Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 760 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 760 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 21/11/2024
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME n. ad Aversa il 13/6/1968
NOME NOME n. a Pagani il 28/11/1961
COGNOME NOME n. a Napoli il 26/7/1987
avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli in data 16/1/2024
visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi;
udita la relazione del Cons. NOME COGNOME
udita la requisitoria del Pubblico Ministero in persona del Sost. Proc.Gen. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi proposti da COGNOME NOME e COGNOME NOME e per il rigetto del ricorso COGNOME;
udito il difensore di COGNOME, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con l’impugnata sentenza la Corte di Appello di Napoli, in riforma della decisione del Tribunale di Napoli Nord in data 5/12/2022 e in accoglimento del concordato sulla pena proposto:
UL
riduceva la pena inflitta a COGNOME Giuseppe per i delitti di associazione per delinquere e riciclaggio, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, nella misura di anni sette,mesi undici di reclusione ed euro 14mila di multa;
-riduceva la pena inflitta a COGNOME NOME per il delitto sub 26), previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nella misura di anni tre,mesi sei di reclusione ed 4mila di multa.
La Corte d’Appello rigettava, inoltre, integralmente l’impugnazione proposta nell’interesse di NOME NOME, condannato per il delitto associativo contestato al capo 1) alla pena di anni due,mesi otto di reclusione.
2.Hanno proposto ricorso per Cassazione i difensori degli imputati, deducendo:
l’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME
2.1 l’omessa applicazione dell’art. 129 cod.proc.pen. in quanto la sentenza impugnata si è limitata a ratificare l’accordo prospettato senza effettuare alcuna valutazione in ordine alla sussistenza di cause di proscioglimento;
2.2 la violazione di legge e il vizio di motivazione con riguardo all’aumento di pena irrogato per i reati in continuazione ex art. 81 cod.pen. Secondo il difensore la Corte territoriale si è sottratta all’obbligo di motivare circa l’entità dei si aumenti per i titoli posti in continuazione, confermando gli incrementi già determinati in primo grado.
L’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME
2.3 la violazione di legge e il correlato vizio di motivazione con riguardo all’omessa verifica circa la sussistenza di cause di proscioglimento e alla qualificazione giuridica dei fatti.
L’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME NOME
la violazione dell’art. 129 cod.proc.pen. in quanto la Corte territoriale ha omesso la verifica in ordine alla sussistenza di cause di proscioglimento;
3.1 la violazione dell’art. 545bis cod.proc.pen. in quanto la Corte territoriale ha omesso di dar corso alla procedura per l’applicazione di pene sostitutive, senza rendere alcuna motivazione al riguardo, sebbene sussistessero i presupposti per l’accesso all’istituto.
L’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME
la violazione degli artt. 522 e 178 cod.proc.pen.: nullità della sentenza per imnnutazione del fatto e violazione dei diritti della difesa.
Il difensore sostiene che, in difetto di prova agli atti circa il ruolo coordinatore dei bonifici disposti dalle società in favore dei prelevatori e collettore delle somme da costoro riscosse, la Corte territoriale ha confermato la responsabilità del prevenuto per il delitto associativo affermando che l’imputato era incaricato di assicurarsi del buon esito delle rimesse effettuate dalle società,
in particolare dalla RAGIONE_SOCIALE, e di curare tramite i coimputati Della Corte e Prato il successivo prelievo del danaro. Secondo il ricorrente si tratta di fati nuovi, mai in precedenza contestati, integranti la dedotta nullità;
4.1 la violazione degli art. 416 cod.pen. e 533 cod.proc.pen. con riguardo alla valutazione della prova indiziaria nonché omessa pronunzia sui rilievi critici svolti nel primo e secondo motivo d’appello.
