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Patto in appello: quando il ricorso è inammissibile

La Cassazione dichiara inammissibile un ricorso in cui la difesa, dopo aver richiesto un patto in appello rinunciando ai motivi di merito, ha sollevato questioni incompatibili con tale rinuncia, come la valutazione del vizio totale di mente. La richiesta di applicazione pena prevale, rendendo le altre domande improcedibili.

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Pubblicato il 17 agosto 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patto in appello: la Cassazione chiarisce l’incompatibilità con altri motivi di ricorso

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12458 del 2019, ha ribadito un principio fondamentale in materia di impugnazioni penali: la richiesta di patto in appello ai sensi dell’art. 599 bis c.p.p. è incompatibile con la proposizione di altri motivi di ricorso che mettano in discussione il merito della sentenza di primo grado. Questa pronuncia offre un’importante lezione sulla coerenza strategica che la difesa deve mantenere durante il processo d’appello.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un imputato condannato in primo grado per tentato omicidio plurimo e porto abusivo di coltello. Il giudice di primo grado aveva riconosciuto un vizio parziale di mente, applicando la relativa diminuente di pena.

In sede di appello, la difesa aveva cambiato strategia: munita di procura speciale, aveva rinunciato ai motivi di merito e avanzato richiesta di applicazione concordata della pena (il cosiddetto patto in appello). L’obiettivo era ottenere il riconoscimento della continuazione tra i reati, che era stata negata in primo grado, e rideterminare così la sanzione. La Corte d’Appello aveva accolto la richiesta, riformando la pena in anni tre e mesi quattro di reclusione.

Tuttavia, la difesa presentava ricorso per Cassazione lamentando che la Corte d’Appello avesse omesso di valutare le prove che, a suo dire, dimostravano un vizio totale di mente, nonché la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria probatoria.

La questione del patto in appello e dei motivi incompatibili

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando una contraddizione insanabile nella linea difensiva. La richiesta di patto in appello secondo l’art. 599 bis c.p.p. presuppone necessariamente una rinuncia a tutti gli altri motivi di gravame, ad eccezione di quelli relativi alla rideterminazione della pena.

Chiedere, da un lato, un accordo sulla pena e, dall’altro, contestare la valutazione sulla capacità di intendere e di volere (che attiene alla colpevolezza e all’imputabilità stessa) costituisce la proposizione di richieste logicamente e giuridicamente incompatibili. La richiesta di accertare un vizio totale di mente, che avrebbe portato a un’assoluzione, non può coesistere con una richiesta che, di fatto, accetta l’affermazione di responsabilità per negoziare una pena più mite.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte ha spiegato che, sebbene il motivo relativo al vizio di mente non fosse stato oggetto di una rinuncia esplicita, la contestuale richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 599 bis c.p.p. lo ha fatto decadere implicitamente. La scelta di percorrere la strada del patto in appello prevale e assorbe ogni altra doglianza di merito.

Trattandosi di istanze chiaramente incompatibili, la volontà di negoziare la pena manifestata dalla difesa ha reso irrilevante la discussione sulla capacità di intendere e volere e, di conseguenza, anche la richiesta di rinnovare l’istruttoria. La Corte ha quindi concluso per l’inammissibilità del ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisando profili di colpa scusabile nella proposizione di un ricorso palesemente infondato.

Le conclusioni

Questa sentenza è un monito per gli operatori del diritto: le strategie processuali devono essere coerenti. L’istituto del patto in appello è uno strumento efficace per deflazionare il contenzioso e ottenere una pena certa e più favorevole, ma il suo utilizzo implica una scelta precisa: l’abbandono di ogni contestazione sul merito della condanna. Non è possibile tenere ‘il piede in due scarpe’, tentando di beneficiare dell’accordo sulla pena e, al contempo, coltivando motivi che mirano a una pronuncia di proscioglimento. La scelta per l’uno esclude l’altro, e la proposizione di richieste contraddittorie conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità.

È possibile chiedere il patto in appello e contemporaneamente contestare la propria capacità di intendere e di volere?
No. Secondo la Corte, la richiesta di applicazione della pena in appello (art. 599 bis c.p.p.) è incompatibile con motivi di ricorso che attengono al merito della colpevolezza, come la valutazione del vizio di mente, in quanto la prima presuppone l’accettazione della condanna.

Cosa succede se si presentano motivi di ricorso tra loro incompatibili?
La richiesta di patto in appello, essendo una scelta processuale che implica la rinuncia ad altre doglianze, prevale e fa decadere le richieste incompatibili, anche se queste non sono state oggetto di una rinuncia esplicita. Questo porta all’inammissibilità dei motivi di ricorso contraddittori.

Quali sono le conseguenze della declaratoria di inammissibilità del ricorso in Cassazione?
Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la declaratoria di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, qualora il ricorso sia ritenuto palesemente infondato e non vi siano profili di colpa scusabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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