Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 22628 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 22628 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi di Pubblico ministero presso il Tribunale di Gela, Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta, nel procedimento a carico di COGNOME nato a Milano il 04/04/1985, avverso la sentenza in data 19/11/2024 del G.u.p. del Tribunale di Gela, visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di annullare senza rinvio la sentenza impugnata con trasmissione degli atti al G.i.p. del Tribunale di Gela; letta per l’imputato la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto o l’inammissibilità del ricorso proposto dalla Procura presso il Tribunale di Gela.
Deposittria in Cancelleria
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IL FUNZIONAP
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Oggi
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 19 novembre 2024 il G.u.p. del Tribunale di Gela ha applicato a NOME COGNOME la pena concordata tra le parti di anni uno e mesi otto di reclusione, ritenuta la continuazione, con i doppi benefici di legge, per i reati dell’art. 4 e dell’art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
Ricorre per cassazione il Pubblico ministero presso il Tribunale di Gela per lamentare la violazione dell’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 che prevede l’accesso al rito premiale solo in caso di estinzione del debito tributario, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, o in caso di ravvedimento operoso
Ricorre per cassazione anche il Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta per lamentare la mancata disposizione della confisca obbligatoria di cui all’art. 12-bis d.lgs. n. 74 del 2000.
Nella sua requisitoria il Procuratore generale presso la Corte di cassazione sostiene che il motivo di ricorso del Procuratore generale debba ritenersi assorbito perché, essendo fondato il ricorso del Pubblico ministero, la sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al G.i.p.
Il ricorrente replica alla requisitoria del Procuratore generale osservando che l’estinzione dei debiti tributari non costituisce presupposto di legittimità dell’applicazione della pena ai sensi dell’art. 13-bis, D. Lgs. n. 74/2000, in quanto l’art. 13 del citato decreto configura tale comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d. Igs n. 74/2000 e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Pubblico ministero presso il Tribunale di Gela è fondato, il che esonera il Collegio dall’esame del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Caltanissetta.
3.1. L’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, introdotto dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, nella sua formulazione originaria vigente fino al 29 giugno 2024, ammetteva l’applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale in presenza della circostanza del precedente comma 1, cioè quando «prima della dichiarazione di apertura dei dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme
tributarie», nonché in presenza del «ravvedimento operoso, fatte salve le ipotesi di cui all’articolo 13, commi 1 e 2», che stabilivano le cause di non punibilità rispettivamente per gli art. 10-bis, 10-ter, 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 (comma 1) e per gli art. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000 (comma 2). In seguito alla novella dell’art. 1, comma 1, lett. g), n. 2, d.lgs. 14 giugno 2024, n. 87, l norma è stata riformulata in modo più chiaro perché il riferimento al comma 1 dell’art. 13 è stato esplicitato, aggiungendo dopo le parole «può essere chiesta dalle parti solo quando» le parole «, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario, compresi sanzioni amministrative e interessi, è estinto,» e subito dopo «nonché» e prima delle parole «ravvedimento operoso» le parole «quando ricorre». Pertanto, la norma continua ad ammettere il ricorso al rito speciale previsto dall’art. 444 e ss. cod. proc. pen., per i reati dichiarativi, solo quando vi sia stato l’integrale pagamento del debito tributario prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, pur se dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, diversamente operando la causa di non punibilità prevista dall’art. 13, comma 2, del medesimo d.lgs. (Sez. 3, n. 47287 del 02/10/2019, Cetin, Rv. 277897 – 01).
Va peraltro chiarito come non abbiano, allo stato, rilevanza le disposizioni di cui al d.lgs. 5 novembre 2024 n. 173, abrogative del d.lgs. 74 del 2000, essendo stata l’efficacia della nuova legge differita al 1 0 gennaio 2026 e, per quanto d’interesse, è stata mantenuta inalterata la previsione dell’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000 in quanto trasfusa nell’art. 90 della nuova legge, con la conseguenza che comunque sussiste continuità normativa tra le rispettive norme.
3.2. Ciò posto, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, che argomenta in modo complessivo e generale, per i reati degli art. 4 e 5 d.lgs. n. 74 del 2000, oggetto del presente procedimento, l’accesso al rito premiale è consentito solo in caso di estinzione del debito tributario, in esso compresi sanzioni e interessi, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero, a condizioni esatte, in caso di ravvedimento operoso. La salvezza dell’ipotesi del comma 2 del precedente art. 13 si riferisce, quindi, alla causa di non punibilità che opera se i debiti tributa compresi sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante l’integrale pagamento degli importi dovuti, in seguito al ravvedimento operoso o alla presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano avvenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. I requisiti per l’operatività della causa di non punibilità sono quindi dei tutto diversi da quelli previsti per l’accesso al rit
premiale. La disciplina muta per i reati degli art. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 per i quali l’estinzione del debito tributario vale a integrare la causa di non punibilità dell’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, il che neutralizza la possibilità di accedere al rito premiale dell’art. 13-bis, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000 (si veda sul punto Sez, 3, n. 9083 del 12/01/2021, COGNOME Rv. 281709-01 con attenta analisi delle norme anche con riferimento alla sostanziale inapplicabilità dell’art. 13-bis, comma 2, ai reati degli art. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000, in motivazione, par. 3).
