alter ego del marito NOME, mentre in due sole occasioni la ricorrente avrebbe riscosso somme per conto del marito, peraltro, risultato presente in azienda e percettore quotidiano di somme di denaro, destinate ai bisogni familiari anche secondo il collaboratore. Non vi sono rapporti tra la COGNOME e NOME NOME diversi dall’affinità; il ruolo centrale è svolto dalla COGNOME e non vi sono elementi c provino il concorso della ricorrente con la cognata per agevolare il cognato, sicché non vi sono idonei elementi a sostegno dell’accusa e dell’aggravante contestata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.3. Con il terzo motivo si denuncia l’erronea qualificazione giuridica del fatto, non essendo configurabile il peculato, ma l’appropriazione indebita, in quanto la ricorrente, dipendente della ditta, aveva la disponibilità diretta d danaro; né il Tribunale ha verificato il concorso tra la condotta omissiva dell’amministratore giudiziario e la condotta dell’indagata, che incamerava somme destinate alla azienda, né risulta che ella avesse sfruttato la relazione di possesso del denaro per ragioni di ufficio del pubblico agente.
2.4. Con il quarto motivo si denuncia l’erronea valutazione e la manifesta illogicità della motivazione in ordine all’aggravante dell’agevolazione mafiosa fondata sul ruolo di NOME Salvatore nel sodalizio mafioso, sui colloqui tra questi
la moglie e i figli e sulla circostanza che presso la ditta si recassero parenti sodali detenuti ovvero su elementi che non riguardano specificamente la posizione della ricorrente.
La motivazione è illogica ed in contrasto sia con le dichiarazioni del collaboratore COGNOME sulla destinazione dei proventi sottratti alle esigenze dei familiari dell’Ofria sia con la posizione di affiliato di COGNOME NOME e non fratello NOME, marito della ricorrente; peraltro, è assertivamente affermato che l’azienda confiscata fosse una diretta articolazione del sodalizio e perciò operante in regime di monopolio.
2.5. Con l’ultimo motivo si censura la motivazione in punto di esigenze cautelari per mancanza di attualità e concretezza delle stesse, tenuto conto della incensuratezza della ricorrente, del protratto stato di detenzione del cognato, della sporadica presenza presso la ditta e della distanza temporale dai fatti.
L’Avv. COGNOME ha formulato quattro motivi di ricorso.
3.1. Con il primo denuncia la violazione degli artt. 358 e 292, comma 2 ter, cod. proc. pen. per omessa declaratoria di nullità dell’ordinanza emessa dal GIP per mancata valutazione di fatti e circostanze favorevoli all’indagata, neppure prospettati dal P.m. nonché per plurimi vizi della motivazione.
Il Tribunale non ha valutato le circostanze addotte dalla difesa, ritenute mere tesi alternative; in particolare, non si è tenuto conto degli elementi posti base del ricorso proposto il 19 luglio 2024 dalla Bellinvia, in proprio e qual titolare dell’omonima ditta individuale confiscata, avverso il decreto d approvazione del rendiconto non comunicatole e ogni altro provvedimento del Giudice delegato, trattandosi di elementi di prova posti a fondamento dell’istanza di restituzione dell’azienda, acquisiti agli atti del procedimento, ma ignorati da P.m.; peraltro, l’istanza di restituzione dell’azienda confiscata era giustific dalla pendenza dell’incidente di esecuzione avverso il rigetto della richiesta, provvedimento poi annullato dalla Corte di cassazione, che aveva censurato il giudice dell’esecuzione, non avvedutosi dell’avvenuta esclusione del ruolo apicale dell’Ofria sin dal gennaio 2016.
Censura, pertanto, la mancata valutazione di dati oggettivi quali la non definitività delle confische, l’esclusione del ruolo apicale dell’Ofria con sentenz della Prima Sezione della Corte di cassazione del 14 gennaio 2016, la legittimità dell’attività aziendale per assenza di coinvolgimento mafioso, risultante dalla documentazione allegata al ricorso di cui si è detto, esaminata dalla Suprema Corte, ma non dal P.m. né dal GIP.