Secondo il difensore la sentenza impugnata ha replicato lo stesso iter logico del primo giudice senza esaminare e confutare le deduzioni difensive in ordine alla contestata condotta partecipativa e senza procedere ad una convincente analisi critica degli elementi indiziari. In particolare, i giudici d’appello hanno valorizzato le conversazioni captate e le movimentazioni dei conti correnti intestati a terzi, trascurando una lettura unitaria del complesso indiziario e di dar conto delle ragioni per cui hanno ritenuto l’infondatezza della tesi alternativa accreditata dalla difesa. Aggiunge il ricorrente che la sentenza impugnata ha utilizzato quale riscontro alle intercettazioni dati di fatto travisati, quali quelli relativi alla partita IVA e ai della FUEL Trans Ungheria, ovvero le somme di danaro rinvenute in sede di perquisizione, nonostante l’avvenuto dissequestro con restituzione all’imputato delle stesse. La Corte territoriale, inoltre, ha ritenuto con argomenti del tutto congetturali che l’associazione sub 1) operasse attraverso sottoarticolazioni dotate di autonomia operativa, svalutando le dichiarazioni del coimputato COGNOME che aveva escluso simile strutturazione riferendo di un’associazione a base prevalentemente familiare;
4.1 la violazione degli artt. 417 e 203 cod.pen. e vizio della motivazione, per apparenza e contraddittorietà della stessa, in ordine all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata. Il difensore sostiene che la sentenza impugnata ha omesso il necessario accertamento circa l’effettiva e attuale pericolosità dell’imputato, limitandosi a richiamare il rilevante contributo offerto all’associazione e il coinvolgimento nelle attività illecite anche di stretti famili senza considerare che, secondo la prospettazione d’accusa, la partecipazione associativa si sarebbe, comunque, conclusa nel gennaio 2019 e che la stessa Corte, revocando la misura cautelare personale applicata al Piscopo, ha riconosciuto l’inesistenza di un rischio concreto e attuale di recidiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOME, imputati che hanno definito la propria posizione ai sensi dell’art. 599 bis cod.proc.pen., sono inammissibili in quanto proposti per motivi non consentiti e, comunque, generici e manifestamente infondati.
Con riguardo all’eccepita violazione dell’art. 129 cod.proc.pen. questa Corte ha chiarito che in tema di “patteggiamento in appello” il giudice di secondo grado,
nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non deve motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen., né sull’insussistenza di cause di nullità assoluta o di inutilizzabilità del prove, in quanto, in ragione dell’effetto devolutivo proprio dell’impugnazione, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di appello, la cognizione del giudice è limitata ai motivi non oggetto di rinuncia (Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018, Rv. 274522 – 01; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, Rv. 276102-01; Sez. 2, Ord. n. 50062 del 16/11/2023, Rv. 285619-01). Né possono trovare ingresso in questa sede censure in ordine alla commisurazione della pena concordata che non si siano tradotte in profili d’illegalità della stessa, dal momento che nel concordato in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen. le parti non sono vincolate a criteri di determinazione della pena, con la conseguenza che il giudice può sindacare esclusivamente la congruità della pena finale concordata (Sez. 6, n. 23614 del 18/05/2022, Rv. 283284 – 02;Sez. 1, n. 50710 del 10/11/2023, Rv. 285655-01; con specifico riguardo all’entità degli incrementi ex art. 81 cod.pen., Sez. 5, n. 7333 del 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 275234 – 01).
1.1 Quanto alle censure di cui al secondo motivo del ricorso COGNOME va ribadito che in caso di concordato sulla pena in appello con rinuncia ai motivi il giudice non può sostituire d’ufficio la pena detentiva con le sanzioni sostitutive, in assenza di esplicita richiesta delle parti (Sez. 4, n. 43980 del 26/10/2023, Rv. 285484 – 01). Il principio è diretta conseguenza dell’insegnamento di Sez. U.Punzo secondo cui il giudice di appello non ha il potere di applicare d’ufficio le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi se nell’atto di appello non risulta formulata alcuna specifica e motivata richiesta con riguardo a tale punto della decisione, dal momento che l’ambito di tale potere è circoscritto alle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 597, comma quinto, cod. proc. pen., che costituisce una eccezione alla regola generale del principio devolutivo dell’appello e che segna anche il limite del potere discrezionale del giudice di sostituire la pena detentiva previsto dall’art. 58 della legge n. 689 del 1981 (Sez. U, n. 12872 del 19/01/2017, Rv. 269125 01).
