Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 21886 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 21886 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARI il 30/10/2004
avverso la sentenza del 05/12/2024 del GIP TRIBUNALE di BARI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/sentite le conclusioni del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME COGNOME che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso/
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari ha applicato al ricorrente la pena di anni due, mesi sei di reclusione ed euro 500 di multa, concordata tra le parti ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., in relazione ai reati di rapina, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo dei suoi difensori e con distinti atti.
2.1. Nel ricorso a firma dell’avv. NOME COGNOME si deduce, con un primo motivo, violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo 1 come rapina, dal momento che la violenza sulla vittima non venne realizzata per
ottenere l’impossessamento del cellulare, già ottenuto dal ricorrente; per questo, si sarebbe trattato di un furto con successiva violenza privata.
Con un secondo motivo, si deduce violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto di cui al capo 2) come resistenza a pubblico ufficiale, mancando un atto formale del pubblico ufficiale.
Con un terzo motivo, si deduce violazione di legge in ordine alla mancata applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. in relazione al capo 3, trattandosi di danneggiamento perseguibile a querela di parte, nella specie mancante.
2.2. Nel ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena ed, in particolare, in ordine alla omessa concessione del beneficio della sospensione condizionale, trattandosi di soggetto incensurato minore di anni ventuno.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo ricorso è parzialmente fondato in ragione di quanto segue.
E’ manifestamente infondato il primo motivo.
In tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrer per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione (da ultimo, Sez. 2, n. 14377 del 31/03/2021, COGNOME, Rv. 281116; Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264153; Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, Bisignani, Rv. 254865).
Nel caso in esame, dalla lettura del capo di imputazione risulta che l’imputato si era impossessato del telefono cellulare della vittima usando violenza nei suoi confronti nello stesso contesto spazio-temporale, così dovendosi ritenere corretta la qualificazione giuridica del fatto in termini di rapina.
Alla stregua dello stesso principio di diritto prima enunciato, è manifestamente infondato anche il secondo motivo del primo ricorso, in quanto l’imputazione di cui al capo 2) indica un preciso atto compiuto dai pubblici ufficiali – l’invito restituire il cellulare sottratto alla vittima – al quale il ricorrente non aveva corso.
E’ fondato il terzo motivo del primo ricorso, in quanto, dalla lettura degli att – resa possibile dalla natura processuale della questione – risulta la mancanza di querela in ordine al reato di danneggiamento di cui al capo 3, non rientrante tra i casi di perseguibilità d’ufficio previsti per tale delitto dall’art. 635 cod.pen.
Da ciò consegue che il Giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., avrebbe dovuto rilevare la presenza di una condizione di improcedibilità dell’azione penale in ordine ad uno dei reati facenti parte dell’accordo sulla pena.
Tale declaratoria di improcedibilità può intervenire in questa sede, con l’effetto che deve essere eliminato il segmento di pena in continuazione determinato in ordine al reato di danneggiamento di cui al capo 3), individuato in sentenza, a seguito della riduzione per il rito, in mesi uno, giorni dieci di reclusione ed eur 34 di multa.
Le altre statuizioni della sentenza di applicazione della pena – in mancanza di diverse allegazioni difensive – possono essere mantenute ferme, potendosi analogicamente applicare il principio di diritto secondo cui, in sede di ricorso la Cassazione deve annullare senza rinvio il capo impugnato di una sentenza, che concerne un fatto non preveduto dalla legge come reato ed eliminare la relativa pena computata a titolo di continuazione, anche se si tratti di sentenza che ne abbia fatto applicazione su richiesta, quando il ricorrente non alleghi che l’avrebbe formulata diversamente in relazione ai capi residui, in particolare subordinandone l’efficacia alla concessione di sospensione condizionale. L’annullamento parziale in tal caso, infatti, non implica sacrificio della libertà del parti nella scelta del rito e della valutazione discrezionale riservata al giudice merito nell’accogliere l’accordo in relazione ai suddetti residui capi. (Sez. 2, n. 43578 del 10/10/2003, Valente, Rv. 227596; Sez. 5, n. 927 del 25/02/1997, COGNOME, Rv. 207536-01).
4. E’ manifestamente infondato il motivo unico di cui al secondo ricorso.
In tema di patteggiamento, la sospensione condizionale della pena può essere concessa, in forza del rapporto negoziale che legittima la sentenza, soltanto se faccia parte integrante dell’accordo o se la questione relativa sia devoluta, esplicitamente e specificamente, da entrambe le parti al potere discrezionale del giudice, in quanto la mancata richiesta e la mancata devoluzione hanno significazione escludente, nel senso che, nel rispetto del principio dispositivo, la pronuncia del giudice non può travalicare i termini del patto ed il beneficio non può essere accordato d’ufficio (Sez. 2, n. 42973 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 277610-01).
Nel caso in esame, il beneficio della sospensione condizionale della pena detentiva, pur potendo astrattamente farvi parte ab origine, non rientrava nell’accordo intervenuto tra le parti.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art.
635 cod.pen. (capo 3) perché non procedibile per difetto di querela e, per l’effetto, elimina il relativo segmento di pena in continuazione pari a mesi uno,
giorni dieci di reclusione ed euro 34,00 di multa.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi.
Così deciso, il 09/04/2025.