3.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge e plurimi vizi della motivazione in punto di qualificazione giuridica e di gravità indiziaria p essere stato configurato il delitto di peculato a carico di persona estranea alla
pubblica amministrazione e ricomprendendovi condotte distrattive non più contemplate dalla norma incriminatrice. In particolare, il Tribunale ha ritenuto configurabile il peculato in forza del comportamento omissivo dell’amministratore giudiziario, che non solo non esercitava i doveri di controllo, ma aderiva alle scelte imprenditoriali degli Ofria, persino agevolandone i propositi criminali, in violazione della posizione di garanzia rivestita, ed essendo configurabile il peculato sia per condotte appropriative che distrattive.
L’impostazione è censurabile, essendo pur sempre necessario che l’extraneus sfrutti la relazione di possesso per ragioni di ufficio del pubblico agente con il bene e che, anche in caso di concorso omissivo, la condotta appropriativa sia riconducibile in modo diretto all’intraneo, mentre nel caso in esame l’appropriazione è stata materialmente commessa dall’estraneo, in modo autonomo ed esclusivamente nel proprio interesse, senza coinvolgimento dell’intraneo, ma solo giovandosi dell’omesso controllo. Risulta, infatti, che l’amministratore giudiziario non aveva il possesso diretto delle somme, delle quali i dipendenti si appropriavano prima che entrassero nelle casse dell’azienda, né vi è prova della consapevolezza delle condotte illecite poste in essere dai dipendenti, non potendo la stessa desumersi dall’atteggiamento ossequioso dell’amministratore giudiziario verso gli Ofria. Il concorso attivo dell’amministratore giudiziario non può ricavarsi dalle condotte dirette a rassicurare gli Ofria o dalle richieste al GD di assunzione dei familiari o dalla partecipazione agli incontri con gli Ofria e i loro legali, trattandosi di condott neutre; né possono farsi rientrare nel peculato le condotte distrattive eliminate dalla fattispecie sin dalla riforma del ’90 per confluire nel reato di abuso d’ufficio ormai abrogato, e al più riconducibili nella nuova ipotesi di cui all’art. 314-bis cod. pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.3. Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge e vizi della motivazione in relazione all’aggravante di agevolazione dell’associazione mafiosa, del tutto insussistente per avere la ricorrente agito esclusivamente nell’interesse del proprio nucleo familiare. Sono irrilevanti i riferimenti a comportamenti mafiosi indicati nell’ordinanza, quali: la vicenda dell’acquisito di un terreno e il licenziamento del dipendente COGNOME; la destinazione di somme di denaro alle famiglie di esponenti mafiosi, invece, diretta al sostentamento di familiari degli Ofria e non dell’associazione; l’atteggiamento reverenziale nei confronti della moglie dell’ex capo mafia NOME COGNOME e l’offerta di riparazione del’autovettura, trattandosi di condotte a beneficio della stessa e non del sodalizio. Manca, inoltre, la prova della consapevolezza della ricorrente di tali elargizioni o della natura mafiosa della ditta, della quale era mera dipendente, ignara della definitività della confisca.
3.4. Con l’ultimo motivo si censura la motivazione in punto di esigenze cautelari, segnalando l’incensuratezza della ricorrente, il sequestro della ditta e l’irrilevanza dei due incontri del giugno e del settembre 2024 con l’amministratore giudiziario, i propri familiari e il loro legale, di cui si ignor contenuto, ma letti come occasioni finalizzate ad aggirare il passaggio dell’azienda all’Agenzia dei beni confiscati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso, sostanzialmente sovrapponibili e suscettibili di trattazione unitaria, sono inammissibili perché proposti per motivi non consentiti nonché reiterativi di censure vagliate e disattese con corrette argomentazioni nell’ordinanza impugnata, ampiamente e logicamente motivata.
E’ noto che in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Il primo motivo con il quale si lamenta il mancato approfondimento investigativo da parte del P.m. dei temi indicati e documentati dalla difesa è meramente oppositivo, in quanto trascura la completa e corretta risposta resa dal Tribunale che, in linea con l’orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 34615 del 23/06/2010, T., Rv. 248374), ha evidenziato che il mancato svolgimento da parte del P.m. di attività d’indagine a favore dell’indagato non ha rilievo processuale e non determina alcuna nullità, potendo all’inattività sopperire le indagini difensive, peraltro, nella specie effettuate. Il Tribunale ha anche aggiunto che il P.m. non è vincolato alle indicazioni della difesa, ribadendo, in conformità ai principi affermati sul punto (Sez. 3, n. 47593 del 15/10/2024, COGNOME, Rv. 287275), che gli elementi a favore dell’imputato sono solo quelli di natura oggettiva e concludente ai fini decisori, non le mere posizioni difensive negatorie né le prospettazioni di tesi alternative o le diverse interpretazioni degli elementi indiziari, che restano assorbite nel complessivo apprezzamento operato dal giudice della cautela. In particolare, il Tribunale ha evidenziato che le indagini difensive propongono una rivalutazione degli elementi indiziari a carico
di NOME COGNOME la cui posizione apicale nell’associazione mafiosa dei barcellonesi è stata esclusa dalla sentenza definitiva di condanna che ne ha limitato il ruolo a quello di partecipe, ma non elementi oggettivi, incidenti sulla posizione della ricorrente.
