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Patteggiamento in appello: limiti del ricorso

Un imputato, dopo aver concordato la pena in appello (patteggiamento in appello) per un reato di lieve entità, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un mancato proscioglimento. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che l’accordo sulla pena implica la rinuncia ad altri motivi di gravame, limitando così il potere di controllo del giudice a quanto non coperto dalla rinuncia. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Patteggiamento in Appello: Quando il Ricorso in Cassazione Diventa Inammissibile

L’istituto del patteggiamento in appello, reintrodotto dalla legge n. 103 del 2017, rappresenta uno strumento processuale di grande rilevanza strategica. Esso consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare in secondo grado, ma quali sono le conseguenze di tale accordo su un eventuale, successivo ricorso in Cassazione? Una recente ordinanza della Suprema Corte fa luce sui limiti di impugnabilità, chiarendo quando e perché il ricorso diventa inammissibile.

I Fatti del Caso

Il caso in esame trae origine da un procedimento per un reato di lieve entità in materia di stupefacenti, definito in secondo grado con l’applicazione di una pena concordata tra le parti. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, basando la sua impugnazione su un unico motivo: l’omesso proscioglimento ai sensi dell’articolo 129 del codice di procedura penale. Secondo la difesa, la Corte d’Appello avrebbe dovuto, prima di ratificare l’accordo, verificare la sussistenza di cause di non punibilità e, in caso positivo, pronunciare una sentenza di assoluzione.

I Limiti del Patteggiamento in Appello

La Corte di Cassazione ha respinto tale tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno chiarito che la natura stessa del patteggiamento in appello comporta una rinuncia implicita ai motivi di gravame che non sono oggetto dell’accordo. In pratica, quando l’imputato accetta di concordare la pena, la sua volontà processuale si concentra sulla definizione della sanzione, accettando di fatto il quadro accusatorio e rinunciando a contestare altri aspetti della sentenza di primo grado.

Questo meccanismo processuale si fonda sul cosiddetto “effetto devolutivo” dell’impugnazione: il giudice superiore può esaminare solo le parti della sentenza che sono state specificamente contestate. Se l’imputato rinuncia ai motivi di appello per accordarsi sulla pena, la cognizione del giudice di secondo grado, e di conseguenza quella della Cassazione, viene circoscritta ai soli aspetti non coperti da tale rinuncia.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione richiamando un orientamento giurisprudenziale consolidato. È stato affermato che il giudice di appello, nel momento in cui accoglie la richiesta di pena concordata, non ha l’obbligo di fornire una motivazione specifica né sul mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p., né sulla eventuale assenza di cause di nullità o di inutilizzabilità delle prove. Questo perché la rinuncia ai motivi di appello limita il campo di indagine del giudice. L’accordo tra le parti cristallizza la situazione processuale, precludendo un riesame completo della vicenda. Inoltre, nel caso specifico, la Corte ha sottolineato come il ricorrente non avesse nemmeno allegato elementi concreti a sostegno della sua tesi, rendendo il ricorso ancora più debole.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione in commento ribadisce un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento in appello è una decisione strategica con conseguenze procedurali irreversibili. Chi opta per questa via deve essere consapevole che sta limitando le proprie future possibilità di impugnazione. Il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per rimettere in discussione questioni a cui si è implicitamente rinunciato con l’accordo. La conseguenza di un ricorso inammissibile, come in questo caso, non è solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende, fissata nel caso di specie in 3.000 euro.

Se si accetta un patteggiamento in appello, si può comunque ricorrere in Cassazione per un mancato proscioglimento?
No. Secondo la Corte di Cassazione, accettando la pena concordata in appello, l’imputato rinuncia ai motivi di appello non oggetto dell’accordo. Di conseguenza, non può lamentare il mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., poiché la cognizione del giudice è limitata ai punti non coperti dalla rinuncia.

In caso di patteggiamento in appello, il giudice deve motivare perché non ha prosciolto l’imputato?
No, il provvedimento stabilisce che il giudice di secondo grado, nell’accogliere la richiesta di pena concordata, non è tenuto a motivare né sul mancato proscioglimento né sull’insussistenza di cause di nullità o inutilizzabilità delle prove, in virtù dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e della rinuncia implicita dell’imputato.

Quali sono le conseguenze se un ricorso in Cassazione, proposto dopo un patteggiamento in appello, viene dichiarato inammissibile?
La declaratoria di inammissibilità comporta, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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