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Patteggiamento in appello: limiti e inammissibilità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato che, dopo aver effettuato un patteggiamento in appello per reati di droga, aveva impugnato la sentenza chiedendo una riqualificazione del fatto. La Corte ha stabilito che la rinuncia ai motivi di appello limita la cognizione del giudice e preclude la possibilità di sollevare questioni già abbandonate, confermando la condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile

L’istituto del patteggiamento in appello, reintrodotto dalla legge n. 103 del 2017, rappresenta uno strumento processuale di grande rilevanza, che consente di definire il processo in secondo grado con un accordo sulla pena. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 7635/2024, chiarisce in modo netto i limiti di un successivo ricorso per Cassazione dopo aver scelto questa strada. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi di diritto affermati dai giudici.

I Fatti del Caso: Dall’Accordo in Appello al Ricorso

Il caso riguarda un imputato che, in secondo grado, aveva concordato con la Procura Generale l’applicazione della pena per i reati di detenzione di sostanze stupefacenti (art. 73, comma 1, D.P.R. 309/1990) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.). Nonostante l’accordo, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, lamentando un unico vizio: la mancata riqualificazione del reato di spaccio nella fattispecie di minore gravità, prevista dal comma 5 dello stesso articolo 73.

I Limiti del Ricorso dopo il Patteggiamento in Appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Il fulcro della decisione risiede nella natura stessa del patteggiamento in appello. Quando l’imputato accetta di concordare la pena, rinuncia implicitamente ai motivi di appello precedentemente proposti. Questo atto di rinuncia produce un effetto preclusivo fondamentale.

In virtù dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, la cognizione del giudice è circoscritta ai soli motivi che non sono stati oggetto di rinuncia. Pertanto, una volta raggiunto l’accordo sulla pena, il giudice d’appello non è tenuto a motivare sul perché non abbia prosciolto l’imputato per una delle cause previste dall’art. 129 c.p.p., né a pronunciarsi su questioni (come la riqualificazione del fatto) che sono state di fatto abbandonate con l’accordo stesso.

L’Onere di Allegazione e le Prove Contraddittorie

La Corte ha inoltre sottolineato un altro aspetto cruciale: l’imputato non aveva fornito alcun elemento concreto a sostegno della sua tesi di riqualificazione del reato in fatto di lieve entità. Anzi, le circostanze fattuali erano in netta contraddizione con tale richiesta. L’uomo era stato trovato in possesso di una quantità significativa di crack (pari a 95,2 dosi) e di 240 euro in contanti, in banconote di piccolo taglio, elementi che deponevano a favore dell’ipotesi accusatoria originaria e non di un’attività di spaccio marginale.

Le Motivazioni della Corte

I giudici della Suprema Corte hanno basato la loro decisione sul principio consolidato, citando una precedente sentenza (Sez. 4, n. 52803 del 14/09/2018), secondo cui l’accordo sulla pena in appello limita drasticamente il perimetro del successivo controllo di legittimità. La rinuncia ai motivi di appello cristallizza la situazione processuale e impedisce di rimettere in discussione aspetti che sono stati superati dalla volontà delle parti di definire il giudizio con un patteggiamento. La richiesta di riqualificazione del reato, non essendo stata coltivata in appello a seguito dell’accordo, non poteva essere legittimamente riproposta come motivo di ricorso in Cassazione. La manifesta infondatezza del motivo ha quindi condotto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante monito pratico: la scelta di accedere al patteggiamento in appello è una decisione strategica che comporta conseguenze definitive. Se da un lato può portare a una riduzione della pena, dall’altro preclude la possibilità di contestare nel merito la decisione, salvo vizi specifici non coperti dall’accordo. Chi sceglie questa via deve essere consapevole che sta chiudendo la porta alla maggior parte delle potenziali contestazioni future. La Corte di Cassazione, con questa pronuncia, ribadisce la serietà e la definitività di tale accordo processuale, sanzionando con l’inammissibilità i tentativi di aggirarne gli effetti.

È possibile contestare la qualificazione del reato in Cassazione dopo aver concordato la pena in appello?
No. Secondo l’ordinanza, una volta che l’imputato ha rinunciato ai motivi di appello per concordare la pena, la cognizione del giudice è limitata. Sollevare una questione di riqualificazione del fatto, che si considera abbandonata con l’accordo, rende il ricorso inammissibile.

Cosa comporta la scelta del patteggiamento in appello per l’imputato?
Comporta la rinuncia ai motivi di appello presentati. Di conseguenza, l’esame del giudice è limitato ai punti non oggetto di rinuncia, e non è tenuto a motivare sul mancato proscioglimento per altre cause o su questioni (come nullità o inutilizzabilità delle prove) che non sono state mantenute vive.

Quali sono le conseguenze della dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La declaratoria di inammissibilità comporta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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