2.1. Il Tribunale ha anche chiarito che la prospettazione difensiva muove da una premessa errata ovvero dalla tesi che le confische della impresa Bellinvia non siano definitive perché pende ancora incidente di esecuzione azionato dai terzi interessati avverso la confisca penale.
Oltre a precisare che l’incidente di esecuzione presuppone la definitività della confisca, l’accertamento della natura mafiosa dell’impresa Bellinvia e la sua riconducibilità ad NOME COGNOME, il Tribunale ha rimarcato che la difesa trascura la confisca di prevenzione, divenuta definitiva sin dal 6 luglio 2017, e confermata da questa Corte con sentenza del 25 giugno 2021 di rigetto delle istanze di revoca della confisca, proposte da NOME Salvatore e dalle terze interessate, che ha espressamente negato carattere di novità alle prove fornite con investigazioni difensive ed escluso la rilevanza del riconosciuto ruolo di partecipe e non di capo di NOME Salvatore (pag. 5-6 ordinanza), sicché risulta evidente la pedissequa riedizione di argomentazioni già respinte e ormai precluse.
Anche in punto di gravità indiziaria l’ordinanza si sottrae a censure.
La gravità indiziaria a carico dell’indagata è stata desunta da elementi oggettivi (intercettazioni e videoriprese) e dichiarativi (dichiarazioni del collaboratore COGNOME NOME, contiguo al clan barcellonese, vicino ad NOME NOME e dipendente della ditta dal 2011 al 2013, quindi, testimone diretto del sistema illecito di gestione aziendale e della sottrazione di parte dei ricavi), convergenti nel dimostrare che l’impresa Bellinvia, formalmente intestata alla madre di NOME NOME – già condannato per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. per partecipazione all’associazione dei barcellonesi dall’87 sino al 95 e destinatario di misura cautelare per lo stesso titolo di reato nel giugno 2011 -, benché sottoposta a sequestro e ad amministrazione giudiziaria sin dal giugno 2011 nonché a confisca penale nel 2016, era sempre rimasta sotto il diretto controllo dell’Ofria, che lo esercitava, anche in costanza di detenzione, tramite la moglie e i propri congiunti nonché tramite dipendenti fidati, sempre con metodo mafioso, come dimostrato dalle vicende illustrate a pag. 9 dell’ordinanza, di cui la difesa offre una inammissibile lettura alternativa e riduttiva in contrasto con la chiarezza dei colloqui intercettati.
Con motivazione logica il Tribunale ha ritenuto emblematica la vicenda del dipendente COGNOME, sospettato di aver rubato pezzi di ricambio, costretto a dimettersi, ma punito in modo esemplare dall’Ofria, che riteneva necessario fargli terra bruciata presso qualsiasi altra impresa in modo da impedirgli qualsiasi
altra possibilità di lavoro, ma ha ritenuto ancor più significativa la vicenda dell’acquisto di un terreno adiacente all’area ove è situata l’impresa, bloccato dall’Ofria, nonostante l’amministratore giudiziario avesse già richiesto e ottenuto nel marzo 2024 l’autorizzazione dal Giudice delegato, perché l’Ofria intendeva gestire l’acquisto a modo suo e costringere, con azioni ritorsive, delegate alla moglie e al fratello, il confinante a svendere (pag. 15 ordinanza). Il rilievo attribuito a questa vicenda è giustificato dalla estrema significatività della vicenda, dimostrativa dell’effettivo controllo ancora attuale esercitato dall’Ofria sull’impresa ed al contempo l’assoluta inerzia e subordinazione dell’amministratore giudiziario alle sue volontà.
