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Patteggiamento in appello: quando il giudice può dir no

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 46578/2024, ha respinto il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La Corte ha stabilito che il giudice ha il potere di rigettare un patteggiamento in appello se ritiene la pena non congrua, specialmente in presenza di una significativa recidiva e pericolosità sociale dell’imputato. È stato inoltre confermato che per escludere la lieve entità del fatto non basta la quantità di droga, ma si deve valutare la professionalità della condotta e la personalità del reo.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Il Giudice Può Rifiutare l’Accordo tra le Parti?

Il patteggiamento è uno strumento processuale che permette di definire il processo in modo più rapido, ma quali sono i limiti del suo utilizzo, specialmente in secondo grado? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul potere del giudice di respingere un accordo di patteggiamento in appello quando la pena proposta non viene ritenuta adeguata. Analizziamo insieme questo caso per capire le dinamiche e i principi in gioco.

I Fatti del Caso: Dallo Spaccio alla Cassazione

La vicenda giudiziaria inizia con la condanna di un uomo da parte del Tribunale per detenzione a fini di spaccio di un considerevole quantitativo di hashish. La pena iniziale era di cinque anni di reclusione e 25.000 euro di multa.

In appello, la Corte territoriale riforma parzialmente la sentenza: riconosce le attenuanti generiche e ridetermina la pena in tre anni di reclusione e 7.500 euro di multa. Tuttavia, nel corso del giudizio di appello, la difesa aveva avanzato una richiesta di patteggiamento, che il giudice aveva rigettato. Contro questa decisione, l’imputato propone ricorso in Cassazione, basandolo su due motivi principali:

1. Errato rigetto del patteggiamento: La difesa sosteneva che la Corte d’Appello avesse illegittimamente respinto l’accordo sulla pena, fondando la decisione su una valutazione della recidiva che, secondo l’accordo tra le parti, doveva considerarsi esclusa.
2. Mancata derubricazione del reato: Si contestava la mancata riqualificazione del fatto come “di lieve entità” (prevista dal comma 5 dell’art. 73 del d.P.R. 309/1990), sostenendo che la Corte si fosse basata solo sul dato quantitativo della droga.

Il Patteggiamento in Appello e il Potere del Giudice

Il cuore della questione riguarda il ruolo del giudice di fronte a una richiesta di patteggiamento. La Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il giudice non è un semplice ratificatore dell’accordo tra accusa e difesa. Al contrario, ha il dovere di effettuare un controllo approfondito sulla correttezza della qualificazione giuridica del fatto e, soprattutto, sulla congruità della pena pattuita.

Nel caso specifico, la Corte Suprema ha ritenuto corretta la decisione del giudice d’appello di rigettare il patteggiamento. La valutazione ha tenuto conto non solo dei fatti specifici, ma anche della personalità dell’imputato, caratterizzata da una lunga serie di precedenti penali per reati gravi (furto, ricettazione, estorsione, spaccio). Questa “pervicacia criminale”, come definita in sentenza, rendeva la pena proposta nell’accordo palesemente inadeguata e non proporzionata alla gravità complessiva della condotta e alla pericolosità sociale del soggetto.

La Riqualificazione del Reato in Fatto di Lieve Entità

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha chiarito che la valutazione sulla lieve entità di un reato di spaccio non può limitarsi al solo dato quantitativo della sostanza stupefacente. È necessario un giudizio complessivo che includa:

* Le modalità della condotta: Nel caso di specie, l’attività di spaccio appariva professionale e ben organizzata.
* La personalità dell’imputato: I numerosi precedenti penali indicavano una chiara inclinazione a delinquere.
* La qualità e purezza della sostanza: Che permetteva di ricavare un numero elevato di dosi.

La Corte ha concluso che l’insieme di questi elementi escludeva categoricamente la possibilità di qualificare il fatto come di lieve entità, giustificando la decisione dei giudici di merito.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha fornito motivazioni chiare e strutturate per rigettare il ricorso.

Il Controllo Giudiziale sull’Accordo

Il giudice, nel valutare una richiesta di patteggiamento, deve svolgere un giudizio complesso. Questo controllo non si limita a verificare che l’accordo rispetti i limiti di pena, ma si estende alla sua “congruità”. La pena deve essere adeguata rispetto all’entità oggettiva del fatto e alla personalità dell’imputato, in linea con i principi costituzionali (art. 27 Cost.) e i criteri di commisurazione della pena (art. 133 cod. pen.). L’accordo tra le parti non può prevalere su questa valutazione di giustizia sostanziale.

La Valutazione della Pericolosità dell’Imputato

La Cassazione ha sottolineato che il silenzio delle parti sulla recidiva nell’accordo di patteggiamento non impedisce al giudice di tenerne conto nella sua valutazione di congruità. Anzi, la storia criminale dell’imputato è un elemento cruciale per valutare la sua pericolosità e l’adeguatezza del trattamento sanzionatorio. Ritenere congrua una pena mite per un soggetto con una spiccata tendenza a delinquere sarebbe contrario alla finalità rieducativa e preventiva della pena stessa.

L’Esclusione del Fatto di Lieve Entità

Infine, è stato ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la qualificazione del fatto come lieve non può derivare da un mero calcolo matematico sulla quantità di droga. Il giudice deve considerare tutti gli indici previsti dalla norma, valorizzando elementi come la professionalità del trafficante e le circostanze dell’azione, che nel caso di specie indicavano uno svolgimento duraturo e organizzato dell’attività di spaccio.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza il ruolo del giudice come garante della legalità e della giustizia nel procedimento di patteggiamento. L’accordo tra le parti non è un diritto assoluto, ma una possibilità subordinata a un vaglio di congruità che tiene conto di tutti gli aspetti del reato e della personalità del reo. Questa decisione ci ricorda che, anche nei riti alternativi, l’obiettivo finale del processo penale è l’applicazione di una pena giusta e proporzionata, che non può essere sacrificata in nome della sola efficienza processuale.

Il giudice d’appello è obbligato ad accettare un accordo di patteggiamento proposto da accusa e difesa?
No, il giudice non è obbligato. Ha il dovere di valutare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruità della pena proposta. Se ritiene che la pena sia inadeguata rispetto alla gravità del reato e alla personalità dell’imputato, può rigettare l’accordo.

Cosa valuta il giudice per decidere se un patteggiamento è congruo?
Il giudice compie una valutazione complessa che tiene conto delle finalità della pena (art. 27 Cost.) e dei parametri dell’art. 133 del codice penale. Considera quindi l’oggettiva entità del fatto, le modalità della condotta, la personalità dell’imputato (inclusi i precedenti penali e la sua pericolosità) per stabilire se la sanzione concordata sia giusta e proporzionata.

La sola quantità di droga è sufficiente per escludere la qualificazione del reato come ‘fatto di lieve entità’?
No. La giurisprudenza costante, confermata da questa sentenza, stabilisce che la valutazione non può basarsi sul solo dato quantitativo. È necessario un apprezzamento complessivo che includa i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione, la qualità della sostanza e la personalità dell’imputato. Un livello di professionalità nell’attività di spaccio può escludere la lieve entità anche a fronte di quantitativi non eccezionali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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