2.11 primo motivo del ricorso COGNOME che denunzia l’immutazione del fatto è manifestamente infondato. La difesa assume che la Corte di merito, in risposta alle doglianze in punto di partecipazione al sodalizio criminoso ascritto, ha sostanzialmente modificato l’addebito, mutando il ruolo attribuito al prevenuto. Rileva la Corte che nella specie non è dato apprezzare alcuna significativa modifica del ruolo ascritto al prevenuto nella compagine operativa in quanto, a fronte della contestazione elevata (capo 1 lett. t) che descrive l’imputato come colui che ha coordinato l’invio dei bonifici a favore dei soggetti prelevatori gestiti da COGNOME NOME e COGNOME NOME nonché collettore delle somme da costoro ritirate o
prelevate in contanti, i giudici d’appello hanno disatteso il gravame difensivo (pag. 26 e segg.) segnalando il coordinamento -insieme ai predetti coimputati- di un consistente gruppo di prelevatori, ovvero ( pag. 28) la predisposizione delle operazioni di prelievo in contante, richiamando attività operative del tutto omogenee.
2.1 Per costante avviso della giurisprudenza di legittimità la nozione di “fatto” di cui agli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. va intesa quale accadimento di ordine naturale, nelle sue connotazioni oggettive e soggettive; ne consegue che per aversi “mutamento del fatto” occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta, che non consenta di rinvenire, tra il fatto contestato e quello accertato, un nucleo comune identificativo della condotta, riscontrandosi invece un rapporto di incompatibilità ed eterogeneità che si risolve in un vero e proprio stravolgimento dei termini dell’accusa a fronte del quale si verifica un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. 2, n. 45993 de 16/10/2007, Rv. 239320-01; n. 10989 del 28/02/2023, Rv. 284427- 01; Sez. 6, n. 17799 del 06/02/2014, Rv. 260156 – 01).
Ad analoghi esiti deve pervenirsi con riguardo alle censure svolte nel secondo motivo che denunziano la violazione dei criteri di valutazione della prova e del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio nell’apprezzamento delle emergenze poste a fondamento del giudizio di responsabilità del prevenuto. Il difensore reitera rilievi già sottoposti a vaglio dalla Corte di merito che li h disattesi sulla scorta di un apparato motivazionale che non palesa frizioni logiche e distorsioni giustificative.
La Corte territoriale, dopo avere illustrato (pagg. 24/26) le doglianze in questa sede riproposte, ne ha partitamente confutato la fondatezza, richiamando le singole circostanze captative attinte da osservazioni critiche della difesa e ribadendo la concludenza probatoria degli esiti delle intercettazioni dettagliatamente scrutinate in primo grado. In particolare, la sentenza impugnata ha fornito risposta esauriente alle deduzioni difensive relative all’assenza di documentati contatti del Piscopo con altri sodali, quali COGNOME NOMECOGNOME e alla mancata contestazione di reati fine. Né si presta ad inficiare la tenuta logica della motivazione il riferimento (pag. 28) alle cospicue somme rinvenute il 7/3/2017 e 1’11/10/2021 nella disponibilità del ricorrente, trattandosi di circostanze già stimate dal primo giudice irrilevanti al fine di provare l’estensione della condotta partecipativa, delimitata al periodo gennaio 2018-gennaio 2019 (sent. 1 gr. pag.176).