3.3. Alla luce delle considerazioni svolte è certo che, in assenza dell’estinzione del debito tributario, ivi compresi sanzioni e interessi, il ricorrent non avrebbe potuto definire il procedimento con l’applicazione concordata della pena.
Il Pubblico ministero ricorrente ha, dunque, correttamente evidenziato come, nel caso in esame, mancasse il requisito di legge diretto a consentire l’accesso a! rito.
E’ tuttavia necessario accertare, in via preliminare e anche d’ufficio, se la sentenza di patteggiamento sia, nel caso in esame, impugnabile, atteso che l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen, consente il ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura sicurezza.
Questa Sezione ha ritenuto, in un caso analogo, che è illegale la pena determinata attraverso una riduzione per il patteggiamento non consentita per la mancanza dei presupposti richiesti dalla legge per l’accesso al rito speciale (Sez. 3, n. 552 del 10/07/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278014 – 01).
Il Collegio ritiene che tale arresto – in linea con quanto affermato in tema di ricorso al patteggiamento allargato in presenza dei divieti di accesso al rito speciale ex art. 444, comma 1-bis, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 3828 del 10/01/2019, COGNOME, Rv. 274981 e Sez. 2, n. 54958 del 11/10/2017, COGNOME, Rv. 271526) – vada rimeditato sulla base delle seguenti considerazioni.
4.1. La legalità della pena è caratteristica intrinseca della sanzione espressamente prevista dalla legge, con la conseguenza che la sua illegalità non può che dipendere da vizi suoi propri.
Le Sezioni Unite hanno ribadito, anche di recente, che pena illegale è quella che si colloca al di fuori del sistema sanzionatorio come delineato dal codice penale, per diversità di genere, specie o quantità da quella positivamente prevista. L’illegalità può essere originaria, in caso di applicazione di una sanzione diversa da quella prevista dall’ordinamento, sopravvenuta, in caso di illegalità
conseguente ad abolitio criminis, a sopravvenienza di una lex mitior, a declaratoria di incostituzionalità di una norma incidente nel trattamento sanzionatorio (Sez. U, n. 5253 del 28/09/2023, dep. 2024, P., Rv. 285851-01, in motivazione, par. 5 e 6, che richiama Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264857-01; Sez. U, n. 33040 del 26/02/2015, COGNOME, Rv. 264205-01; Sez. U., n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01; Sez. U, n. 47182 del 31/3/2022, COGNOME, Rv. 283818 – 01; Sez. U, n. 877 del 14/7/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 283886 – 01). In particolare, le Sez. U, COGNOME, richiamando la precedente sentenza, sempre delle Sezioni Unite, n. 15498 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280931-01 e 02, hanno chiarito che la nozione di pena illegale non può estendersi «sino al punto da includere profili incidenti sul regime applicativo della sanzione, a meno che ciò non comporti la determinazione di una pena estranea all’ordinamento per specie, genere o quantità», in quanto la pena può essere considerata illegale, non quando consegua a una mera erronea determinazione del trattamento sanzionatorio, alla quale l’ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioni, ma solo quando non sia prevista dall’ordinamento, ovvero sia superiore o inferiore ai limiti edittali previsti dalla legge o sia più gra per genere e specie di quella individuata dal legislatore. Analogamente le Sez. U, COGNOME hanno affermato che è solamente la violazione delle cornici edittali – che sono la manifestazione e il frutto del potere legale di determinazione della pena a integrare la pena illegale, e che «ogni altra violazione delle regole che occorre applicare per la definizione della pena da infliggere integra un errato esercizio del potere commisurativo e dà luogo a una pena che è illegittima», ma non illegale (in motivazione, amplius, par. 9 e 10). Infine, le Sez. U, COGNOME, hanno riaffermato questi principi anche con riferimento alla pena applicata su richiesta delle parti, osservando che l’accordo si forma sulla pena finale concordata dalle parti e di cui si chiede l’applicazione, con la conseguente generale irrilevanza degli eventuali errori nei vari “passaggi” attraverso i quali si giunge al “risultato finale a meno che essi non comportino l’applicazione di una pena illegale, nel senso in precedenza chiarito. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.2. Il tema della legalità della pena è poi strettamente interferente con le regole processuali del principio della domanda, dell’interesse ad agire, della rilevabilità d’ufficio e del divieto di reformatio in pews.
