LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Patto in appello: i limiti al ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di tre imputati. La sentenza stabilisce principi chiave sul patto in appello (art. 599-bis c.p.p.), chiarendo che tale accordo limita fortemente la possibilità di un successivo ricorso, in quanto implica la rinuncia ai motivi di appello. Per uno dei ricorrenti, il cui caso è stato esaminato nel merito, la Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, confermando la logicità della sentenza impugnata sia sulla valutazione delle prove che sull’applicazione di una misura di sicurezza.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patto in appello e Ricorso in Cassazione: i Limiti Imposti dalla Legge

Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti sui limiti del ricorso per Cassazione a seguito di un patto in appello. La decisione analizza tre casi distinti, due dei quali definiti con un concordato sulla pena in secondo grado, evidenziando le conseguenze procedurali di tale scelta. Questa pronuncia è fondamentale per comprendere come le decisioni strategiche prese in appello possano precludere quasi del tutto la via verso l’ultimo grado di giudizio.

I Fatti del Caso: Tre Ricorsi, Destini Diversi

La vicenda nasce da una sentenza della Corte di Appello che, in parziale riforma di una decisione di primo grado, aveva ridotto la pena a due imputati per reati di associazione per delinquere, riciclaggio e altro. Per un terzo imputato, invece, l’appello era stato integralmente rigettato, confermando la condanna per il delitto associativo. Tutti e tre gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione, ma con esiti molto diversi.

I primi due ricorrenti, che avevano beneficiato della riduzione di pena, lo avevano fatto sulla base di un accordo con la Procura Generale, ovvero un patto in appello ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. Il terzo ricorrente, invece, contestava nel merito la decisione della Corte territoriale.

Le Conseguenze del Patto in Appello: Inammissibilità dei Ricorsi

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi dei due imputati che avevano concordato la pena in appello. La motivazione si fonda su un principio cardine del diritto processuale: l’effetto devolutivo dell’impugnazione e la rinuncia implicita ai motivi d’appello.

Secondo la Suprema Corte, quando le parti raggiungono un accordo sulla pena, l’imputato rinuncia ai motivi di appello che non sono oggetto dell’accordo stesso. Di conseguenza, la cognizione del giudice è limitata alla congruità della pena concordata e ad eventuali profili di palese illegalità. Non è più possibile, in sede di Cassazione, sollevare questioni relative alla sussistenza di cause di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.) o alla commisurazione della pena, poiché si tratta di punti a cui si è rinunciato con il patto.

L’Analisi del Ricorso Rigettato nel Merito

Per il terzo imputato, il cui appello era stato rigettato nel merito, la Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato. Le censure mosse dalla difesa riguardavano tre aspetti principali:

1. Immutazione del fatto: La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse modificato l’accusa, violando il diritto di difesa. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che si ha un’illegittima ‘immutazione’ solo in caso di trasformazione radicale del fatto storico, non quando si specifica o si delinea diversamente il ruolo dell’imputato all’interno dello stesso schema accusatorio.
2. Valutazione della prova: Il ricorrente contestava l’analisi delle prove (intercettazioni e documenti). La Corte ha ritenuto la motivazione della sentenza d’appello logica, coerente e priva di vizi, sottolineando che il ricorso si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in secondo grado.
3. Applicazione della misura di sicurezza: Infine, veniva contestata l’applicazione della libertà vigilata. Anche su questo punto, la Corte ha confermato la decisione, ritenendo che la valutazione della pericolosità sociale dell’imputato fosse ben motivata, basandosi sul suo ruolo significativo nell’associazione e sull’uso di strutture societarie per fini illeciti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La sentenza si sofferma in modo approfondito sulla natura del patto in appello. I giudici ribadiscono che tale istituto processuale comporta una rinuncia ai motivi di gravame. Pertanto, il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p. La cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia.

Allo stesso modo, la Corte chiarisce che il giudice non può applicare d’ufficio pene sostitutive se non vi è una specifica richiesta delle parti nell’ambito dell’accordo. Il principio devolutivo dell’appello limita il potere del giudice alle questioni sollevate dalle parti, e il patto definisce i contorni di tali questioni.

Per quanto riguarda il terzo ricorrente, la Corte ha valorizzato la coerenza logica dell’apparato motivazionale della sentenza impugnata, ribadendo che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una nuova valutazione del merito delle prove. Viene inoltre sottolineata la distinzione tra il pericolo cautelare (che giustifica le misure cautelari) e la pericolosità sociale (che fonda le misure di sicurezza), spiegando come la revoca di una misura cautelare non implichi automaticamente l’assenza di pericolosità sociale.

Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

La pronuncia in esame offre una lezione chiara sulle conseguenze strategiche del patto in appello. Scegliere di concordare la pena in secondo grado è una decisione che preclude quasi ogni possibilità di un successivo ricorso per Cassazione, se non per vizi di manifesta illegalità. Gli imputati e i loro difensori devono essere consapevoli che tale scelta implica una rinuncia a contestare nel merito la propria responsabilità e la congruità della pena.

Inoltre, la sentenza riafferma i consolidati principi sulla valutazione della prova e sulla distinzione tra i diversi istituti processuali, confermando che il ricorso in Cassazione non è una terza istanza di giudizio, ma un controllo sulla corretta applicazione della legge e sulla logicità della motivazione.

Dopo un patto in appello è sempre possibile fare ricorso in Cassazione?
No. La Corte chiarisce che stipulare un patto in appello (art. 599-bis c.p.p.) implica una rinuncia ai motivi di appello non oggetto dell’accordo. Di conseguenza, la possibilità di ricorrere in Cassazione è fortemente limitata a specifici profili di illegalità e non consente di ridiscutere il merito della responsabilità o la pena concordata.

Se si fa un patto in appello, il giudice deve comunque valutare se ci sono i presupposti per l’assoluzione?
No. Secondo la sentenza, una volta che l’imputato rinuncia ai motivi di appello per raggiungere un accordo sulla pena, l’ambito di valutazione del giudice è limitato ai punti non oggetto di rinuncia. Il giudice non è tenuto a cercare attivamente e a motivare sulla mancata sussistenza di cause di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.), poiché queste rientrano tra i motivi rinunciati.

Cosa si intende per ‘immutazione del fatto’ che rende nulla una sentenza?
La sentenza spiega che una ‘immutazione del fatto’, idonea a determinare la nullità (ex art. 522 c.p.p.), si verifica solo in caso di una trasformazione radicale degli elementi essenziali della vicenda storica contestata. Deve trattarsi di uno stravolgimento dell’accusa che crei un’incompatibilità con l’imputazione originaria e un concreto pregiudizio al diritto di difesa, non una semplice precisazione del ruolo dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati