Patteggiamento in Appello: Quando la Rinuncia ai Motivi Blocca il Ricorso in Cassazione
L’istituto del patteggiamento in appello, reintrodotto dalla Legge n. 103 del 2017, rappresenta uno strumento processuale di grande rilevanza, capace di definire il giudizio di secondo grado attraverso un accordo sulla pena. Tuttavia, la scelta di percorrere questa via comporta conseguenze precise, come evidenziato da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha chiarito che la rinuncia ai motivi di appello, funzionale al raggiungimento dell’accordo, preclude la possibilità di riproporre le medesime questioni in sede di legittimità. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso Giudiziario
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma di una sentenza di primo grado, alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione e 18.000 euro di multa per reati legati agli stupefacenti, aggravati ai sensi dell’art. 80 del d.p.r. 309/1990. La condanna in appello era stata emessa proprio a seguito di un accordo sulla pena, secondo la procedura del patteggiamento in appello prevista dall’art. 599 bis del codice di procedura penale.
Nonostante l’accordo, il ricorrente si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando una violazione di legge, in particolare per la mancata motivazione sulla sussistenza della circostanza aggravante che era stata oggetto del suo appello originario.
La Decisione della Corte di Cassazione e il Ruolo del Patteggiamento in Appello
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo una chiara interpretazione degli effetti preclusivi derivanti dalla scelta del patteggiamento in appello.
L’Inammissibilità del Ricorso
Il fulcro della decisione risiede in un principio consolidato: quando l’imputato sceglie di accedere al concordato in appello, rinunciando a uno o più motivi di impugnazione, la cognizione del giudice di secondo grado viene limitata esclusivamente ai motivi non rinunciati. Di conseguenza, l’imputato non può, in un secondo momento, sollevare davanti alla Cassazione proprio le questioni che erano state oggetto dei motivi a cui aveva abdicato in cambio di un accordo sulla pena.
Nel caso di specie, la sussistenza dell’aggravante era proprio uno dei punti contestati con l’appello originario, ma a tale motivo l’imputato aveva rinunciato per poter beneficiare del patteggiamento. Pertanto, la sua successiva doglianza in sede di legittimità è stata ritenuta inammissibile.
Le Motivazioni Giuridiche della Suprema Corte
Le motivazioni dell’ordinanza si fondano sulla natura stessa dell’accordo processuale e sui principi che regolano le impugnazioni.
Il Principio dell’Effetto Devolutivo e la Rinuncia
La Corte ha ribadito che, con l’accettazione del patteggiamento in appello, si verifica una contrazione dell’effetto devolutivo. Questo significa che il potere del giudice di appello viene circoscritto, e le questioni coperte dalla rinuncia escono definitivamente dal perimetro del giudizio. L’imputato, rinunciando a un motivo, accetta implicitamente la valutazione fatta in primo grado su quel punto, in cambio di una pena concordata e più favorevole.
La Cassazione ha sottolineato che non possono essere dedotte in sede di legittimità neppure questioni rilevabili d’ufficio, se queste erano oggetto dei motivi di appello rinunciati. La rinuncia è un atto dispositivo che cristallizza la situazione processuale e preclude future contestazioni sul punto.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche del Patteggiamento in Appello
Questa ordinanza conferma un orientamento giurisprudenziale rigoroso e offre importanti indicazioni pratiche per la difesa. La scelta di aderire al patteggiamento in appello deve essere attentamente ponderata. Sebbene possa rappresentare un’opportunità per ottenere una riduzione della pena, essa implica una rinuncia definitiva alla possibilità di contestare determinati aspetti della sentenza di primo grado. L’imputato e il suo difensore devono essere consapevoli che, una volta formalizzato l’accordo, non sarà più possibile fare marcia indietro e sollevare in Cassazione le questioni abbandonate, che si considerano a tutti gli effetti coperte dal patto processuale. La decisione di inammissibilità e la conseguente condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria servono da monito sulla serietà e definitività di tale scelta strategica.
È possibile contestare in Cassazione un motivo di appello a cui si è rinunciato per ottenere un patteggiamento in appello?
No, secondo la Corte, una volta che l’imputato ha rinunciato a specifici motivi di impugnazione per accedere al patteggiamento in appello, non può riproporre tali questioni con il ricorso per cassazione, poiché la rinuncia ha un effetto preclusivo.
Il giudice d’appello, in caso di patteggiamento, deve motivare il mancato proscioglimento dell’imputato per le cause previste dall’art. 129 cod. proc. pen.?
No. L’ordinanza chiarisce che, a causa dell’effetto devolutivo e della rinuncia ai motivi, la cognizione del giudice si limita ai motivi non rinunciati, e non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per questioni coperte dalla rinuncia.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso in Cassazione in questi casi?
L’inammissibilità del ricorso comporta per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel dispositivo.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6953 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6953 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VERONA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/01/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
e à t -6 -an Ta1F Th e – udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
1. COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia del 16 gennaio 2023 che, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Verona del 5 luglio 2022 emessa a seguito di giudizio abbreviato, lo ha condanNOME ai sensi dell’art. 599 bis cod. proc. pen. alla pena di anni tre e mesi quattro d reclusione ed Euro 18.000,00 di multa in ordine ai reati di cui agli artt. 73, comma 1 bis e 4 nonché 80, comma 2, d.p.r. 309 del 1990 (fatto commesso a Verona il 16.12.2021).
2. Il ricorrente lamenta violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) cod.proc.pen. i ordine alla mancata motivazione circa la sussistenza dell’aggravante ex art. 80 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 con conseguente rigetto della richiesta di concordato ex art. 599 bis comma 3 cod.proc.pen.
3. Il ricorso é inammissibile.
Giova premettere in diritto che, a seguito della reintroduzione del c.d. patteggiamento in appello ex art. 599 bis cod. proc. pen. ad opera della legge 23 giugno 2017, n. 103, rivive il principio secondo il quale il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento dell’imputato per taluna delle cause di cui all’art. 129 cod. proc. pen., posto che, a causa dell’effetto devolutivo, una volta che l’imputato abbia rinunciato ai motivi di impugnazione, la cognizione del giudice di merito deve limitarsi ai motivi non rinunciati (Sez. 5, n. 3391 del 15/10/2009, deo. 2010, Camassa, Rv. 245919). Questo principio era stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimità in merito al similare istituto previsto dall’art. 5 comma 4, cod. proc. pen., successivamente abrogato dal decreto legge 23 maggio 2008, n. 92.
Si é altresì affermato che non sono deducibili in sede di legittimità questioni, pur rilevabili d’ufficio, oggetto di motivi di appello rinunciati in funzione dell’acco sulla pena ex art. 599-bis cod. proc. pen., sicché, ove sia intervenuta rinuncia al motivo con il quale – successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018 – l’imputato si era doluto della determinazione in maniera fissa delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall., la questione non può essere riproposta con il ricorso per cassazione, non ricorrendo un’ipotesi di pena illegale. (In motivazione, la Corte ha chiarito che il vizio di legittim costituzionale ha riguardato, non la durata in sé della pena accessoria, ma la sua predeterminazione in misura fissa e inderogabile e che, pertanto, rinunciando al motivo di appello, l’imputato aveva definitivamente abdicato al diritto di invocare
una motivazione giustificativa della congruità della durata della pena accessoria inflittagli) Sez. 5, n. 46850 del 11/11/2022 Ud. (dep. 12/12/2022 ) Rv. 283878).
Nella specie la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. n. 309 del 1990 era oggetto di motivo di appello rinunciato.
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14.12.2023