Ne consegue che, quando la pena è illegale perché inferiore ai minimo edittale, anche in assenza delle condizioni di accesso al rito, al giudice è inibito qualsiasi rilievo officioso per il superiore principio del divieto di reformatio in pejus. A kl In questo caso, la giurisprudenza di legittimità è pervenuta alla conclusione di dichiarare inammissibile il ricorso dell’imputato per difetto di interesse ad agire, perché, ai sensi dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., l’interesse a impugnare non è mai un interesse alla correttezza tecnico-giuridica delle decisioni, bensì solo
alla concreta possibilità di conseguire, dalla riforma o dall’annullamento del provvedimento censurato, un plausibile vantaggio (Sez. 2, n. 22187 del 19/04/2019, Taib Rv. 275590, con approfondita riflessione sulle condizioni di accesso al rito; Sez. 3, n. 49204 del 07/10/2014, M., cit.; Sez. 2, n. 31048 del 13/06/2013, COGNOME, Rv. 257066; Sez. 4, n. 40060 del 21/06/2012, COGNOME, Rv. 253722 – 01). Il potere di intervento d’ufficio del giudice è stato dunque confinato ai soli casi nei quali l’errore sia avvenuto in danno dell’imputato (Sez. 2, n. 5851 del 03/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287510 – 01; Sez. 4, n. 30040 del 23/05/2024, COGNOME, Rv. 286862 – 02, per le pene accessorie; Sez. 3, n. 30286 del 09/03/20222, COGNOME, Rv. 283650 – 02; Sez. 2, n. 30198 del 10/02/2020, COGNOME, Rv. 279905-01; Sez. 3, n. 34139 del 07/06/2018, COGNOME, Rv. 273677 01) ed è esercitato anche a dispetto dell’inammissibilità del ricorso per cassazione, tranne alcune ipotesi, come a esempio la tardività, come spiegato dalle Sez. U n. 47766 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 265106, che attribuiscono il rimedio al giudice dell’esecuzione (si veda tuttavia amplius per la casistica la sentenza COGNOME, in motivazione, pag. 3). A conclusioni analoghe a quelle della sentenza COGNOME giunge l’ordinanza COGNOME (Sez. 6, n. 30029 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283576 – 01), in cui la Corte, richiamata la definizione di pena illegale delle Sez. U, n. 18821 del 24/10/2013, Ercolano; Sez. U, n. 33040 del 26/2/2015, lazouli, cit.; Sez. U, n. 47766 del 26/6/2015, Butera, cit., Sez. U, n. 40986 del 19/7/2018, P., Rv. 273934-01 e 02, sgancia l’illegalità della pena dalla illegalità del rito per difet delle condizioni dell’azione, e constata l’inemendabilità della pena, illegittima, più favorevole all’imputato.
4.3. La riflessione sulla distinzione tra rito e pena è netta in alcune sentenze della Sezione Sesta ove si legge che i requisiti di ammissibilità del rito premiale operano ab extrinseco (Sez. 6, n. 15847 del 05/12/2019, Mauro, Rv. 275543-01; Sez. 6; n. 25257 del 22/03/2018, Perfetti, Rv. 273656 – 01, entrambe con riferimento al patteggiamento dell’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen., introdotto con la legge 27 maggio 2015, n. 69).
Alla ricerca del rimedio sanzionatorio del rito del patteggiamento, al di fuori del ristretto ambito dell’art. 448, comma 2-bis, cod, proc. pen., quando il vizio è costituito dal difetto della condizione di ammissibilità, la giurisprudenza di legittimità ha, talora, affermato che si rientri nel novero delle ipotesi del citato ar 448 per vizio della volontà dell’imputato (Sez. 6, n. 27606 del 16/05/2019, Corrà, Rv. 276219 – 01 in un caso di mancata restituzione del prezzo o del profitto dei reati contro la pubblica amministrazione previsti dall’art. 444, comma 1-ter, cod. proc. pen.), tal altra che si rientri in un’ipotesi di violazione della lett. c) del 606, comma 1, cod. proc. pen. per integrazione delia violazione di una norma prevista dalla legge a pena di inammissibilità (Sez. 6, n. 19679 del 27/01/2021, Bove, Rv. 281664 – 01 che ha affermato che i limiti al potere di impugnare, previsti
dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., si giustificano in relazione alle statuizioni della sentenza che sono ricognitive di un patto fondato sull’accordo delle parti dal quale l’imputato non può recedere, mentre non si applicano con riguardo alle condizioni di ammissibilità di accesso al rito).