3.1. Centralità nella ricostruzione del quadro indiziario è stata assegnata alle dichiarazioni del collaboratore, fonte qualificata, circa il ruolo della moglie e della ricorrente, cognata di NOME COGNOME nella gestione dell’azienda presso la quale entrambe lavoravano, nonostante l’impresa fosse confiscata, nonché circa il sistema di contabilità parallela, occulta e fraudolenta, creato per sottrarre risorse destinate all’amministrazione giudiziaria, in particolare, mediante vendite in nero o sottofatturazione destinate alle esigenze familiari. Dichiarazioni che hanno trovato piena conferma in quelle del dipendente COGNOME e nelle videoriprese, disposte a partire dal dicembre 2023, che dimostravano il perdurante sistema predatorio ideato e l’attiva partecipazione al sistema anche dell’indagata, assente per lunghi periodi dall’azienda, ma sempre presente in occasione delle riscossioni ,periodiche (v., pag. da 20-22; 31-32 ordinanza). Sistema anomalo di gestione reso possibile non solo dalla inerzia e indolenza dell’amministratore giudiziario COGNOME ma dalla sua consapevole complicità, documentata dalle videoriprese e confermata dai colloqui intercettati.
3.2. L’ordinanza valorizza i rapporti amicali instaurati anche dall’indagata con il COGNOME, ma, soprattutto, rimarca la disponibilità dell’amministratore giudiziario ad assecondare le richieste dei familiari dell’Ofria, lasciando loro la gestione, consentendone la presenza in azienda, l’accesso alla contabilità e agli uffici amministrativi nonché la disponibilità ad utilizzare cautele comunicative del tutto anomale, come lo scambio di pizzini con la moglie dell’Ofria o il prudente abbandono del cellulare prima di entrare in azienda e incontrare i familiari dell’Ofria o ad informarli della richiesta di rendiconto formulata a maggio 2024 dal Giudice delegato, con contestuale rassicurazione, diretta anche all’indagata presente, che avrebbero continuato a lavorare in azienda ed egli avrebbe fatto in modo da continuare a seguirli.
Tali elementi risultano svalutati nei ricorsi, che ne minimizzano la significatività e tentano di accreditare come legittima la posizione dei familiari dell’Ofria e la presenza- della ricorrente all’interno dell’azienda confiscata, trascurandone l’incompatibilità con la finalità propria della misura ablatoria che è
quella di sottrarre la gestione dell’impresa mafiosa all’imputato o al proposto, affidandola ad un organo pubblico, che la esercita sotto il controllo giudiziario dapprima per conto di chi spetta e dopo la confisca per conto dello Stato: finalità lungamente e inammissibilmente frustrata nel caso di specie.
GLYPH La GLYPH posizione GLYPH di GLYPH assoluta GLYPH autonomia GLYPH gestionale GLYPH assicurata dall’amministratore giudiziario alla moglie dell’COGNOME, descritta nell’ordinanza (pag. da pag. 16 a 19), la costante attività di prelievo e distribuzione delle risorse sottratte alla contabilità ufficiale tra i familiari e gli amici espon mafiosi, e la consapevolezza del Virgillito di tale costante drenaggio di risorse dello Stato, risultante dai colloqui riportati nell’ordinanza (pag. 23 e 24), hanno fondato la valutazione del Tribunale sulla corretta qualificazione delle condotte come peculato.
Muovendo dall’omesso esercizio dei doveri di vigilanza che l’amministratore giudiziario avrebbe dovuto esercitare, anche avvalendosi di coadiutori e consulenti di fiducia, ma che, invece, aveva consentito per tredici anni il mantenimento dell’impresa nelle mani dei familiari del proposto e l’illecita sottrazione di risorse destinate allo Stato, dirottate al mantenimento dei detenuti e delle loro famiglie, come era noto persino alla moglie del COGNOME (pag.24), il Tribunale ha ravvisato il concorso omissivo dell’intraneus nella condotta illecita dei familiari dell’Ofria, tra cui vi è la ricorrente.
4.1. Sebbene in sede di riesame la difesa aveva ritenuto qualificabili le condotte come truffa ai danni dello Stato, mentre nel ricorso prospetta il diverso reato di appropriazione indebita, la risposta del Tribunale è corretta e giustificata dalla considerazione che la sottrazione di risorse allo Stato si è realizzata grazie al contributo omissivo del Virgillito, senza il quale l’appropriazione illecita no sarebbe stata possibile, ritenendo dimostrato il nesso causale tra l’omissione del controllo e l’appropriazione del denaro, riconducibile alla pubblica funzione assegnata all’amministratore giudiziario, che aveva il dovere di impedire il saccheggio quotidiano di risorse pubbliche.
