Patteggiamento: I Limiti del Ricorso in Cassazione
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, è un rito alternativo molto diffuso nel nostro ordinamento, che permette di definire il processo penale in modo rapido. Tuttavia, la natura negoziale di questo istituto comporta delle significative limitazioni al diritto di impugnazione. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare i confini, molto stringenti, del ricorso contro una sentenza di patteggiamento.
I Fatti del Caso
Nel caso in esame, una persona aveva definito la propria posizione processuale attraverso un accordo con la pubblica accusa per un reato in materia di stupefacenti (previsto dall’art. 73, comma 5, d.p.r. 309/1990). Successivamente, l’imputato proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Verona, lamentando tre specifici vizi:
1. Violazione di legge e carenza di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., che prevede il proscioglimento immediato in caso di evidente innocenza.
2. Eccessività della pena concordata e applicata.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto.
La Decisione della Corte e i Limiti al Ricorso sul Patteggiamento
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. La decisione si fonda su una norma chiave: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione, introdotta con la riforma del 2017, elenca in modo tassativo i soli motivi per cui è possibile impugnare una sentenza di patteggiamento.
I motivi ammessi sono esclusivamente:
* Problemi relativi all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
* Mancata corrispondenza tra la richiesta di pena e la sentenza emessa.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.
La Corte ha rilevato che le doglianze relative alla carenza di motivazione sul proscioglimento e all’eccessività della pena non rientrano in questo elenco e, pertanto, non possono essere fatte valere in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Sentenza
L’ordinanza chiarisce in modo netto la logica che sottende i limiti all’impugnazione. La natura di accordo del patteggiamento implica che l’imputato, assistito dal suo difensore, accetta la pena e rinuncia a contestare nel merito l’accusa. Questo riduce notevolmente l’obbligo di motivazione del giudice.
Obbligo di Motivazione e Art. 129 c.p.p.
La Corte ha ribadito un principio consolidato, anche delle Sezioni Unite: il giudice del patteggiamento non è tenuto a redigere una motivazione specifica sulla mancata applicazione di una causa di non punibilità (come quelle previste dall’art. 129 c.p.p.), a meno che dagli atti processuali o dalle deduzioni delle parti non emergano elementi concreti e evidenti che ne impongano l’applicazione. In assenza di tali elementi, si presume che il giudice abbia effettuato la verifica richiesta dalla legge e abbia concluso per la loro insussistenza.
La Genericità del Motivo sulla Qualificazione Giuridica
Sebbene l’erronea qualificazione giuridica del fatto sia, in astratto, un motivo di ricorso ammissibile, nel caso di specie la Corte lo ha ritenuto inammissibile per un’altra ragione: la sua totale genericità. L’imputato si era limitato a enunciare il vizio senza fornire alcuna argomentazione a supporto, rendendo impossibile per la Corte qualsiasi tipo di valutazione.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma la rigidità dei requisiti per impugnare una sentenza di patteggiamento. La scelta di questo rito processuale comporta una sostanziale rinuncia a far valere determinate censure in un secondo momento. Per gli operatori del diritto, emerge la cruciale importanza di una valutazione approfondita prima di accedere al patteggiamento e, qualora si decida di impugnare, la necessità di formulare motivi di ricorso che non solo rientrino nel perimetro tracciato dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., ma che siano anche specifici, argomentati e non generici. La violazione di queste regole conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
È sempre possibile fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento?
No, il ricorso è possibile solo per un numero limitato di motivi, tassativamente elencati nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale.
Quali sono i motivi per cui si può impugnare una sentenza di patteggiamento?
I motivi ammessi dalla legge riguardano esclusivamente l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, l’erronea qualificazione giuridica del fatto e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Il giudice del patteggiamento deve sempre motivare perché non ha assolto l’imputato ai sensi dell’art. 129 c.p.p.?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il giudice deve fornire una motivazione specifica su questo punto solo se dagli atti del processo emergono elementi concreti e palesi che indichino la possibile applicazione di una causa di non punibilità. In caso contrario, si ritiene sufficiente una valutazione implicita.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21517 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21517 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME (CUI 04UULOH) nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/11/2023 del TRIBUNALE di VERONA
dato av, . i4o alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
NOME ricorre per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Verona recante applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. in ordine al reato di cui agli artt. 81 e 73 comma 5 d.p.r. 9 ottobre 1990 n.309, deducendo violazione di legge e carenza di motivazione in relazione all’art. 129 cod.proc.pen., eccessività della pena irrogata ed erronea qualificazione giuridica del fatto.
Il ricorso va dichiarato inammissibile per indeducibilità delle descritte censure, che non rientrano fra quelle consentite dall’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. (come introdotto dalla legge n. 103 del 23 giugno , in vigore dal 3 agosto 2017), in quanto non riguardante motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o de misura di sicurezza.
Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti nell’imputazione.
Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una del ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Cass., Sez. U., n. 5777 del 27 marzo 1992, COGNOME; Id., Sez. U., n. 10372 del 27 dicembre 1995, COGNOME). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva.
Quanto alla dedotta erronea qualificazione giuridica del fati:o menzionata nel ricorso, la stessa risulta del tutto generica e non corredata da alcuna argomentazione a supporto.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa
delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro quattromila a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa del ammende.
Così deci o in Roma, il 17.4.2024