Quest’ultimo orientamento deve essere applicato anche nel caso in esame per le seguenti ragioni.
Il requisito richiesto dall’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000 per l’accesso al procedimento speciale ex art. 444 cod. proc. pen. costituisce, infatti, un presupposto processuale di ammissibilità del rito e, dunque, si sostanzia in una preclusione processuale che opera ab extrinseco e che, quindi, impedisce al giudice, in mancanza dei requisiti di ammissibilità richiesti dalla legge, di emettere una decisione sul merito della regiudicanda (quindi di recepire l’accordo delle parti pur in presenza dei requisiti intrinseci ex art. 444, comma 2, cod. proc. pen.), con la conseguenza che la mancanza dei requisiti di ammissibilità del rito, che sono, come detto, estrinseci e che fungono perciò da requisiti di validità del rapporto processuale instaurato con l’esercizio dell’azione penale, consente al giudice di emettere una decisione la quale contiene però solo l’accertamento della mancanza medesima.
Diversamente, il giudice emetterebbe una decisione viziata.
Siccome nel caso di specie sono richieste, per l’accesso e, dunque, per l’ammissibilità del rito speciale ex art. 444 cod. proc. pen. delle precise condizioni, tipizzate nell’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000, il giudice, in tanto può recepire l’accordo delle parti e operare le valutazioni ex art. 444, comma 2, cod. proc. pen. se ed in quanto esista il requisito di ammissibilità del rito, mancando il quale la decisione di merito, in quanto preclusa, deve ritenersi illegittima.
Ne consegue che il vizio del quale è, in tal caso, affetta la sentenza è senz’altro riconducibile al più generale regime previsto dall’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. ossia alla inosservanza di una norma processuale stabilita a pena di inammissibilità.
Si tratta allora di un vizio che va rimosso con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 2, cod. proc. pen., disposizione che individua i provvedimenti ricorribili, tra cui le sentenze pronunciate in grado di appello e quelle, come la sentenza ex art. 448 cod, proc. pen., inappellabili.
Il vizio, come detto, si pone fuori e prima dei vizi (motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, ai difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica dei fatto e all’illegalità della pen o della misura di sicurezza) contemplati dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. che, regolando una fattispecie processuale diversa diretta a limitare la ricorribilità
ex per cassazione della sentenza
art. 444 cod. proc. pen. a tassative ipotesi intrinseche al rito, non è applicabile ai casi di mancanza, come nella specie, di un
ex requisito di ammissibilità del procedimento speciale
art. 444 cod. proc. pen.
cod. proc. pen., che, esulando dall’ambito applicativo dell’art. 448, comma
2-bis, segue invece le regole generali.
La legittimazione a impugnare le sentenze di patteggiamento, emesse in mancanza dei requisiti di ammissibilità del rito ex art. 444 cod. proc. pen., spetta
sia all’imputato sia agli organi del pubblico ministero (Procura della Repubblica e
Procura generale), con la precisazione però che l’interesse all’impugnazione, mentre per il pubblico ministero è istituzionalmente inerente alle sue funzioni, per
l’imputato va accertato, in concreto, caso per caso (Sez. U, n. 5 del 19/01/2000,
COGNOME, Rv. 215826 – 01).
7. Alla luce della nozione di pena illegale come delineata dalla Corte di cassazione, nella sua massima espressione, deve conseguentemente ritenersi che
art. 444 ss. cod. proc. pen., in mancanza del presupposto per la pena applicata
ex accesso al rito del patteggiamento, non comporti né un’applicazione di pena non prevista dall’ordinamento giuridico né una pena eccedente, per genere, specie o quantità, il limite legale, con la conseguenza che, in assenza della nozione di pena illegale, il titolo esecutivo, in mancanza di impugnazione, si forma regolarmente, cosicché l’illegittimità dell’applicazione non può essere sollevata davanti a giudice dell’esecuzione (Sez. 3, n. 15659 del 01/04/2025, COGNOME, in motivazione).
Quanto al ricorso del Procuratore generale, come anticipato, la questione posta dal Pubblico ministero in ordine all’assenza della condizione di ammissibilità del rito è preliminare e prioritaria rispetto alla confisca di cui il Procurato generale ha lamentato la mancata applicazione.
Pertanto, l’accoglimento del primo gravame, assorbito il secondo, determina di per sé l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata con restituzione degli atti al Giudice procedente per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Gela per l’ulteriore corso Così deciso, il 18 aprile 2025
Il Consigliere estensore
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