Le censure difensive sul punto sono del tutto infondate, non rilevando la circostanza che l’appropriazione avvenisse a monte – secondo la prospettazione difensiva – o al momento della redazione della contabilità ufficiale, quanto la natura pubblica dell’attività svolta dall’intraneo e la titolarità dei frutti gestione per la decisiva la circostanza che i ricavi delle vendite non spettavano affatto ai familiari dell’Ofria, bensì allo Stato, e che i familiari dell’Ofria gestivano in proprio l’azienda, come se ne fossero i proprietari, dal momento che, come già detto, il sequestro e la confisca sottraggono, prima temporaneamente, poi definitivamente, il bene al proprietario, privandolo del
possesso e della disponibilità dei beni, il cui unico responsabile della gestione e ed unico soggetto titolato ad incamerare gli introiti è l’amministratore giudiziario.
4.2. Il ragionamento difensivo è, quindi, viziato da una non corretta impostazione del tema; peraltro, a differenza di quanto sostenuto nel ricorso, costituisce principio di diritto ormai acquisito che, nel delitto di peculato, concetto di “appropriazione” comprende anche la condotta di “distrazione”, in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (Sez. 6, n. 36496 del 30/09/2020, Vasta, Rv. 280295).
4.3. Infondata è anche la prospettata riqualificazione nell’ipotesi più lieve di cui al nuovo 314-bis cod. pen., in quanto la norma sanziona le condotte distrattive che non comportano una perdita definitiva dei beni per la pubblica amministrazione, a differenza di quanto avvenuto nel caso di specie; sanziona le condotte distrattive del denaro o di cose mobili che, nella disciplina previgente, la giurisprudenza di legittimità inquadrava nella fattispecie abrogata dell’abuso di ufficio, trattandosi di distrazioni compatibili con i fini istituzionali dell’ente, i che qui non ricorre, sicché non risulta modificato l’ambito applicativo del delitto di peculato dall’introduzione della nuova fattispecie di reato (Sez. 6, n. 4520 del 23/10/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287453-02; Sez.5, n. 10398 del 14/02/2025, PG c/Duca, Rv. 287780-03).
Anche le censure relative alla configurabilità dell’aggravante agevolativa risultano generiche e meramente oppositive a fronte della motivazione resa, che ha attribuito rilievo: a) alla riconosciuta e perdurante appartenenza dell’Ofria alla famiglia mafiosa dei barcellonesi, quale articolazione di Cosa Nostra; b) alla pacifica natura mafiosa dell’impresa, avvalsasi di tale stemma per imporsi sul mercato e gestita con metodo mafioso, come riconosciuto dalla sentenza di questa Corte del luglio 2017, che rendeva definitiva la confisca di prevenzione (pag. 5); c) alla circostanza che i redditi di impresa sottratti allo Stato era destinati ad offrire sostegno non solo ai nuclei familiari dell’Ofria e del frate NOME, ma anche ad altri mafiosi, come ammesso dallo stesso COGNOME e dalla moglie e documentato dalle videoriprese (pag. da 31 a 35).
Analogamente inammissibili per genericità sono le censure in punto di esigenze cautelari per mancato confronto con la congrua motivazione resa.
Oltre a richiamare la presunzione connessa all’aggravante, il Tribunale ha attribuito rilievo alla gravità delle condotte e alla spregiudicatezza dimostrata dalla ricorrente, partecipe sino al giugno 2024 ai prelevamenti sistematici di denaro e sino al 2024 ad incontri con l’amministratore giudiziario per aggiornarsi sui rimedi possibili e sulle iniziative esperibili per evitare il passaggio dell’impr
all’Agenzia Nazionale dei Beni Confiscati e conservare inalterato lo status quo,
in tal modo dimostrando pervicace determinazione e intento di perseverare e
reiterare le condotte illecite: pericolo, questo, ritenuto con ragionamento non manifestamente illogico, non arginabile con misure meno afflittive, nonostante la
chiusura dell’impresa e lo stato detentivo del marito e del cognato, alla luce di quanto verificatosi anche in costanza di detenzione di NOMECOGNOME
7. All’inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 cod. proc. pen. la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento
di una somma in favore della Cassa delle ammende, equitativamente determinata in tremila euro.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso, 3 giugno 2025