Patteggiamento in Appello: L’Accordo che Non si Può Ridiscutere
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di patteggiamento in appello: l’accordo sulla pena, una volta raggiunto tra le parti e ratificato dal giudice, assume la natura di un negozio processuale non più modificabile unilateralmente. Questa decisione chiarisce i limiti del ricorso per cassazione avverso le sentenze che applicano tale istituto, distinguendolo nettamente dai casi in cui l’appello mira a una semplice rivalutazione dei fatti.
Il Contesto Processuale
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda due distinti ricorsi proposti contro una sentenza della Corte d’Appello di Napoli. Il primo ricorrente aveva definito la sua posizione tramite un patteggiamento in appello per il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, vedendo la sua pena rideterminata in 2 anni e 1 mese di reclusione. Nonostante l’accordo, la sua difesa ha successivamente impugnato la sentenza in Cassazione, lamentando un difetto di motivazione sulla quantificazione della pena.
Il secondo ricorrente, condannato a 3 anni per episodi analoghi, contestava invece il giudizio di colpevolezza, sostenendo che le prove a suo carico fossero state valutate erroneamente. In particolare, la sua impresa era stata identificata come una società ‘cartiera’, priva di struttura operativa e contabilità, creata al solo scopo di emettere fatture false.
L’Inammissibilità del Ricorso sul Patteggiamento in Appello
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del primo imputato, fondando la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato. Secondo i giudici, il patteggiamento in appello, introdotto dalla legge n. 103 del 2017, costituisce un vero e proprio accordo processuale. Una volta che le parti lo stipulano liberamente e il giudice lo recepisce nella sua decisione, tale accordo non può essere messo in discussione da una delle parti attraverso un ricorso successivo.
L’unica eccezione a questa regola si verifica quando la pena concordata è illegale, ad esempio perché supera i limiti di legge o è di un genere non consentito. Nel caso di specie, non sussisteva alcuna illegalità, pertanto il tentativo di rimettere in discussione la misura della pena è stato respinto in quanto inammissibile.
La Manifesta Infondatezza del Ricorso sul Merito
Anche il secondo ricorso è stato giudicato inammissibile, ma per manifesta infondatezza. La difesa dell’imputato, infatti, non contestava una violazione di legge, ma proponeva una lettura alternativa delle prove già esaminate dai giudici di merito. La Cassazione ha ricordato che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sui fatti, ma di un controllo sulla legittimità della decisione, ossia sulla corretta applicazione delle norme e sulla logicità della motivazione.
I giudici di merito avevano adeguatamente motivato la condanna basandosi sugli accertamenti della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate, che dimostravano l’assenza di una reale attività d’impresa. Di fronte a una ricostruzione coerente e razionale, le argomentazioni difensive, volte a ottenere una nuova valutazione delle prove, non possono trovare spazio in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri fondamentali della procedura penale. Per il primo ricorso, ha riaffermato la natura negoziale e vincolante del patteggiamento in appello. L’istituto risponde a finalità di economia processuale e la sua efficacia verrebbe meno se le parti potessero rimettere in discussione l’accordo a proprio piacimento. Il consenso liberamente prestato cristallizza la pena, salvo l’ipotesi eccezionale di illegalità.
Per il secondo ricorso, la motivazione risiede nella netta distinzione tra giudizio di fatto e giudizio di legittimità. Il ricorso per cassazione non è una sede per riesaminare le prove e decidere se l’imputato sia colpevole o innocente. Il compito della Suprema Corte è verificare che la sentenza impugnata sia immune da vizi logici e giuridici. Poiché la motivazione della Corte d’Appello era solida e ben argomentata, il ricorso è stato dichiarato manifestamente infondato.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame offre due importanti lezioni. In primo luogo, conferma che la scelta del patteggiamento in appello è una decisione strategica definitiva: una volta raggiunto l’accordo sulla pena, non è possibile tornare indietro, a meno di non dimostrarne l’illegalità. In secondo luogo, ribadisce che il ricorso in Cassazione deve concentrarsi su questioni di diritto e non può trasformarsi in un tentativo di ottenere una terza valutazione del merito della causa. La conseguenza per entrambi i ricorrenti è stata non solo la conferma della condanna, ma anche l’obbligo di pagare le spese processuali e una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
È possibile impugnare in Cassazione la misura della pena concordata con un patteggiamento in appello?
No, non è possibile. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’accordo sulla pena raggiunto in appello è un negozio processuale che, una volta consacrato nella decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, salvo l’ipotesi in cui la pena concordata sia illegale.
Perché il ricorso di uno degli imputati è stato giudicato manifestamente infondato?
Il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché, invece di denunciare violazioni di legge, mirava a ottenere una nuova e alternativa valutazione delle prove. Questo tipo di richiesta non è consentita in sede di legittimità, dove la Corte di Cassazione si limita a controllare la corretta applicazione del diritto e la logicità della motivazione della sentenza impugnata.
Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
A norma dell’art. 616 del codice di procedura penale, alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32426 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32426 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/07/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il DATA_NASCITA
NOME nato a TORRE ANNUNZIATA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/10/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Premesso che è stata impugnata la sentenza della Corte di appello di Napoli del 17 ottobre 2024 che, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di Torre Annunziata il 9 dicembre 20 per quanto in questa sede rileva, ha rideterminato in anni 3 di reclusione la pena a caric NOME, ritenuto colpevole di quattro episodi del delitto di cui all’art. 8 del d. I del 2000, commesso tra il 30 dicembre 2016 e il 31 maggio 2019. Quanto invece a NOME COGNOME, che definiva la sua posizione con patteggiamento in appello, la pena, ai sensi dell’a 599 bis cod. proc. pen., veniva rideterminata in anni 2 e mesi 1 di reclusione, in relazion cinque episodi del delitto di cui all’art. 8 del d. Igs. n. 74 del 2000, commesso tra il 10 dicembre 2015 e il 29 dicembre 2018.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME, con cui la difesa dell’imputato ha censurato il di di motivazione in punto di quantificazione della pena, è inammissibile, dovendosi richiamare proposito l’affermazione costante della giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 733 13/11/2018, dep. 2019, Rv. 275234), secondo cui, in tema di patteggiamento in appello ex art. 599-bis cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 56, della legge 23 giugno 2017, n. 103 inammissibile il ricorso per cassazione proposto in relazione alla misura della pena concordat atteso che il negozio processuale liberamente stipulato dalle parti, una volta consacrato n decisione del giudice, non può essere unilateralmente modificato, salva l’ipotesi di illegalità pena concordata, ipotesi non ravvisabile nel caso di specie.
Evidenziato che il ricorso di NOME COGNOME, con cui la difesa censura la conferma del giudizio colpevolezza dell’imputato, è manifestamente infondato, in quanto volto a prefigurare, invero termini generici, una rivalutazione alternativa delle fonti probatorie, a fronte dell’ad ricostruzione operata dai giudici di merito, i quali hanno valorizzato gli accertamenti esp dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE Finanza e dall’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate, da cui è emerso che l’impresa di cui COGNOME era legale rappresentante non svolgeva un’attività in grado di generare i volumi di affari risu dalle fatture oggetto di contestazione, non essendo in grado di effettuare le consistenti forn fatturate, in quanto priva sia di alcuna struttura operativa, sia delle stesse scritture cont
Ritenuto che la motivazione della sentenza impugnata risulta sorretta da considerazioni razional cui la difesa contrappone differenti apprezzamenti di merito, che tuttavia non sono consentit sede di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, Rv. 280601).
Considerato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e rilevato che declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere pagamento delle spese del procedimento, nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processual della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 4 luglio 2025.