Non può, inoltre, trascurarsi che la natura delle prove poste a sostegno del giudizio di responsabilità, costituite dalle intercettazioni e dalle emergenze documentali, è tale da sottrarle alla necessità di riscontri ulteriori atti
corroborarle mentre la corrispondenza tra i contenuti delle conversazioni intercettate e le attività seriali di accredito di somme di illecita provenienza s conti di società di comodo, con successivo prelievo e retrocessione degli importi stessi secondo una collaudata dinamica circolare, volta a dissimulare l’origine delittuosa del danaro, deve ritenersi acclarata alla luce dell’analitico scrutinio effettuato dal primo giudice ( pag. 151 e segg.), che ha ricostruito le operazioni confrontando il tenore delle singoli conversazioni indizianti con le verifiche operate dalla P.g. sui conti correnti dei formali beneficiari delle somme accreditate ed ha disatteso con argomenti ineccepibili (pag. 163) il tentativo di ricondurre le conversazioni captate all’attività di impresa lecitamente svolta dall’imputato.
3.1 Risultano del tutto generiche ed aspecifiche le doglianze relative al difetto di prova circa la strutturazione del sodalizio in sottoarticolazioni in quanto ignorano le considerazioni svolte dai giudici d’appello alle pagg. 29/30 laddove- a conforto della peculiare conformazione in sottogruppi del sodalizio- è stata richiamata la conversazione ambientale n. 484 del 15/2/2018, già trascritta dal primo giudic:e, nel corso della quale il COGNOME confidava all’interlocutore che i vertici associativi sostentavano trenta/quaranta famiglie, spendevano 18mila euro al mese solo per i telefoni, si avvalevano di ausili tecnici e qualificava la sua “squadra” come la più forte ed efficiente ma non l’unica impegnata nella realizzazione del programma delittuoso del sodalizio.
Infondato s’appalesa il conclusivo motivo che lamenta la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata. La Corte territoriale a sostegno della pericolosità sociale de prevenuto ha richiamato non solo il rilevante contributo offerto insieme ad alcuni familiari alle attività della compagine criminosa ma anche l’utilizzo per le finalità del sodalizio della società RAGIONE_SOCIALE di cui era amministratore.
La valutazione della Corte di merito non presta il fianco a censura. L.a giurisprudenza di legittimità ha chiarito in tema di misure di sicurezza che, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, la loro applicazione, ivi compresa quella prevista dall’art. 417 cod. pen., può essere disposta, anche da parte del giudice della cognizione, soltanto dopo l’espresso positivo scrutinio dell’effettiva pericolosità sociale del condannato, da accertarsi in concreto sulla base degli elementi di cui all’art. 133 cod. pen., globalmente valutati, senza possibilità di far ricorso ad alcuna forma di presunzione giuridica, ancorché qualificata come semplice (Sez. 1, n. 2875 del 12/12/2023, dep. 2024, Rv. 285810 – 01; Sez. 5, n. 24873 del 21/04/2023, Rv. 284817 – 01).
Nella specie, i giudici territoriali hanno legittimamente valorizzato le modalità del fatto, il concreto e non meramente esecutivo ruolo partecipativo, l’utilizzo per le finalità associative della compagine gestita dal prevenuto, formulando un
giudizio che documenta, allo stato, la sussistenza di un rischio di ricaduta nel reato, soggetto a revisione secondo i postulati normativi in materia.
Né è ravvisa bile alcuna contraddittorietà tra detta statuizione e la revoca della misura non custodiale ancora in atto nei confronti del COGNOME al momento della decisione d’appello, dovendosi distinguere tra il pericolo cautelare tutelato dall’art. 274 lett. c) cod.proc.pen. e la valutazione di pericolosità sociale presidiata dalle misure di sicurezza (Sez. 1, n. 1405 del 01/04/1992, Rv. 190129 – 01).
Alla luce delle considerazioni che precedono i ricorsi debbono essere dichiarati inammissibili con conseguenti statuizioni a norma dell’art. 616 cod.proc.pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, 21 Novembre 2024
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La Consigliera estensore
La Presidente