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Patteggiamento pena diversa: annullamento sentenza

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza del Tribunale di Parma che aveva applicato una pena di sei mesi di reclusione, nonostante l’accordo di patteggiamento tra imputato e pubblico ministero prevedesse una pena di quattro mesi con sospensione condizionale. Il caso evidenzia un vizio di “difetto di correlazione”, rendendo inevitabile l’annullamento. La Suprema Corte ha stabilito che quando il giudice applica un patteggiamento con pena diversa da quella richiesta, la sentenza è illegittima e deve essere annullata senza rinvio, con trasmissione degli atti al tribunale di primo grado.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento con pena diversa: la Cassazione annulla

Cosa succede quando un giudice applica una pena differente da quella concordata tra imputato e Pubblico Ministero? La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 10510/2025, offre una risposta chiara e netta: la sentenza va annullata. Questo caso mette in luce un principio fondamentale del rito del patteggiamento, ovvero il rispetto dell’accordo tra le parti. Quando si verifica un patteggiamento con pena diversa, si crea un vizio insanabile che porta all’annullamento della decisione.

I fatti del caso: la pena applicata è diversa da quella concordata

Nel caso di specie, un imputato, tramite il suo difensore, aveva concordato con il Pubblico Ministero l’applicazione di una pena di quattro mesi di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale. Questo accordo, frutto di una valutazione congiunta delle circostanze, era stato formalizzato durante l’udienza.

Tuttavia, il Tribunale di Parma, nel pronunciare la sentenza, ha applicato una pena più severa: sei mesi di reclusione, omettendo peraltro qualsiasi riferimento alla sospensione condizionale della pena. Questa discrepanza ha costituito il fulcro del successivo ricorso per cassazione.

Il ricorso in Cassazione per patteggiamento con pena diversa

Il difensore dell’imputato ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge, specificamente il vizio di “difetto di correlazione” tra la richiesta delle parti e la sentenza emessa dal giudice, come previsto dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questo articolo consente espressamente di impugnare le sentenze di patteggiamento quando la decisione del giudice non corrisponde all’accordo raggiunto.

L’argomentazione difensiva si basava su un punto cruciale: il giudice non ha il potere di modificare unilateralmente i termini di un accordo di patteggiamento. L’accordo, una volta raggiunto, rappresenta la volontà congiunta delle parti processuali, e il giudice può solo ratificarlo o rigettarlo in toto, ma non può applicare una pena diversa, né per specie né per quantità.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato. I giudici supremi hanno sottolineato che dall’esame del verbale di udienza emergeva chiaramente che l’accordo tra le parti prevedeva una pena di quattro mesi di reclusione. La sentenza impugnata, invece, riportava una condanna a sei mesi.

Questo contrasto tra quanto concordato e quanto deciso configura un errore che non può essere sanato con una semplice rettifica. La rettifica è possibile solo per errori materiali o di calcolo, non quando la divergenza incide sulla sostanza dell’accordo e coinvolge una valutazione di merito. La decisione di applicare un patteggiamento con pena diversa è un vizio che inficia la validità della sentenza stessa. La Corte ha dato prevalenza a quanto risultante dal verbale d’udienza, che cristallizza la volontà delle parti, rispetto al dispositivo della sentenza. L’annullamento, pertanto, è stato l’unica via percorribile.

Le conclusioni: l’importanza dell’accordo tra le parti

La decisione della Corte di Cassazione riafferma la natura negoziale del patteggiamento. Il ruolo del giudice in questo rito speciale non è quello di ricalcolare o modificare la pena, ma di verificare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena concordata. Se il giudice ritiene l’accordo non congruo, deve rigettarlo, ma non può sostituirsi alle parti imponendo una sanzione diversa. La sentenza è stata quindi annullata senza rinvio, e gli atti sono stati trasmessi nuovamente al Tribunale di Parma per l’ulteriore corso, ripristinando così la corretta procedura.

Cosa succede se il giudice applica una pena diversa da quella concordata nel patteggiamento?
La sentenza è viziata da un difetto di correlazione e deve essere annullata. Il giudice non può modificare l’accordo raggiunto tra imputato e pubblico ministero, ma solo accettarlo o rigettarlo.

È possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Sì, l’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. stabilisce che l’imputato e il pubblico ministero possono ricorrere per cassazione per motivi specifici, tra cui il difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza.

In caso di contrasto tra l’accordo verbalizzato in udienza e la sentenza scritta, quale prevale?
Secondo la sentenza, prevale il verbale di udienza, in quanto esso documenta i termini esatti dell’accordo raggiunto tra le parti, che costituisce la base della sentenza di patteggiamento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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